"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'Afghanistan degli afghani.

Un momento della presentazione del Cantiere

(6 luglio 2012) Il cantiere "Afghanistan 2014", realizzato in collaborazione con il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, ha raggiunto un suo primo importante obiettivo con la  proiezione dell'omonimo film-documentario, girato dai registi Razi e Sohelia Mohebi e prodotto da Filmwork.

Il lungometraggio prende spunto da alcuni momenti della seconda conferenza internazionale sul futuro dell'Afghanistan, tenutasi a Bonn nel dicembre 2011, durante la quale le autorità diplomatiche europee, asiatiche e statunitensi hanno discusso sulle condizioni, le opportunità e i rischi che si prospettano per l'Afghanistan nel momento in cui, dopo il 2014, le forze internazionali lasceranno il Paese.

Lo sguardo attraverso il quale i registi guardano alla conferenza - filtrato dagli occhi e dai pensieri di un giovane giornalista afghano - è uno sguardo tristemente ironico, a tratti irriverente, che mette in evidenza la distanza esistente tra l'universo della politica e la realtà delle persone, dei cittadini, della società civile.

Cos'è la società civile? Lo chiede un ragazzo presente alla proiezione del film, che acutamente ha respirato quel senso di impalpabilità ed evanescenza che avvolge questo termine nei discorsi dei ministri, dei presidenti, dei diplomatici che nei loro
interventi confermano ossessivamente il loro impegno a favore di un Afghanistan
autonomo dopo l'uscita delle forze militari. La risposta di Razi conferma la sua intuizione: "la società civile è come acqua: c'è ma non ha forma". E' un concetto fluido, trasparente a cui i politici fanno riferimento per mostrare interesse verso una realtà sociale che però non viene presa in considerazione; certamente non al pari dell'economia, della politica, degli accordi militari...

Eppure in Afghanistan la società civile - ossia le persone, i cittadini - ci sono: 30 milioni di abitanti di cui una grossa percentuale giovani che vogliono studiare, formarsi, lavorare e che hanno a cuore il futuro del proprio Paese. Come lo hanno a cuore i ragazzi afghani ora residenti in Tentino e in Veneto che al cinema Astra hanno voluto
presentarsi e far sentire la propria voce, per testimoniare che loro ci sono, che sono vicini all'impegno di Razi e Soheila nella lotta per un futuro migliore in Afghanistan e che coltivano il desiderio e la voglia di farlo in maniera concreta. Uomini e donne che sono convinte che l'Afghanistan non sia un luogo distante e separato da noi, fatto di lande deserte e occupato dai carri armati, ma un terra profondamente vicina e interconnessa con la nostra sul piano politico, economico, sociale.

Il film di Razi e Soheila Mohebi riesce a far emergere nitidamente alcune domande imprescindibili nell'affrontare il discorso intorno al futuro prossimo dell'Afghanistan. Cosa accadrà nel 2014, anno in cui le forze internazionali lasceranno il paese ed
affideranno il compito di mantenere la sicurezza all'esercito afghano? Sarà ancora protagonista la guerra o si potranno tracciare le rotte di un nuovo inizio?

Il film si conclude con il vociare scomposto delle diplomazie internazionali riunite a Bonn che si trasforma nel frastuono delle granate, accompagnamento sonoro degli ultimi decenni della storia afghana. Il cantiere "Afghanistan2014" si pone l'obbiettivo ambizioso di trasformare lo scenario della guerra - stereotipo della situazione del
territorio afghano - in luogo del dialogo e spazio per la progettazione di un futuro di pace.

Il cantiere è solo all'inizio.

 

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