"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Uomini grossi come alberi...

Guca, 2014

Ritorno nei Balcani. Racconto di viaggio, quinta puntata

 

di Michele Nardelli

 

«Quelle bambine bionde
con quegli anellini alle orecchie
tutte spose che partoriranno
uomini grossi come alberi
che quando cercherai di convincerli
allora lo vedi che sono proprio di legno»

Paolo Conte, Diavolo Rosso

 

 

(Agosto 2014) Mentre il gruppo klezmer1 suona magicamente le composizioni tradizionali degli ebrei ashkenaziti nella grande sinagoga di Novi Sad le immagini si sovrappongono. Troppo distante la raffinatezza di queste note e le grevi canzoni di amore e di guerra che mi accompagnano a Guca2, dove ritorno dopo anni per cercare di capire se è cambiato qualcosa oppure no.

Si dice che il Dragačevski Sabor (il festival di Guca) abbia smesso le bandiere del nazionalismo serbo ed in effetti le immagini di Karadzić e di Mladić sono d'un tratto scomparse (rimangono invece quelle cetniche, fra qualche ritratto di Tito e del Che), ma in realtà il grido di battaglia di una nazione che fatica ad uscire dal proprio incubo (che diventa autismo) non lo vedi solo a Guca ma anche nelle feste famigliari. Identità che, in assenza di nuove, guardano al passato. L'Europa, che potrebbe esserlo, è lontana (e ostile). A chi dunque assomiglia di più il paese reale? Ad Exit3 o a Guca?

L'impoverimento che segna l'esistenza delle persone in quella che era la Jugoslavia di un tempo non è solo materiale. Eppure non abbiamo a che fare con paesi poveri, se mai un territorio possa essere definito così. L'impoverimento è immateriale, investe ad esempio la formazione delle classi dirigenti, che qui si avverte più ancora che altrove per gli effetti anche demografici che la guerra degli anni '90 ha prodotto. Un numero considerevole di intellettuali se ne sono andati via da tempo, lasciando il campo ad una classe dirigente fatta di affaristi e profittatori o comunque scadente. Il resto lo fa la crisi della politica, in astinenza di pensiero qui come altrove. Il che non significa assenza di vita culturale, che però nelle sue espressioni migliori risulta sempre più circoscritta alle aree urbane, approfondendo quel solco di incomunicabilità fra città e campagna che ha rappresentato una delle chiavi interpretative di quanto accaduto in queste terre alla fine del Novecento.

Sarebbe tuttavia superficiale attribuire ai soli avvenimenti degli anni '90 il processo di impoverimento culturale di cui stiamo parlando. Già nel 1981 Radamir Kostantinović nel suo “Filozofjĭie palanke”4 mise l'accento sul crescere nelle tante periferie del “Balkansko blato”, il fango balcanico, e dei luoghi del rancore, quella “balkanska krčma”ovvero la “locanda” ostile all'urbanità e all'ambiente intellettuale e cosmopolita che esprime.

Anche in questo caso, nulla di nuovo se pensiamo alle dinamiche dello spaesamento che hanno attraversato il profondo nord italiano o all'analfabetismo di ritorno che riscontriamo nei dati Istat sulle pratiche di lettura5 in Italia, ma i fenomeni sociali e culturali qui – come ho già avuto modo di dire molte volte – hanno un effetto dilatato, quell'acceleratore balcanico che fa di questa regione europea una sorta di palla di vetro dove leggere la postmodernità.

Con questi pensieri sono seduto di buon mattino in un motel lungo la strada che collega Užice a Čačak. La sera precedente, stanco com'ero di guidare, mi sarei fermato in qualsiasi luogo, compreso uno di quei alberghi che tanto ricordano la decadenza della vecchia Jugoslavia. In effetti la stanza che mi ospita in una notte di pioggia intensa non si scosta per nulla dallo squallore di tanti altri luoghi analoghi che ho conosciuto in questi anni, moquettes sporca e polverosa, rubinetterie in sfacelo, “voci e bisbigli d'albergo”6. E che libero non appena mi sveglio così da aver il meno possibile a che fare con quel degrado.

Eppure, anche il Motel Merak si rileva interessante, per comprendere almeno uno spaccato della realtà che nelle nostre frequentazioni tendiamo ad ignorare. Qui, a pochi passi dal piazzale dove ad ogni ora del giorno e della notte si fermano camion e torpedoni, osservo un'umanità che mi appare perduta nel mito consumistico e allora comprendi che i nostri discorsi, in primo luogo quello di riconsiderare i nostri stili di vita, non hanno alcuna chance. In fondo non è poi molto diverso in altre latitudini, solo che qui l'“uomo nuovo” lo hanno già sperimentato, non doveva pensare a nulla perché – come scrive Rada Iveković – ci avevano pensato i loro padri a costruire la società perfetta7 , e l'esito lo abbiamo drammaticamente visto nell'ultimo decennio del secolo scorso.

Altre immagini mi passano davanti, arrivano dal confine fra Ukraijna e Russia: ancora teste rasate, muscoli e armi automatiche. Non diverse dai moderni tagliagole che spadroneggiano nei luoghi che l'Occidente ha ridotto in macerie in nome dello scontro di civiltà e che con quella stessa moneta ora ripagano (oltre alla loro gente) anche i civilissimi aggressori. Sotto le più diverse latitudini, i soldati moderni si assomigliano tutti.

Massimo Moratti, amico e sensibile compagno di strada di anni balcanici che incontro a Belgrado, coglie il mio stato d'animo, la preoccupazione verso l'imbarbarirsi delle relazioni fra gli esseri umani, il rammarico del tempo perduto in progetti umanitari che non andavano oltre l'emergenza (e le umane miserie), la politica ridotta a sondaggio permanente e dunque a quel che la gente vuol sentirsi dire.

Potremmo dimenticare la strada e, come il “Diavolo Rosso” di Paolo Conte8, metterci lì sul ciglio a bere un'aranciata, aspettando tempi migliori. Ad esserne capaci.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=3Git6zlkVaA

 

1 Si tratta del J'Haz Klezmori di Novi Sad.

2 Piccolo centro rurale non lontano da Čačak, nel cuore della profonda Serbia, dove ogni anno si svolge il festival degli ottoni.

3 Manifestazione musicale d'avanguardia che si svolge ogni anno nella capitale della Vojvodina.

4 Radamir Kostantinović, Filozofjĭa palanke. Nolit Beograd, 1981

5 A questo proposito voglio qui ricordare l'importanza della LP 10/2013 sull'Apprendimento Permanente di cui sono stato il primo firmatario e il cui testo, insieme al materiale preparatorio, potete trovare nella sezione Disegni di Legge del sito www.michelenardelli.it

6 Paolo Conte, Diavolo Rosso, 1982

7 Rada Iveković, Autopsia dei Balcani. Cortina Editore, 1999

8 Testo bellissimo dedicato al ciclista astigiano Giovanni Gerbi

 

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