"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Riconoscere la Palestina. Per fondare su altre basi un nuovo processo di pace.

Haifa

(16 ottobre 2014) Il Parlamento del Regno Unito vota a larga maggioranza la proposta del riconoscimento dello Stato di Palestina. Un'espressione dal forte valore politico, quand'anche non vincoli l'azione del Governo britannico. Qualche giorno fa era stato il Governo svedese a pronunciarsi per il suo riconoscimento, provvedimento che aveva un'immediata efficacia nelle relazioni diplomatiche fra i due paesi.

In questo modo i paesi che riconoscono lo Stato di Palestina sono 121, mentre altri 30 hanno un rapporto diplomatico con l'autorità nazionale palestinese pur non riconoscendo formalmente lo Stato di Palestina. Fra questi l'Italia. Per questa ragione ho aderito nei giorni scorsi ad una petizione con la quale si chiede al Governo italiano questo passaggio politico formale.

Il governo israeliano si è affrettato a bollare la scelta del Parlamento britannico come un atto che minerebbe il processo di pace, atteggiamento analogo a quello tenuto in occasione del riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Del resto da anni questo paese non riconosce le risoluzioni del più importante organismo del diritto internazionale, non aderisce ai Trattati e alle Convenzioni internazionali sul disarmo nucleare e sulla messa al bando delle armi chimiche e biologiche.

Non ho mai condiviso la proposta di “due popoli, due stati” perché ritengo che ogni forma statuale dovrebbe essere laica e plurinazionale, a maggior ragione in un contesto come questo dove palestinesi ed israeliani rivendicano il medesimo territorio. Ciò nonostante ritengo che il riconoscimento internazionale dello Stato di Palestina rappresenti la condizione minima a partire dalla quale costruire un nuovo processo di pace che non sia fondato sui muri e sul filo spinato, sulla violenza e sulla pulizia etnica.

Anche qui come altrove occorre un cambio di approccio che sappia andare oltre il paradigma dello stato-nazione, capace di riconoscere il dolore e le ragioni degli altri, in grado di affrontare la questione israelo-palestinese in una cornice mediterranea, nella consapevolezza che il ricorso alla forza favorisce i più forti e che l'unica strada per un futuro senza rancore è la nonviolenza.

So bene che le cose oggi vanno nella direzione opposta, ma questo non mi impedisce di cercare ancora.

 

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