"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Nuovi occhi per nuovi contesti. L'ipotesi di territoriali#europei

Occhi nuovi

Questo commento è apparso oggi sul quotidiano "L'Adige"


di Federico Zappini

(4 marzo 2015) Approfitto dello spazio che mi viene concesso per provare a offrire due spunti di riflessione. Il primo - più generale - riguarda la Politica, la descrizione della sua crisi e un'ipotesi di lavoro per uscirne. Il secondo invece, stimolato dall'editoriale del direttore Pierangelo Giovannetti del 22 febbraio scorso, prende in considerazione la questione dello spazio urbano, anche in vista delle prossime elezioni comunali.

Zygmund Bauman nel suo ultimo pamphlet - dal titolo "Stato di crisi" - descrive uno scenario economico, politico e sociale che faremmo bene a prendere in considerazione, prima che sia troppo tardi. La crisi - intesa in questi anni come fase transitoria ed emergenziale - è a tutti gli effetti il nuovo contesto, permanente e generalizzato, dentro il quale andrà cercato un equilibrio che dia il via a una diversa narrazione collettiva, per il momento totalmente assente. Provando a fotografare oggi la condizione del nostro pianeta non ci dovremmo stupire nel contare un numero impressionante di punti di tensione che confermano in pieno le parole di Papa Francesco sull'imminenza di una Terza Guerra Mondiale. Diffusa, puntiforme, per capitoli, ma pur sempre Mondiale. Un contesto complesso e frammentato, dentro il quale la globalizzazione definisce infinite connessioni, un variegato catalogo - per dirla con le parole di Aldo Bonomi - di "flussi che impattano sui luoghi”, modificandone le caratteristiche e i destini. Il qui e l'altrove sono in costante dialogo. Non si può analizzare l'uno senza prendere in considerazione l'altro, pena una deriva semplificatoria - oggi insostenibile - di ogni fenomeno che ci scorre davanti agli occhi.

Questa condizione ci sottopone due quesiti, tra loro collegati. C'è ancora bisogno della Politica? In seconda battuta, dando per scontata la risposta affermativa alla domanda precedente – anche se in molti non sembrano esserne più sicuri -, come possiamo ridarle la credibilità che merita? Nel campo ristretto del Trentino - messo in relazione necessariamente almeno con la dimensione europea – un gruppo di persone ha immaginato che un'associazione potesse essere utile. Non un partito (senza sottovalutarne l'importanza), non un comitato elettorale, non un circolo chiuso.

Siamo partita da una certezza. Non basta crogiolarsi nell'auto-assolutorio assunto che la Politica in generale "fa schifo"[cit., gli autori si sprecano] ma serve uno sforzo di visione, di elaborazione e alla fine di concretezza. Non può avere successo - ovviamente - la riproposizione stanca delle attuali dinamiche politiche, per una parte tattica e per un'altra approccio personalistico a un ambito che non può che essere invece collettivo. Senza uno scarto di senso, di metodo e di paradigma anche l'esperienza di territoriali#europei è destinata a essere ricordata come un esperimento sbagliato, confermando le peggiori previsioni che Lei Direttore ha anticipato – ci auguriamo a torto – in un paio di suoi editoriali. Diverso sarà se invece questo spazio di dialogo, confronto e approfondimento saprà rispettare gli obiettivi ambiziosi che si è dato: bonificare il terreno fangoso dentro il quale la Politica oggi si muove a fatica (spesso in direzione sbagliata), riqualificare i linguaggi e le categorie che la animano, restituirle la dignità necessaria per essere guardata con curiosità e rispetto. Se riusciremo a stupire Lei e tutti coloro che hanno pregiudizialmente inteso territoriali#europei come mossa strumentale e verticista - al limite del padronale - allora saremo certi di aver imboccato la strada giusta, avendone tracciato per il momento un brevissimo tratto.

 

Mi rendo conto di aver già scritto molto, ma mi preme toccare anche il secondo tema che mi ero prefissato. Lo farò brevemente. Nel Suo editoriale di qualche giorno fa faceva riferimento alle priorità per la città di Trento, in vista dell'appuntamento elettorale del prossimo 10 maggio. Tre erano gli aspetti che poneva all'attenzione dei lettori. Il primo era il mutato contesto (dei bilanci come del vivere urbano) con cui la governance cittadina dovrà fare i conti. Il secondo erano le tematiche più sentite – insicurezza percepita e degrado su tutte – di cui ci si dovrà occupare, possibilmente senza strumentalizzazioni o sottovalutazioni, il prossimo Sindaco della città. Terzo e ultimo era l'elenco di alcune situazioni specifiche, che non affronterò qui in maniera diffusa. La risposta alle Sue sollecitazioni (che stanno dentro la classica dialettica elettorale del cosa farà per...?) deve trovarsi – sempre se Trento vuole guardare davvero a una nuova fase della sua storia – nella capacità di chi la governerà di descrivere un nuovo piano strategico cittadino. Che sappia individuare una o più vocazioni prevalenti da far emergere con forza, che ne valorizzi le specificità e addirittura le unicità, che ne riannodi i fili urbanistici e paesaggistici lasciati monchi dalle grandi e incomplete progettazioni degli anni Duemila. E ancora, che abbia coraggio e lungimiranza nell'affrontare le problematiche che i margini di ogni città sottendono, curiosità nell'assumere come centrali le sfide della smart city, della sharing economy e dei big data e nel riflettere attorno al suo ruolo di capoluogo e centro di gravità di un territorio diffuso e articolato.

Tutti temi questi che – dato per assodato il restringersi dei contorni del bilancio e la generale frantumazione delle relazioni sociali – prevedono una ridefinizione generale del come la Politica vuole stare all'interno della comunità che ambisce a guidare. Gratificando l'assunzione di responsabilità dei cittadini nella ritrovata affermazione del principio di sussidiarietà, sperimentando la spinta gentile di processi condivisi di attivazione e sviluppo di comunità, utilizzando i metodi dialogici nella risoluzione creativa dei conflitti, riattivando tutte quelle competenze e quelle energie - presenti in ogni campo - che oggi rimangono ai margini della vita cittadina, dotandosi degli strumenti necessari per dare risposte efficienti alle criticità cittadine senza per questo sottrarsi all'impegno di volare alto e di descrivere immaginari, dando la sensazione di voler provare a dar corpo ai sogni di ognuno. Solo in questo modo Trento potrà essere la città che Louis Kahn così descriveva: “Un luogo dove un ragazzino, camminandoci, può vedere qualcosa che gli dirà cosa vuole fare per tutta la vita."

Credo che anche in questo frangente il contributo che l'Associazione territoriali#europei proverà a dare – grazie a un focus specifico da realizzarsi nel mese di aprile – potrà rivelarsi utile per tutti quelli che lo vorranno condividere.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da stefano fait il 04 marzo 2015 16:55
    Il declino dell'Occidente è un'influenza per il resto del mondo, non una malattia terminale.

    6 miliardi di persone non hanno alcuna intenzione di decrescere economicamente per fare un favore a noi (mal comune mezzo gaudio). Troveranno il modo di sfruttare altre risorse energetiche e di crescere in modo compatibile con l'ecosistema e noi non ci potremmo fare nulla, perché decideranno autonomamente.
    Stiamo diventando irrilevanti, una penisola dell'Asia che non riesce ad evolvere verso nuovi paradigmi di prosperità resiliente e sostenibile ad ogni livello (ossia emancipativa).
    O cambiamo o diventeremo come i panda e le nostre città saranno parchi a tema per i turisti dell'ex secondo/terzo mondo.
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