"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Israele, la scelta della guerra

Ulivi tagliati

di Michele Nardelli

(18 marzo 2015) Alla fine, invece, a prevalere è stata la paura. Il richiamo all'aggressività e alla negazione dell'altro che, fin nelle ultime ore della campagna elettorale ed anche durante il voto, hanno condizionato l'orientamento di questo popolo che non sa (e non vuole) uscire dal proprio incubo, portando alla vittoria del Likud. Come se, di questo incubo, ne avvertisse il bisogno per sopravvivere. “L'adrenalina è una droga” mi spiegava qualche anno fa un'insegnante israeliana di Sderot, non lontano da Gaza.

Netanyahu ha saputo toccare queste corde elementari, primitive: “siamo soli, dobbiamo poterci difendere”, argomento con il quale un piccolo movimento come quello sionista – che all'inizio del Novecento contava sul 3% della popolazione ebraica nel mondo – divenne dopo la tragedia della shoah l'ossatura costitutiva dello Stato di Israele ed ora rinverdito di fronte al monito per una soluzione politica di Barack Obama; “gli arabi stanno andando in massa a votare” per convincere che la lotta per far sopravvivere lo Stato di Israele comporta il fare quadrato attorno all'ipotesi che aveva spaccato il governo di Netanyahu (e che aveva portato alle elezioni anticipate) nel sancire che Israele è lo stato degli ebrei (e che gli arabi – o chi ha un altro credo religioso – sono un corpo estraneo); “con noi non ci sarà nessuno stato palestinese”, negando perfino l'esistenza dell'altro e rivendicando la propria sovranità su tutta la Palestina storica.

Che sia il principio della forza quello che anima la destra israeliana (e non solo) non è un fatto nuovo. Ma penso ci sia oggi una forma di autismo nel non rendersi conto che il vicino Oriente è diventato, a forza di guerre di civiltà (e dunque anche grazie all'Occidente), una polveriera. Che sta già esplodendo (l'assalto di oggi a Tunisi ne è una nuova dimostrazione) e che nell'esplodere si nutre di rancore ed oppressione, di militarismo e corruzione, di spaesamento e di infelicità per l'antico splendore perduto.

Uno di questi simboli è la questione palestinese, senza la soluzione della quale non ci sarà mai stabilità nella regione. Affermare dunque, come ha fatto Netanyahu, che con la destra al governo non ci sarà in Cisgiordania alcun Stato di Palestina (e negando al contempo la possibilità di uno “stato di diritto” nel quale possano convivere israeliani e arabi), significa una cosa sola: inibire la possibilità di un qualsiasi negoziato ed attrezzarsi ad una guerra permanente.

Non so quanto ne siano consapevoli i cittadini di Israele, tant'è che al “ritorno” in molti oggi preferiscono l'andarsene.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Ali Rashid il 18 marzo 2015 16:34
    Molto incisivo. Il risultato finale di questo voto è una pietra tombale, e non sappiamo fino a quando, per una soluzione politica alla questione palestinese.
    Così avranno tutto il tempo e lo spazio per crescere tutte le tendenze radicali che vedono nella forza e nella sopraffazione, l'unico mezzo per risolvere i problemi. Per questo voto, la questione palestinese non esiste o non rappresenta un problema dal momento in cui è stata risolta con la forza. Israele intende portare la sua egemonia fuori i confini in un medio
    oriente dilaniato e destabilizzato. Nel suo intervento al congresso americano, Natanyahu aveva già stabilito le cose da fare, dopo Iraq e Siria, è ora di fare la guerra all'Iran. Dopo questo voto, speriamo che almeno dalla comunità internazionale questo disegno venga smentito.
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