"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Elezioni comunali. Le domande che la politica non si pone

Il vuoto

Tempi interessanti (13)

di Michele Nardelli

(9 aprile 2015) Ci si interroga in questi giorni sulla qualità delle liste dei candidati presentate per le elezioni comunali in Trentino. E, prima ancora, sulle coalizioni di cui sono espressione i candidati sindaci. Quello su cui ci si interroga meno (o per nulla) è quel che sta accadendo nelle nostre città e nelle nostre borgate, come tengono i tessuti sociali, come si governano i processi economici, come interagire con una Provincia che ha scelto di non cedere poteri. Con il rischio concreto che, nel vuoto politico, siano gli interessi più forti a dettare le agende delle amministrazioni locali.

In effetti liste e coalizioni sembrano ben rispecchiare la crisi nella quale versa la politica nel tempo in cui il laboratorio trentino ha smesso di essere tale. Non mancano qua e là eccezioni, risultato di un lavoro che ha saputo talvolta mobilitare percorsi partecipativi, esperienze sociali ed intelligenze. Ma il quadro d'insieme ci dice che non sarà questa tornata elettorale a segnare un passaggio significativo nella riqualificazione della politica trentina.

Intanto sul piano delle coalizioni. Sul centrodestra non c'è molto da dire, nel suo confermarsi incapace di proporsi con una proposta aggregante e rappresentativa di culture ed interessi che pure sarebbero in questa terra tutt'altro che marginali, come talvolta il voto nelle elezioni politiche nazionali dimostra. Un'area culturale e politica che diviene un po' rappresentativa solo quando riesce a disarticolare il centrosinistra autonomista che da oltre vent'anni governa il Trentino e che oggi mostra crepe vistose.

Sotto questo profilo l'esito di un anno di amministrazione provinciale a guida Patt si fa sentire, tanto è vero che la coalizione si presenta unita a Trento, Rovereto (pur con la defezione dei Verdi), Borgo Valsugana, Dro, Lavis (dopo anni di divisione), Pergine Valsugana, Riva del Garda, ma non a Cles, Cavalese, Mezzolombardo, Mori, Storo... soprattutto per effetto di un Patt che rilancia il suo “block frei”, scegliendo la convenienza o le affinità locali ed alleandosi con coalizioni civiche o di centrodestra come a testare il terreno per il futuro.

Sembra a prima vista essere questo il valore più forte del voto del 10 maggio, testare il peso del Patt dopo l'insediamento di Ugo Rossi alla guida della Provincia, il suo tentativo di svuotare l'Upt (o il Cantiere democratico nel Comune di Trento) e di ridimensionare il PD. Perché il Patt, se vuole riconfermarsi come partito che esprime il presidente della Provincia Autonoma di Trento, non può permettersi di essere la terza forza con percentuali pressoché insignificanti nelle principali città.

Questa partita tende ad oscurare quella che, a mio avviso, dovrebbe invece rappresentare la vera questione di queste elezioni, ovvero la capacità di interpretare le trasformazioni dei tessuti urbani, le vocazioni e le identità economiche territoriali, il rapporto fra Provincia e territorio dopo la controriforma istituzionale che ha svuotato le Comunità di Valle, senza nemmeno comprendere che quella rappresentava una straordinaria opportunità di ridisegnare poteri e funzioni in una Comunità che si pensa ad autonomia integrale. Facendo prevalere nel contempo il centralismo provinciale e il particolarismo municipale.

Che tali domande non vengano nemmeno poste ci dice della separatezza della politica e ne descrive l'autoreferenzialità. Le stesse amministrazioni uscenti (e i sindaci in primo luogo) dovrebbero chiedersi se e come hanno saputo interpretare le trasformazioni in atto nelle loro città e borgate, comprendere i nuovi codici aggregativi e comportamentali che hanno sempre meno a che vedere con quelli del passato, provare a far corrispondere il disegno urbanistico non già a partire dagli spazi da riempire bensì dal riequilibrio di una dimensione urbana che andrebbe affrontata con una visione d'insieme del territorio provinciale.

Invece sembra prevalere la continuità, nei fatti assecondando processi di cambiamento che in assenza della politica vengono eterodiretti dai poteri forti, di volta in volta rivendicando capacità edificatorie, rendite, interessi particolari o giardini da difendere. Il contrario di un disegno condiviso, peraltro non più comprimibile nei confini di una municipalità.

Questa è la sfida vera. Di cui però non vedo traccia nei programmi delle coalizioni e nemmeno nel peso specifico delle liste, esito del vuoto progettuale e di una malintesa idea di ricambio che se non è nelle idee diventa un tratto formale e, semmai, post ideologico.

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da stefano fait il 16 aprile 2015 00:03
    Sarebbe bello che i politici cominciassero ad ammettere pubblicamente che, superata una certa soglia di astensionismo, non è più moralmente legittimo parlare di mandato pienamente democratico.
    Le forme della democrazia del presente sono antiquate, indegne di noi, e servono solo ad alimentare i vizi e mali sociali che denunci da sempre. L'unica alternativa proposta è un populismo che non è meno obsoleto.
    Tu ti auguri che qualche miracoloso fattore esogeno come la scaristà di risorse ci costringa a cambiare rotta. Ma non accadrà, perché le risorse sono abbondanti, su questo pianeta come altrove (in questi giorni è uscito un articolo che documenta l'origine abiotica del metano).
    http://www.unh.edu/news/releases/2015/03/bp30gashydrate.cfm
    Altri invocano sbarchi di alieni redentori.
    Altri ancora catastrofi punitive.
    Quel che invece serve è che la "società civile" divenga adulta, si assuma le responsabilità degli adulti, pensi ed agisca come fanno gli adulti, invece di delegare tutto ad altri e poi lamentarsi infantilmente tutto il tempo delle cose che non vanno.

    Bisogna creare occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista vengono messi a confronto, in cui le persone imparano ad ascoltare e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

    Bisogna che per la metà del secolo la gente pensi a noi come dei bamboccioni pieni di buone intenzioni ma ancora immaturi. Questo serve, perché l'umanità abbia un futuro dignitoso.
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