"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Nutrire il pianeta? La “Carta di Milano” e il cambio di paradigma che non c'è

Insostenibilità

 

di Michele Nardelli

(29 aprile 2015) L'apertura di Expo 2015 ha avuto ieri una prima anticipazione con la presentazione della “Carta di Milano”, l'atto politico più importante dell'esposizione mondiale dedicata al diritto al cibo. Ho letto attentamente la “Carta” e la sensazione che ho provato è contraddittoria, analoga a quella che ho avuto a suo tempo di fronte agli Obiettivi di sviluppo del Millenium1 elaborato dalle Nazioni Unite.

Forse le carte dei diritti internazionali sono un po' sempre così, risultato di mediazioni e compromessi fra punti di vista e interessi differenti. Indicazioni, non certo principi esigibili di un diritto internazionale che c'è solo sulla carta. Ed anche questo dovrebbe diventare oggetto di riflessione se pensiamo alla distanza profonda fra quanto viene declamato e la realtà.

Perché, per l'appunto, anche gli Obiettivi del Millennio definiti nel 2000 in questi quindici anni non solo non sono stati realizzati (proprio il 2015 era la scadenza della loro realizzabilità) ma non hanno nemmeno avuto la capacità di portare ad una inversione della rotta in questo mondo sempre più iniquo ed insostenibile.

Oggi la “Carta di Milano” lancia una nuova sfida, ma questa sembra nascere zoppa per le stesse ragioni, ovvero l'inesigibilità di questi obiettivi di fronte ad un mondo che ha da tempo oltrepassato il limite della sostenibilità, tanto è vero che per tre mesi e mezzo all'anno consumiamo risorse che gli ecosistemi non riescono a riprodurre2. Se non attraverso un cambiamento profondo tanto dei consumi quanto dei rapporti sociali che a sua volta richiederebbe un scarto culturale che non c'è.

A questo aggiungiamo che il pianeta è ormai prossimo alla soglia dei 9 miliardi di esseri umani (previsti nel 2030) e che l'orizzonte del pensiero (così come l'azione dei governi nazionali) continua ad avere come cornice il paradigma della crescita e degli interessi nazionali.

Leggendo la “Carta di Milano” si ha la sensazione che insostenibilità e iniquità siano cadute dal cielo, piuttosto che il risultato di un modello di sviluppo segnato dall'idolatria del mercato e del consumo, la cui gravità richiederebbe un cambio di rotta in assenza del quale l'unico strumento di regolazione sarà inevitabilmente la guerra. Ed in guerra per molti versi lo siamo già, non solo nei conflitti armati che insanguinano il pianeta ma anche di quelle che vengono realizzate in virtù di stili di vita considerati non negoziabili: la guerra del petrolio l'abbiamo già conosciuta, quella dell'acqua è in corso come del resto quella per la terra o per altre materie prime, il tutto alla faccia del diritto internazionale.

E allora la declamazione di diritti inesigibili, in assenza di un cambiamento radicale nelle scelte di fondo della politica, dell'economia e della stessa società civile, rischia di diventare un esercizio di retorica e di ipocrisia.

Ma una cosa, però, la possiamo fare: invece di cadere nella logica dello schierarsi a favore o contro “Expo 2015”, usiamo questi mesi per un serio dibattito sul presente e sul futuro, nella dimensione globale come in quella locale, partendo – perché no? – proprio dalla “Carta di Milano” affinché il ritorno alla terra, la sostenibilità e la cultura del limite diventino il cuore di una riflessione per quel cambio di paradigma che invocava Andrea Zanzotto3 e che, a guardar bene, della crisi della politica è l'essenza.

 

1 Gli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals o MDG, o più semplicemente "Obiettivi del Millennio") delle Nazioni Unite sono otto che tutti i 191 stati membri dell'ONU si sono impegnati a raggiungere per l'anno 2015. La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000, impegna gli stati a: 1. sradicare la povertà estrema e la fame; 2. rendere universale l'istruzione primaria; 3. promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne; 4. ridurre la mortalità infantile; 5. migliorare la salute materna; 6. combattere l'HIV/AIDS, la malaria e altre malattie; 7. garantire la sostenibilità ambientale; 8. sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.

2 L’Earth Overshoot Day, ideato dalla New Economics Foundation di Londra, misura il rapporto fra la biocapacità globale (ossia l’ammontare di risorse naturali che la Terra è in grado di generare ogni anno) e l’impronta ecologica (la quantità di risorse e di servizi che richiede l’umanità); il tutto moltiplicato per il numero di giorni dell’anno (365). Il primo Overshoot Day dell’umanità è stato il 19 dicembre 1987, anche se i calcoli hanno stabilito che il “debito ecologico” è iniziato già negli anni ’70 dello scorso secolo. Tre anni dopo, nel 1990, il giorno del sovra-consumo era già passato al 7 dicembre e dieci anni dopo (1997) al 26 ottobre. Nel 2014 è stato il 19 agosto.

3 «Oggi invece siamo alla mancanza del limite e alla caduta della logica, sotto il mito del prodotto interno lordo: che deve crescere sempre, non si sa perché. Procedendo così, la moltiplicazione geometrica non basterà più ed entreremo in un'iperbole, che ho sintetizzato in un aforisma di tre versi: “In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio”» Andrea Zanzotto, In questo progresso scorsoio. Garzanti, 2009.

La Carta di Milano

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*