"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il valore delle parole, la fatica del guardare oltre

La città del Festival

Il Festival dell'economia compie dieci anni

 

di Michele Nardelli

 

(30 maggio 2015) Il festival dell'economia è giunto alla sua decima edizione e non c'è dubbio che si sia trattato di una manifestazione di successo per le decine o forse centinaia di migliaia di persone coinvolte, per la qualità degli interlocutori coinvolti, per l'immagine di questa terra ed infine anche per l'indotto che ne è venuto attraverso il turismo culturale che rappresenta oggi uno dei segmenti più interessanti dell'economia locale.

Pensiamo al valore prodotto nel corso degli anni dalle proposte museali, dal Mart al Castello del Buonconsiglio, dal Museo storico del Trentino a Castel Thun, dal Filmfestival internazionale della Montagna al Festival dell'economia, per arrivare all'esplosione (di visitatori e di idee) in questo primo anno del Muse. Potremmo affermare che grazie alla cultura (e agli investimenti che l'autonomia le ha saputo riservare) il Trentino ha saputo reggere la sfida del tempo e dei cambiamenti di fondo che chiamiamo crisi.

Nel delirio del fare, emerge il valore della parola, della conoscenza, della relazione. Anche quando, le parole faticano a delineare nuovi pensieri e scenari. Vorrei dire che se in questi dieci anni di festival dell'economia qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto è proprio questo aspetto, peraltro non marginale: la capacità di visione.

Un festival non può supplire alla fatica del pensiero e della politica, la fotografa piuttosto. Ed in questo il Festival dell'Economia è uno specchio piuttosto fedele di quel che c'è, della difficoltà di scollinare il Novecento, la sua storia e le sue categorie analitiche e concettuali.

Sentire il vecchio Stiglitz prendersela con l'austerità e affidarsi al pensiero keynesiano, lasciatemelo dire, è quasi avvilente. Come se bastasse l'intervento dello Stato nell'economia e non invece la messa in discussione del paradigma della crescita, quella cultura del limite che ai tempi di Keynes nemmeno si prendeva in considerazione a fronte del presunto carattere illimitato delle risorse.

Come non vedere che il pianeta è già da un bel pezzo nel territorio dell'insostenibilità? Di questo, né il pensiero economico, tanto meno quello politico, non dicono. Il dogma è, per una larga trasversalità culturale e politica, il rilancio dei consumi. Tanto che, stando al premio Nobel per l'economia 2001, i paesi scandinavi diventano l'esempio da portare. Insomma, siamo fermi al “patto socialdemocratico” fra capitale e lavoro, una soluzione ridistributiva per l'occidente che si reggeva sull'esclusione dal tavolo delle trattative di tre quarti dell'umanità. Fuori dal tempo.

Di questa stessa mancanza di visione, ne scrissi dieci anni fa in occasione della prima edizione del Festival (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=0222), che impedì allora di comprendere quel che sarebbe accaduto di lì a pochi mesi con la crisi finanziaria dei subprime. Un ritardo che il Festival si è portato dietro negli anni successivi, rischiando sul piano della propria autoreferenzialità.

Interrogarsi con lungimiranza su quel che accade, questo vorrei sapesse fare il Festival dell'economia. Qualche anno fa ricordo di aver posto, in un breve colloquio privato con Tito Boeri, il tema dello scontro di civiltà riferito a quel che iniziava ad accadere nel Mediterraneo quale possibile argomento di una nuova edizione della kermesse trentina. La risposta fu che il festival non si occupava di aree geografiche.

Ecco... quel che è sin qui mancato al Festival dell'economia è proprio questa capacità di essere sfera di cristallo per aiutarci a guardare oltre e immaginare il futuro. E' il ruolo della politica, mi si potrebbe obiettare. Forse sì, ma da tempo quel fiume è diventato un rigagnolo.

Basterebbe alzare lo sguardo e porsi le domande giuste. Mi aggiro fra i luoghi (concreti o virtuali) del festival per cercarle. Mi consola pensare che ci siano tante persone e un luogo come il festival per farlo. Anche solo per questo, viva il festival dell'economia.

 

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