"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Accoglienza. Il ritiro del dovere pubblico

L\'arrivo a Bari della nave Vlora (agosto 1991)

Riprendo l'editoriale di Simone Casalini apparso sul Corriere del Trentino di oggi

di Simone Casalini

(3 settembre 2015) L’odissea dei profughi è una pellicola senza tempo dove Itaca è spesso un chimera, un sogno impraticabile. Da Erodoto in poi la Storia è colma di racconti di guerra e di gente in marcia. Se non è un conflitto è la miseria, se non è la miseria è la persecuzione, se non è la persecuzione è il desiderio di rovesciare il destino. Qualunque generazione ha osservato questi sfortunati Ulisse partire, perdersi, sperare, naufragare, salvarsi o morire.

Nel 1991, con l’implosione dei sistemi socialisti, dall’Albania esondò un fiume umano. Le navi mercantili erano sature di uomini e donne, molti di più attendevano sulle banchine. Altri galleggiavano in mare sperando nelle onde. In un giorno solo, il 7 marzo, arrivarono a Brindisi 27.000 persone che si erano cibate del mito illusorio divulgato dalla televisione italiana. Solo l’Adriatico li separava dai lustrini dell’Occidente. L’8 agosto a Bari giunse la nave “Vlora” con oltre 20.000 disperati. Gianni Amelio riassunse gli sbarchi nel film “Lamerica”, con quelle prue puntellate di teste che apparivano quasi metafisiche. La rotta proseguì per settimane.

Poco dopo si accese la miccia nei Balcani con la frantumazione della Jugoslavia e l’apice dello scontro in Bosnia-Erzegovina, la più esposta per la sua delicata composizione etnica (44% musulmani, 31% serbi, 17% croati). Il conteggio dei profughi salì a due milioni.

E se nel cuore del Novecento in tanti abbandonarono l’Africa stretta tra colonialismo e feroci dittature postcoloniali, nei coevi meriggi di ponente chi cerca riparo e chiede asilo politico sono i sudditi di Libia, Siria, Iraq, Eritrea, Etiopia e via via fino al Pakistan o all’Afghanistan. Sudditi, si fa per dire, dacché molti di questi Stati lo sono virtualmente. Traversano deserti e mari perché morire nell’odissea equivale a sopravvivere in quei luoghi. Vita e morte si annullano.

Nel Vecchio continente - concausa delle anarchie libiche, siriane, irachene, afghane e dell’estremismo sunnita - soffia l’ultimo vento della regressione con la politica locale, nazionale ed europea che si è ritirata. Alcuni indizi? Il regolamento di Dublino in tema di asilo politico, obbligando i rifugiati a rimanere nel Paese d’ingresso, è un nonsenso che impedisce un’equa distribuzione dei profughi e delle responsabilità per disinnescare un fenomeno sul quale speculano molti agitatori politici. Tra i membri dell’Unione europea, inoltre, esistono tante procedure di asilo quanti sono i Paesi. Ciò fa sì che le richieste dei siriani vengano accolte nel 99,8% dei casi in Svezia e nel 64,3% in Italia mentre gli afghani sono in sintonia con la legislazione italiana (95,4% di accettazione) ma non con quella britannica (36,9%). Infine, per rincorrere il fantasma populista, sono state affondate missioni umanitarie come “Mare Nostrum” a favore di operazione di corto raggio (“Triton di Frontex”) che hanno accresciuto il numero di vittime.

Il trogloditismo leghista che censura l’ospitalità è il lembo estremo, come si osserva in Trentino, di una subcultura contagiosa e senza sbocchi sociali collettivi. Una subcultura che segna il ritiro del dovere pubblico e l’affermazione della rivendicazione privata a godere in esclusiva della civiltà dello “shopping mall”. Se questo non è un naufragio, poco ci manca.

 

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