"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Divagazioni ferragostane

L'annuncio del Manifesto di Ventotene

di Vincenzo Calì

La lettura dell’articolo di Berardelli sul Corriere della sera nel quale si nega alla radice l’attualità del pensiero espresso a Ventotene nel 1941 da Spinelli e Rossi (l’autore immagina una nuova centralità degli stati nazionali) ci spinge a ribadire con forza il valore di quel manifesto.

Partiamo dal nostro piccolo: una settimana, la prossima, da segnare fra quelle che possono ridare quella spinta di cui il paese intero e la nostra Regione ha grande bisogno. Intanto, al rientro al nostro paesello alpino di Tania Cagnotto e Francesca Dallapè non mancheranno le occasioni per sottolineare come l’abnegazione l’impegno e il comune sentire delle nostre atlete siano un esempio da seguire da parte delle due comunità da cui le nostre campionesse provengono.

Si sincronizzino, ed in fretta, gli esponenti politici di Trento e Bolzano, nell’impegno a costruire la futura casa comune, cominciando col dire al Capo dello Stato presente a Pieve Tesino per l’anniversario degasperiano che le speciali prerogative autonomistiche di quest’area di confine, colonne portanti del disegno federalista dei padri fondatori della repubblica, non sono negoziabili, ma possono sicuramente indicare la strada da seguire alle altre meno fortunate regioni della nostra Italia.

Ed è proprio nel momento in cui il Presidente del Consiglio si fa promotore di un incontro a Ventotene dei paesi fondatori dell’Unione Europea è bene che il regionalismo italiano venga irrobustito e non ridotto ai minimi termini come il disegno di riforma costituzionale lascia prevedere.

Autorevoli commentatori in questi giorni stanno mettendo in guardia rispetto ai pericoli a cui andremmo incontro se la Consulta non dovesse provvedere a neutralizzare la mina rappresentata dal combinato disposto fra una legge elettorale come l’Italicum e il profondo riassetto costituzionale proposto dal Parlamento; mina vagante che, in assenza di decisioni della Consulta, non potrà che essere disinnescata dal giudizio degli elettori attraverso referendum.

Si colga infine il momento del richiamo agli anniversari di tre figure come quelle di Moro, Degasperi e Battisti, per ribadire la necessità di procedere rapidamente verso quegli stati uniti d’Europa che furono nel loro pensiero e nella loro azione.

Ribadisco che la sfida deve vedere i nostri territori in prima linea. Che le Dolomiti, come sostiene Marco Zulberti, sovrastino nell’immaginario collettivo ogni altra definizione territoriale è fuori discussione: dall’alto, allo “sguardo del sapiente glaciale”, per riprendere la famosa definizione di ‎Antoine de Saint-Exupéry aviatore, l’antropogeografia umana scompare e sono le ere geologiche ad avere il sopravvento.

Che il nome stesso della regione dolomitica venga da uno studioso francofono è di per sé un fattore che ci potrebbe indurre a considerarne esili i confini interni ed esterni. Ma così non è, come la storia, che si misura in migliaia e non in milioni di anni, ci insegna; l’unico confine interno a saltare, negli ultimi secoli, ai piedi delle Dolomiti, è stato quello dell’area ladina: a fine ottocento il geografo Cesare Battisti lanciava l’allarme sul pericolo di estinzione della ladinia, dimezzatasi lungo il secolo sotto la pressione pangermanista: dalla Rendena alla Pusteria ovunque andava imponendosi il tedesco. Discorso rovesciato si può fare per il secolo successivo, in cui l’italiano venne imposto con la logica delle armi fino alle estreme balze dei passi Resia,Tarvisio e Brennero.

Saggezza vorrebbe che, in un’Europa guidata con spirito federalista e autenticamente democratico si addivenisse ad una delimitazione territoriale per l’area dolomitica (non confini di Stato!) più rispettosa della millenaria storia e memoria delle popolazioni che vivono nelle valli i cui corsi d’acqua finiscono in Adriatico.

Ci sovviene ancora il pensiero del geografo di Trento che, a specifica richiesta del grande meridionalista Gaetano Salvemini, ritenne opportuno fare un passo indietro, rispetto alle rivendicazioni nazionalistiche che chiedevano di portare il confine all’Italia augustea o ancora più in là, al Brennero, inedito confine in una storia bimillenaria, sostenendo come assai buono il confine linguistico lungo i salienti delle valli di Non e di Fiemme, e che da lì, con le tecniche militari del tempo, sarebbe stata possibile, in caso di necessità, una difesa di Bolzano. Giudizio arrischiato, secondo lo stesso Battisti, ma pur sempre rispettoso della storia passata come del tempo presente. Ne tengano conto, i componenti delle due assise, Consulta e Convenzione, nel predisporre il disegno della nuova carta geopolitica, considerando gli statuti al plurale, come la storia impone.

Sulla percezione infine che dell’area dolomitica hanno i concittadini delle altre regioni italiane, l’analisi di Zulberti corrisponde ad un dato di fatto (valga l’ammonimento del nonno italico sotto l’ombrellone, che di fronte all’offerta di caramelle alle nipotine, figlie di una trentina, così si rivolge alla malcapitata offerente: “ non dategliele, che la loro mamma è tedesca!) ma ciò deve ancor più vedere impegnati i trentini a rivendicare la propria originale italianità di confine, quella che ha permesso loro nei momenti migliori di fare da ponte fra la cultura italiana e quella tedesca.

 

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