"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Paura e immigrazione, il contesto e qualche interrogativo.

Barchette

L'intervento di Antonio Rapanà alla bella serata di presentazione del libro “Sicurezza” a Trento

di Antonio Rapanà

(14 luglio 2018) Permettetemi, innanzitutto, di ringraziare Michele e Mauro, per aver offerto a me e a tante altre persone l’opportunità di uscire dall’indignazione individuale, dall’afasia generata dal nostro sgomento, per farne un momento collettivo, sia pure embrionale, di riflessione. Li ringrazio, in particolare, per non averci comunicato pensieri e parole semplicistici e rassicuranti, tipo “a da passà ‘a nuttata”. Michele e Mauro ci sollecitano, piuttosto, a rivedere i ragionamenti, le modalità e le relazioni dell’accogliere.

Come tanti ho avvertito scoramento e spaesamento di fronte alla ferocia e all’aggressività della nuova classe politica e di un’opinione pubblica impoverita ed impaurita. Ho vissuto anch’io la paura e avverto il bisogno che essa sia capita e rispettata; ho imparato, quindi, a capire e rispettare le paure degli altri. Le paure degli stranieri in primo luogo ma, anche, le paure dei miei connazionali. La mia grande paura è che questa fase tormentata e confusa possa inghiottire anche il futuro.

Mi sono chiesto: non ero forse io che insegnavo agli studenti che la storia siamo noi? Ebbene, mi sono venuti in soccorso degli studenti di Faenza i quali, il primo giorno degli esami di maturità, hanno consegnato, insieme alla prova di italiano, un foglio sul quale era scritto: «Io sottoscritto …, in riferimento alla situazione delle persone migranti, pretendo il rispetto dell’articolo 2 della Costituzione, che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Chiedo che questo mio messaggio sia recapitato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Interni e al Ministro dell’Istruzione». L’esempio di questi ragazzi è la dimostrazione che la paura non ha un’unica, inevitabile conseguenza: inghiottire l’umanità che si impegna a fare la storia.

Capire e rispettare le paure non deve, in ogni caso, significare timidezza nell’opposizione alle retoriche aggressive e disumane degli imprenditori politici dell’intolleranza. Di questi, in primo luogo, si deve smascherare il discorso pubblico carico di menzogne e di violenza. Clandestino, invasione, difesa dei confini, respingimento, espulsione: sono solo alcune delle parole brandite come clave dai nazionalismi del nuovo millennio per produrre insicurezza, paura, intolleranza, odio contro un nemico che non c’è. Ed è vero che la maggioranza delle persone che vive nel nostro paese ha fatto propri queste parole, questi sentimenti, questi comportamenti contro gli immigrati.

Io preferisco definirli immigrati piuttosto che migranti, perché mi pare che il primo termine esprima in modo più realistico il carico di sofferenza e di speranza che porta con sé ogni persona che abbandona affetti, relazioni e cultura, per approdare in una terra lontana e talvolta ostile, in cerca di un futuro più sicuro, più dignitoso, più libero. Molti italiani si sentono minacciati ed invocano il rispetto della legalità violata, a cominciare dalle leggi che disciplinano l’ingresso degli stranieri in Italia. Sia ben chiaro: il rispetto delle leggi che garantiscono la convivenza e i diritti di tutti in questo Paese va osservato indistintamente da italiani e stranieri. Ci sono comunque alcune cose facili da capire: in primo luogo che l’immigrazione in Italia è soprattutto una immigrazione per lavoro, attratta da un mercato del lavoro che soffre per la carenza di forza lavoro a basso costo in un Paese che vive uno spaventoso declino demografico.

Ora, è vero che l’immigrazione non può essere governata dalla demografia, ma è altrettanto evidente che non si può prescindere dalle prospettive demografiche. Fanno paura gli irregolari anche se una gran parte dei 5 milioni di stranieri che vivono e lavorano regolarmente in Italia hanno, nel loro passato, l’esperienza dell’ingresso irregolare. Clandestini non per una naturale propensione a delinquere, ma per mancanza di realistici canali di ingresso regolare per lavoro. Infatti le leggi in vigore prevedono soltanto l’ingresso su chiamata del lavoratore straniero residente nel suo paese da parte di un datore di lavoro che vive in Italia. È credibile che un imprenditore assuma un lavoratore che non ha mai visto in faccia? Non è credibile, ed infatti negli anni è cresciuto il fenomeno degli imprenditori che rilasciano contratti di comodo in cambio di sostanziose somme di denaro. Ma la maggioranza degli stranieri, trovata chiusa la porta principale dell’ingresso regolare, è entrata dalla finestra dell’ingresso irregolare. Ed ha ottenuto poi il permesso di soggiorno che ha consentito di lavorare e di vivere regolarmente in Italia con una delle frequenti sanatorie. Il temibile clandestino che aveva suscitato tante paure veniva trasformato, grazie alla sanatoria, in lavoratore utile e necessario. Le sanatorie, pudicamente chiamate regolarizzazioni, non sono una particolarità italiana, ma un diffuso fenomeno europeo: alla fine degli anni ‘50 la Germania emanò un provvedimento di sanatoria che regolarizzò migliaia di lavoratori italiani che erano immigrati irregolarmente nel nord Europa; negli anni successivi sanatorie sono state attuate in Francia, in Spagna e in Grecia. In Italia la prima, e per questo ricordata miticamente dai primi stranieri giunti nel nostro Paese, fu deliberata nel 1986; poi si governò il fenomeno dell’immigrazione con questi provvedimenti periodici, fino al 2009. Ricordiamo solo che la più grande sanatoria avvenuta in Italia fu deliberata nel 2002 da un governo di centro-destra cui partecipava anche la Lega Nord di Bossi. In effetti la storia delle politiche migratorie europee mostra che il controllo delle migrazioni internazionali è stato ottenuto molto più per via inclusiva – regolarizzando ampie masse di stranieri irregolari – che per via repressiva, punendoli con l’allontanamento o con il carcere.

Tutto bene quindi? Non proprio, per varie ragioni imputabili in gran parte alla nostra pigrizia intellettuale e politica che non ci ha permesso di ripensare radicalmente le politiche dell’accoglienza in funzione dei cambiamenti profondi che hanno sconvolto gli assetti consolidati della comunità civile. L’abbinamento di impoverimento materiale e di impoverimento culturale ha eroso le fondamenta stesse dei nostri pensieri e delle nostre pratiche: non c’era assemblea comunale in cui non mi difendessi dalla aggressività di non pochi partecipanti, sottolineando l’utilità della forza lavoro delle persone immigrate. “Fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”, abbiamo ripetuto per anni, anche se in cuor mio pensavo che fosse più giusto dire: “Fanno i lavori a condizioni che gli italiani, a ragione, non accettano più”. Inoltre, questa argomentazione poteva funzionare con coloro che avevano bisogno del lavoro degli immigrati. La crisi economica e del lavoro ha reso debole questo paradigma difensivo che – in verità – riduce l’accoglienza a pura scelta di convenienza. D’altra parte il discorso dell’utilità delle persone straniere non regge per i richiedenti asilo. Infatti le persone straniere che cercano in Italia un rifugio sicuro a fronte di guerre, più o meno “umanitarie”, ma sempre spaventose, o dalle repressioni di regimi dittatoriali sono del tutto “inutili”, in quanto viene loro perfino vietato di lavorare.

I richiedenti asilo devono essere accolti in quanto esseri umani. Ogni altra soluzione deve essere respinta in quanto incivile e disumana, compresa quell’ipocrita indicazione “Aiutiamoli a casa loro”, che non significa l’attivazione di incisivi piani di Cooperazione per lo Sviluppo finalizzati al rovesciamento del rapporto di espropriazione - appropriazione tra paesi del Sud del Mondo e l’Occidente ricco e consumista. Al contrario, infatti, l’“Aiutiamoli a casa loro” si risolve cinicamente nel finanziamento a potentati locali, generalmente corrotti ed illiberali, per fare il lavoro sporco e violento che noi non riusciamo a fare efficacemente: impedire agli immigrati di arrivare fino a noi. Intanto, il nuovo governo, col plauso di troppi, si limita ad inventare l’incredibile reato di solidarietà per chiunque si azzardi a salvare vite umane.

Dopo aver tracciato un quadro sintetico dei problemi che l’immigrazione pone, mi restano alcune domande fondamentali che vorrei discutere con voi.

Da chi si sente minacciato davvero il cittadino italiano e perché? E’ la diversità culturale, i modi di vita, la consistenza numerica degli “altri da noi”, la crisi economica, che fa vivere gli immigrati, i profughi, i rom e i sinti come invasione e, dunque, minaccia non più sopportabile? Che trasforma la diffidenza in rifiuto, in ostilità; è l’ansia che fa lievitare l’aggressività? Che scatena “guerre tra poveri” e soffoca ogni forma, anche minima, di solidarietà? Che fa sembrare non solo necessaria ma legittima la scelta di impedire a chi fugge da guerre o persecuzioni, non solo la possibilità di arrivare fino a noi, ma addirittura di essere soccorso e aiutato? Che fa sembrare legittima la scelta di alzare muri, di chiudere frontiere? Dire semplicemente che i profughi andrebbero accolti in quanto esseri umani in una situazione di estrema sofferenza, è buonismo? Dire che questo non dovrebbe, e non può essere, il compito di un singolo paese, ma di tutta l’Europa; un compito che può essere affrontato solo ed esclusivamente attraverso la cooperazione tra gli Stati europei – se è vero che i valori basilari sono l’uguaglianza, la libertà, l’accoglienza, la solidarietà – è una proposta indecente?

Siamo smarriti non tanto di fronte alle parole di Salvini, non ci aspettavamo da lui una narrazione diversa. Siamo angosciati e smarriti di fronte al numero crescente di persone che queste parole e quest’aggressività condividono, sostengono, esaltano. Anche persone che ritenevamo lontane da questi pensieri, da queste parole, da questi atteggiamenti. Forse dobbiamo abituarci ad accettare la sofferenza che ci deriva da un problema – quello dei profughi e degli immigrati – che a me pare, in questo momento soprattutto, irrisolvibile.

Non vi sembrerebbe utile trovarci periodicamente, in un qualunque luogo, per discutere di questi interrogativi e percorrere insieme almeno un piccolo pezzo di storia?

 

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