"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Cinque tesi e una proposta...

Marsiglia

di Federico Zappini

TESI UNO – Il corpo del capo e la brevità dei cicli politici. Nei giorni scorsi Matteo Renzi ci metteva al corrente di aver perso dieci chili accumulati durante il suo impegno da Presidente del Consiglio. L’altro Matteo sembra invece nella fase dell’accumulo, all’ingrasso. Il corpo del capo parla (Marco Belpoliti ne scriveva ai tempi di Silvio Berlusconi) e la relazione bulimica con il cibo diventa in questo caso metafora di un agire famelico che alla pancia punta con i suoi messaggi e che la pancia utilizza per ingurgitare tutto. Senza digerirne la complessità. Evitando l’opera di decodificazione che dovrebbe essere propria della politica stessa. Tutto in pancia quindi, fino a scoppiare. Se la dieta di Renzi sembra premessa – non si impara mai dai propri errori – al tentativo di rimettersi “a tavola”, per Salvini siamo invece alla saturazione prima dell’esplosione (ricordate i Monty Phyton? Tenete pronta una mentina) che è propria di fenomeni politico/sociali sempre più basati sulla viralità mediale e digitale, qui e ora. Leader (!?) usa e getta.

Il peggio è passato quindi? Non sono così ottimista. Eppure – è una tesi ardita, ma che va percorsa – si direbbe che si sia scollinato l’apice della curva di consenso e di penetrazione della propaganda salviniana e più in generale sovranista? I cicli politici sono disordinati. Sono processi concatenati alla comunicazione, fino a quando funziona. Qualche scricchiolio proprio negli andamenti della propaganda social si accompagnano ai primi sondaggi – per quanto valgono – in leggera contrazione, a dare corpo all’idea che entrambi i campi non si possano espandere all’infinito.
Altri segnali, in ordine sparso, provengono da altri fronti. La prima frattura nel gruppo di Visegrad, con l’elezione di Zuzana Caputova in Slovacchia e le sconfitte di Erdogan nelle principali città turche. Il tentativo, scomposto, di uscita dall’UE del Regno Unito che mostra i limiti dell’ipotesi di fuga dalla cornice europea. Per quanto riguarda la politica interna le fibrillazioni dell’asse giallo-verde non sono dovute solo alle contraddizioni del contratto di governo che cominciano una dopo l’altra a venire a galla, ma dalla fragilità globale della dinamica economica, con crescita asfittica o addirittura accenni di recessione tecnica.

Segnali. Che da soli non costituiscono la soluzione e che non elimineranno d’incanto le contraddizioni assortite che, giorno per giorno, continueranno a far capolino dentro le nostre vite quotidiane. Segnali che non evolveranno da soli, ma che richiedono una fase di riorganizzazione che non può non tener conto di una serie di dati.

TESI DUE. Il mese dei movimenti. Fotografia, rischi e potenza. Marzo è stato un mese frenetico che ha visto materializzarsi diverse forme di protagonismo sociale. Forme di movimentazione che si sono espresse a favore di una decisa trasformazione dell’esistente. Al netto della differenza dei temi affrontati gli scioperi trans-femministi ed ecologisti, così come le manifestazioni per rivendicare l’accoglienza o sostenere esperienze di (dis)obbedienza civica (come nel caso di Mediterranea o attorno alla figura di Mimmo Lucano), sono testimonianza tangibile e non necessariamente minoritaria di una mobilitazione trasversale e – pur non priva di contraddizioni – capace di eccedere da argomenti e contesti specifici, ambendo alla globalità di un cambiamento che dal mondo intero arrivi fin dentro la vita di ognuno.

Si è appena concluso quindi un periodo potente e generativo dal punto di vista dell’immaginario e della pratiche. Un mese che è innesco necessario, ma non sufficiente. Perchè se la fotografia (le fotografie, vista la quantità di scatti condivisi online è davvero notevole) rincuora e offre l’idea di una comunità vasta capace di ritrovarsi non bisogna nascondere il fatto che il rischio più grande all’orizzonte sia quello di teorizzare una presunta autosufficienza delle piazze e dei movimenti, che normalmente si accompagna a una distanza netta e irrisolvibile tra movimenti stessi e Politica. La potenzialità invece sta – e non ne nascondo le difficoltà – nella capacità di quelle stesse piazze di diventare luogo di ricomposizione politica (non necessariamente riducibile ai contorni canonici della Sinistra, ma articolando una geografia più ampia e diversificata), elaborazione progettuale che unisce valori e pratica quotidiana, costruzione delle condizioni per transitare dal bisogno di mostrarsi e prendere parola (la piazza è lo spazio dedicato a questo) al desiderio di incidere nel governo della realtà, sapendone determinare la direzione futura facendosene carico.

TESI TRE. Il bisogno di nuova rappresentanza. Quelle piazze non si possono accontentare di essere esplosioni sporadiche e temporanee. Allo stesso modo non possono limitare il proprio obiettivo a far sentire la propria voce (sui cambiamenti climatici così come nell’opposizione a un disegno di legge sbagliato) immaginando di modificare l’azione della politica, intesa come soggetto terzo e altro da sé.

Le piazze sono LA Politica se sanno reinterpretare in maniera radicale il concetto di partecipazione, con la sua conseguente declinazione materiale, e coinvolgimento nella sfera di un contesto collettivo. Sono LA Politica se riescono a sfuggire dalla deriva individualista di questo tempo, riconoscendo nell’idea di bene comune da raggiungere non la semplice somma di ambizioni e rivendicazioni di ogni cittadina e cittadino ma l’ordine nuovo – quel patto sociale oggi reso instabile dal mutare delle condizioni del mondo che lo aveva promosso e promesso – del vivere comunitario.

Significa, stringendo il ragionamento, non attendere che si materializzi una rappresentanza più adeguata (più verde, più sociale, più donna, nell’ordine di preferenza di ognuno) ma farsi carico in proprio, mescolando gli ingredienti necessari senza paura di farli reagire uno con l’altro, della rappresentanza stessa, offrendo in questa maniera un’alternativa non di semplice testimonianza di particolarità e parzialità.

TESI QUATTRO. L’Europa sullo sfondo. Il 26 maggio in Italia, non mi avventuro oltre quei confini almeno in questo frangente, si terrà un referendum sull’operato del Governo e i tre aspetti che verranno analizzati a valle di questa consultazione saranno il punto di stabilizzazione della Lega (sopra o sotto il 30%) in relazione all’andamento del fu cdx, il punto di caduta del M5s (sopra o sotto il 20%) e la tendenza al recupero del PD (senza di fatto fare nulla, quanto sopra il 20% e davanti o dietro il M5s). Tutto il resto avrà – e me ne dispiaccio, ovviamente – importanza relativa, sia per quanto riguarda gli argomenti che ci avvicineranno al voto (si comincerà a parlare davvero di Europa, oltre al posizionarsi a favore o contro a essa?) sia per le proposte politiche che si muoveranno ai margini della contesa (La Sinistra, serviva?, I Verdi Possibili, si bastano? +Europa, è mancato il coraggio di rompere qualche steccato?).

L’Europa rimane tristemente sullo sfondo quindi. Bersaglio facile per chi l’attacca o apologia debole di chi la difende. Non laboratorio geopolitico multilivello di un futuro da implementare, mettendo in comunicazione livelli dell’infrastruttura continentale oggi tra. L’ennesima occasione sprecata che rimarrà sul terreno lì dove – se le tesi 1, 2, 3 dovessero rivelarsi corrette – saremo chiamati ad assumerci le responsabilità degli errori commessi in questi decenni.

In Trentino in particolare – dopo il 21 ottobre, data che a reso evidente una discontinuità non più eludibile – si sarebbe potuto tessere un interessante filo rosso, contenutistico e organizzativo, tra voto europeo, suppletive per il Parlamento in due collegi e amministrative del 2020. Nulla di tutto questo. A poco più di un mese dal 26 maggio le questioni sul tavolo sono i candidati (buoni o cattivi), i simboli (nuovi o vecchi) e alleanze, intese come somme tra diversi, a breve termine.

TESI CINQUE. Da vicino (ci) si vede meglio. Vivendo il presente bisogna predisporsi al futuro. Non pensando di poter bypassare la scadenza europea – che arriverà, forse meno decisiva di quanto credevamo, ma significativa – ma attraversandola accogliendo l’invito di Ada Colau a “pensare facendo”, riconoscendo nelle città l’avamposto per costruire un’alternativa che trasformi i processi democratici di prossimità e, dal basso, scardini le rigidità statuali ed europee mettendole in discussione e rinnovandone le caratteristiche. E’ un richiamo al decentramento, così da “rovesciare la piramide e ripartire dai territori”, che si pone in antitesi alle fascinazioni centraliste che riemergono tanto a destra quanto a sinistra. E’ il Terzo Spazio municipalista che non intende rinserrarsi nel locale ma aprire forme dialogiche nuove tra livelli geografici e politici, da connettere e far collaborare. Si tratta di “metropoli intese come lo spazio della resistenza e dell’invenzione di nuove forme di vita, libere e tendenzialmente egualitarie. Il luogo dove proliferano conflitti sociali nuovi, forme di cooperazione mutualistica, iniziative culturali indipendenti.” Da vicini (ci) si vede meglio e dentro il tessuto urbano si possono mettere a terra, non partendo da zero ma dalle condizioni date dalla TESI TRE, progettualità politiche allo stesso tempo visionarie e puntuali. Grandi ideali democratici trovano nella città la cornice perfetta perchè essa obbliga a trovare soluzioni utili giorno per giorno alla vita di cittadine e cittadini. Il punto di partenza migliore e più adeguato a ciò che si è e a ciò che si vorrebbe essere.

PROPOSTA. Un processo sociale e politico che parte Trento e parla al Trentino intero. Qualche settimane fa ero a Marsiglia per il Carnevale di La Plaine e Noailles, due dei quartieri più popolari della città. Un corteo – rumoroso e danzante, gioioso e radicale – ha riempito lo spazio pubblico facendolo ribollire di una vitalità contagiosa. Un’energia, quella dei corpi che occupano le strade e ballano seguendo un unico ritmo, che accoglie e coinvolge. Un’energia che non vive della somma ma della moltiplicazione di chi si mette in gioco. Un’energia che – pur nelle contraddizioni irrisolte di una città difficile e ruvida – è scintilla per ricombinare idee e prospettive che altrimenti sarebbero disperse nel tessuto cittadino. In quelle strade ho inteso le forme dello spazio sociale e politico da cercare che Georges Didi-Huberman meglio di me ha saputo definire:

“(uno spazio) magari interstiziale, intermittente, nomade, collocato in maniera improbabile. Delle aperture, dei possibili, dei bagliori, dei malgrado tutto. Vi saranno solo segnali, singolarità, frammenti, lampi passeggeri, e pure poco luminosi. Lucciole insomma… Ma è necessario rispondere a questa disperazione ‘illuminata’ con il fatto che l’animata danza delle lucciole ha luogo proprio nel cuore delle tenebre. E che non è altro che una danza del desiderio che dà vita a una comunità.”

Partendo da Trento – non come zìta opposta ale val, ma come baricentro di un ipotetico ecosistema provinciale – e dalle sue elezioni comunali del prossimo anno va innescato un processo che da sociale diventi politico. Un movimento tale da permettere l’ampliamento dello schema (superando l’esausta pratica coalizionale, che pure ritorna anche in questi giorni) accogliendo e valorizzando ciò che nel territorio vive e agisce – le lucciole di Didi-Huberman – e spingendo verso l’alto l’idea di un progetto per la città, e di conseguenza del Trentino, che sarà.

*fotografia scattata a conclusione del corteo del Carnaval Indépendant de La Plaine Noailles Réformés Belle de mai, a Marsiglia lo scorso 9 marzo. I carri costruiti per l’occasione vengono incendiati e attorno a essi si sviluppa un vorticoso ballo collettivo.

Testo tratto da pontidivista

 

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