"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'Italiano. Un romanzo sulla Tunisia come spazio mediterraneo

La prima di copertina del libro

Shukri al Mabkhout

L'Italiano

Edizioni e/o, 2017



L'Italiano è un romanzo dello scrittore Shukri al Mabkhout, ambientato nella Tunisia della seconda metà degli anni '80, in un passaggio cruciale di quel paese, fra il nazionalismo arabo baathista che segnò tutta la fase post coloniale e il prendere corpo dell'islamismo politico.

Fra queste due tendenze – la prima ancorata nell'apparato statuale del supremo combattente1, la seconda che ha come riferimento il movimento dei Fratelli mussulmani radicata attorno al potere religioso – una sinistra marxista incapace di rappresentare un'alternativa, un po' perché fenomeno poco radicato nella complessità del tessuto sociale, un po' perché legata agli schemi ideologici di un mondo che ha esaurito – per usare una terminologia di quegli anni – la propria spinta propulsiva.

Di questo mondo è espressione il giovane protagonista del romanzo, Abdel Nasser, l'Italiano, chiamato così per la raffinatezza dei modi e del vestire, dal fascino che gli viene dalle origini andaluse della madre e dall'alterigia della bellezza turca del padre. Leader universitario di belle speranze, abbraccerà casualmente la professione giornalistica nel maggiore quotidiano legato a doppio filo al potere politico tunisino, perdendosi poi fra disincanto, storie d'amore e malcostume.

Il romanzo prende il là dal funerale del padre di Abdel e dallo scandalo che genera quest'ultimo picchiando l'imam sheikh 'Allala mentre celebra il rito funebre. Da qui si srotola il racconto, un affresco della società tunisina e di quel passaggio di tempo.

La primavera araba è ancora lontana. Lo scontro politico che si svolge prevalentemente all'interno delle pieghe del potere, un apparato statale onnipresente fin dentro la vita stessa delle persone, porta all'estromissione del vecchio padre della patria Bourghiba e all'ascesa al potere di Ben Ali. La natura oppressiva del regime non cambierà, così le dinamiche di potere nelle quali Abdel si è accomodato. Anche la storia d'amore con Zeina, giovane intellettuale non allineata e studiosa di Hannah Arendt, entra in crisi e s'interrompe con la sua scelta di andarsene da un paese chiuso negli ingranaggi di una società corrotta e maschilista.

Ho avuto la possibilità di intercettare quel lungo crepuscolo di regime in occasione della mia unica visita a Tunisi. Era il giorno di Capodanno fra il 1987 e il 1988. Una breve visita, il tempo di incontrare Abu Jihad, responsabile in esilio della prima Intifada palestinese, fondatore di Fatah e figura cruciale della dirigenza dell'OLP, nella casa di Sidi Bou Said, alla periferia nord di Tunisi. Grazie all'interlocuzione con l'amico Ali Rashid, parlammo a lungo delle relazioni culturali da mettere in campo attraverso il coinvolgimento delle Università palestinesi ed italiane. In quella stessa casa, poco più di tre mesi più tardi, avvenne l'operazione terroristica dei Servizi segreti israeliani che portò all'assassinio di Abu Jihad e delle persone della sua scorta.

Non so se fosse per la natura della mia visita a Tunisi, ma in quei due giorni di permanenza ebbi la sensazione che ho ritrovato vent'anni più tardi nel romanzo di Shukri al Mabkhout, ovvero la cappa particolarmente ossessiva del potere politico e poliziesco. Quella stessa sensazione che rivissi nel clima di sospetto che aleggiava nel salone della Cgil a Trento quando a Sidi Bouzid scoppiò la primavera tunisina e Ben Ali venne deposto.

So di dover usare con prudenza l'espressione primavera araba, per come sono finite drammaticamente le stagioni di protagonismo sociale in Siria e in Egitto o, prima ancora, in Libano. Ma dove quest'ultima primavera prese il via con il suicidio di Tarek Mohamed Bouazizi, la Tunisia, lì almeno ha lasciato il segno. Che si sia trattato di primavera o di rivoluzione sociale antiautoritaria, di rivoluzione interrotta o di transizione affine a quella portoghese del 1974 come afferma Hamadi Redissi, fondatore dell'Osservatorio tunisino sulla transizione democratica, la Tunisia si è confermata un importante e originale laboratorio del mondo arabo2. La stessa traiettoria dell'islamismo politico ha trovato qui una declinazione interessante ed originale che andrebbe conosciuta e studiata pur nella sua contraddittorietà, laddove sembrano riemergere tentazioni autoritarie o di natura teocratica.

Come scrive Simone Casalini «la Tunisia rimane immersa in una transizione densa e tribolata nel più totale disinteresse dell'Europa e dell'Occidente. Ma conserva intatta la possibilità di essere un laboratorio politico e sociale inedito per il mondo arabo e il Maghreb. La Tunisia è araba, africana, ma anche europea. E' il punto d'accesso all'Europa e il punto d'ingresso in Africa. Il viavai delle due coste, che si osservano riconoscendosi, è uno dei tanti innesti dell'ibridazione tunisina, della via originale a un archetipo che è anche giuridico e i suoi contrasti(tra secolaristi e islamisti, laici e credenti, modernisti e tradizionalisti), se mediati politicamente, possono trasformarsi nell'avanguardia di un nuovo modello per i paesi di cultura islamica»3.

Anche per questo la lettura de L'Italiano (incrociata con quella de Lo spazio ibrido, già recensito in questo blog) ci può aiutare a comprendere non solo quel che accade in questo paese ma il più complesso spazio mediterraneo, di cui siamo parte troppo spesso inconsapevolmente. (m.n.)

1Così veniva chiamato Habib Bourghiba, presidente della Tunisia dal 25 luglio 1957 al 7 novembre 1987 quando venne destituito da un colpo di stato interno.

2Simone Casalini, Lo spazio ibrido. Meltemi, 2019

3Simone Casalini, ibidem

 

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