"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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martedì, 30 novembre 2010il progetto del nuovo teatro di Pergine

La discussione in Consiglio Provinciale della legge Finanziaria e del Bilancio della PAT sta entrando nel vivo. Concluso il confronto nelle Commissioni, venerdì 10 dicembre arriverà in aula per una maratona che occuperà il Consiglio per tutta la settimana successiva.

E' la scadenza politico amministrativa più importante nella gestione delle risorse dell'autonomia, in un quadro finanziario che per la prima volta viene ridotto rispetto all'anno precedente, con un taglio nell'ordine dei sessanta milioni di euro a cui si aggiungono le coperture sulle nuove competenze in materia di università e di ammortizzatori sociali. I quattro miliardi e seicento milioni di euro del bilancio sono destinati prevedibilmente a calare nei prossimi anni, ma sono risorse importanti che ci permettono di imprimere indirizzi e priorità.

E' questo l'oggetto del confronto fra il Gruppo consiliare provinciale e il Coordinamento del PD del Trentino: ci troviamo in un agritur di Cimone, dove i cellulari faticano ad essere raggiunti. Le coordinate di fondo sono già impostate e dunque i margini di azione si limitano ad indicare delle priorità in un quadro ormai piuttosto definito.

Ognuno dei consiglieri indica gli emendamenti che intende proporre per comporre un pacchetto di emendamenti e proposte da sottoporre al Presidente e successivamente all'aula. Personalmente ho in animo di presentare alcuni emendamenti che riguardano l'educazione permanente, l'acqua pubblica, la difesa dell'ambiente (liquami stalle, cave di porfido), il Parco Agricolo dell'Alto Garda... accanto ad alcuni ordini del giorno che sto perfezionando.

E' un po' la fotografia dell'azione del Gruppo consiliare: un grande attivismo dei singoli consiglieri a cui corrisponde l'assenza di una visione condivisa. Il segretario Michele Nicoletti mi sembra avvertirlo e cerca di ricondurre il lavoro consiliare ad alcune priorità che riguardano la competitività del Trentino e l'attenzione verso i giovani ed il loro futuro. Tutto questo richiederebbe però un ben altro concerto. Nel nostro gruppo, nel partito, nella stessa maggioranza.

Lo si può cogliere il giorno successivo, martedì, quando in terza Commissione arriva la petizione popolare contro la realizzazione del nuovo teatro all'aperto di Pergine Valsugana. E' un po' lo spaccato di quel che accade: una struttura costosa (cinque milioni di euro, per iniziare) e che viene realizzata fuori da un reale coordinamento provinciale (PSA, Pergine Spettacolo Aperto è una realtà privata); un finanziamento deciso nell'ambito della passata amministrazione provinciale (che peraltro vedeva la responsabilità sulla cultura in capo alla consigliera Cogo) in un quadro diverso di priorità e di risorse; una scelta urbanistica molto discutibile operata da una giunta comunale di centrosinistra autonomista; un PD locale che non sa che fare; un'opposizione alla realizzazione dell'opera partita (in ritardo) da persone che hanno come riferimento il centrosinistra; una risposta arrogante da parte del nuovo sindaco di Pergine Valsugana (di centrosinistra autonomista) che nemmeno sa riconoscere la dialettica sociale presente sul suo territorio; un'interrogazione mia e del capogruppo PD in Provincia che chiede un momento di riflessione; l'inerzialità di un provvedimento che tutti (a cominciare da Dellai) guardano con scetticismo e una giunta provinciale che non sa ritornare sui propri passi.

Quando mettevo l'accento sul fatto che la vera scommessa del PD avrebbe dovuto essere quella di costruire nuove e più avanzate sintesi di pensiero, pensavo esattamente alla necessità di dotarci di una visione nuova che appare ancora ben lontana. Eppure ci sono pensieri e approcci che provano a manifestarsi. Nel pomeriggio sono proprio a Pergine Valsugana ad incontrare un gruppo di persone impegnate professionalmente a far emergere l'anima dei territori. Parliamo di Paletsina, ma è come parlassimo del nostro territorio. Sintonie che non s'incrociano con la politica. E dovrebbe essere in primo luogo un nostro problema.

domenica, 28 novembre 2010Paul Klee, angelo povero

Quando riceve dalle mani del sindaco di Trento Alessandro Andreatta l'Aquila di San Venceslao, il più importante riconoscimento della città di Trento, è visibilmente emozionato e a fatica gli escono le parole. Vittorio è persona schiva, poco incline alla vanità. Gli riuscirebbe più facile parlare di altri che di se stesso. Ma oggi è lui il protagonista, il suo cammino di educatore, di giornalista, di uomo di pace e di sacerdote, lungo la strada impervia e scomoda di chi non ha rinunciato ad uno sguardo critico sulle cose del mondo.

Gli anni pesano, certamente, oggi poi che sono ottanta. Ma Vittorio non è molto diverso da quello che ho conosciuto negli anni '80, tanto che la sua preoccupazione anche verso questo riconoscimento è che non rappresenti una sorta di pensionamento dalla sua missione di persona attenta e mai doma.

Mentre a Palazzo Geremia ascolto le parole di Fulvio Gardumi e di Pietro Nervi che ripercorrono i tratti del percorso umano e professionale di Vittorio Cristelli, mi passano davanti le tante immagini del nostro comune impegno, quando costruimmo insieme la Casa per la Pace o di quando insieme decidemmo che servivano luoghi di formazione alla pace e alla mondialità e demmo vita all'Università della Pace. Un impegno che non è mai stato, mi preme sottolinearlo, slegato da una visione d'insieme, in questo profondamente politico nel senso più nobile di questo termine.

Nelle parole che vengono usate per descrivere la sua testimonianza di vita, il termine "politico" è quello meno frequente. Eppure, se io dovessi descrivere l'impronta di Vittorio Cristelli nella nostra comunità, è quella del suo sguardo politico sul proprio tempo. E questo senza per nulla mettere da parte la sua vocazione di uomo di chiesa, anche quando le gerarchie decisero di metterlo da parte.

E fra le tante persone che oggi si stringono attorno a don Vittorio è proprio la chiesa ufficiale quella che latita, come se il marchio di prete scomodo ancora lo segnasse. Che evidentemente non dimentica e che appare poco incline al perdono.

Ho portato con me un libro, s'intitola "Angeli", un viaggio attraverso l'ebraismo, il cristianesimo, l'islam nelle figure degli angeli. Vittorio non assomiglia nemmeno lontanamente ad un custode della fede, eppure questo piccolo dono di riconoscenza so che lo riguarda. E' oggi una bella giornata per la nostra città e il suo messaggio finale la riguarda: «l'augurio alla città di Trento è che quest'aquila non resti appollaiata sul trespolo, ma che spieghi le sue ali così da riuscire a stanare i veri bisogni e i veri problemi di questo territorio».
sabato, 27 novembre 2010L\'edificio di Oslobodjenje nell\'immediato dopoguerra

Sarebbe davvero bizzarro che anni di impegno sui temi della gestione nonviolenta dei conflitti non influenzassero il mio approccio verso la politica, non mi avessero educato al "farsi carico" piuttosto che ad accettare le logiche dell'esasperazione dei conflitti.

E' strano. La politica è la dimensione che dovrebbe attenuare il cosiddetto "diritto naturale" del vinca il più forte. Ma, nel far questo, ha assunto i tratti culturali della guerra. Le forme dell'agire politico, il linguaggio della politica, le modalità decisionali e lo spazio dell'azione politica hanno da tempo introiettato le categorie della guerra: del resto Lenin teorizzava la forma partito come "organizzazione di combattimento" e prima di lui Von Clausewitz indicava la politica come "la guerra con altri mezzi". E se c'è stato un tempo nel quale la critica della politica ha provato a porre il tema del "depotenziamento" della politica indicando la strada di una sua dimensione orizzontale nella quale fini e mezzi divenissero la stessa cosa, oggi la politica è quanto mai verticale con l'aggravante che viene esercitata non da un corpo collettivo ma da un capo e da un'accentuata personalizzazione. Esercizio della forza, aggressività, furbizia, calcolo... non sono estranei a tutto questo.

Viene da qui una parte del mio disagio. Poco lo spazio per la mitezza, per il confronto delle idee, per la ricerca di soluzioni condivise, per la trasformazione dei conflitti affinché non si ripresentino sempre uguali a se stessi.

Ho cercato in questi primi due anni di mandato istituzionale di assumere un profilo orientato alla ricerca del dialogo, ma anche per questo ho l'impressione di essere fuori dalla realtà, a cominciare da quella che descrivono i mass media, che invece chiede esasperazione, imboscate, sangue.

Non passa giorno in cui la maggioranza di centrosinistra autonomista non provi a farsi del male, cavalcando le spinte più contraddittorie, cercando l'esasperazione dei toni o semplicemente non ricercando nuove e più avanzate sintesi, quasi fossimo in un consiglio di amministrazione nel quale ciascuno fa pesare a suo modo le proprie quote azionarie, fra i partiti e nei partiti. Anche quando, e accade di rado, il confronto cerca e trova una soluzione condivisa, poi ciascun azionista prova la zampata per segnare un punto, se non altro sul piano della visibilità o anche semplicemente per ripicca.

Cerco di sottrarmi, ma è uno stile che non paga, almeno nell'immediato. Cambio aria, così non mi pesa affatto mettermi in auto ed andare e tornare in poche ore da Trento ad Alessandria, nonostante la neve, per tenere una lezione ad un corso a cui partecipano una quarantina di persone. Sono chiamato a parlare di Europa, di transizione post comunista e nello specifico della Romania del dopo Ceausescu. Per il piacere di incrociare gli sguardi, di portare qualche suggestione nuova, per incoraggiare allo studio e alla buona politica.

Vedo le persone fermarsi anche dopo l'orario di lezione, qualcuno mi ringrazia per le suggestioni proposte e per un punto di vista di cui avvertono l'originalità.

Rientro in tarda serata, nemmeno il tempo di dormirci su che subito sono costretto a rientrare in quella politica che avrei voluto lasciarmi alle spalle. Perché sabato 27 novembre, giorno in cui festeggiamo i dieci anni di Osservatorio Balcani e Caucaso, mi trovo a dover fare i conti con il "fuoco amico". Sì, perché l'assessore provinciale Ugo Rossi nonché segretario del Patt, non trova di meglio che rilasciare un'intervista al "Trentino" in cui di fronte al giornalista che gli chiede se rifarebbe le spese per le divise degli Schützen risponde «Certamente, si tratta di realtà meritorie come anche gli alpini o le associazioni di volontariato che creano aggregazione. Meglio questo che altre voci di spesa che non hanno lasciato niente sul territorio». Tipo?, gli chiede il giornalista. «L'Osservatorio sui Balcani, ad esempio. Andate a vedere che valore aggiunto ha prodotto per il Trentino...».

Non ci posso credere. Non riesco a capire se si tratta di ignoranza, stupidità o che altro. L'assessore Ugo Rossi avrebbe fatto bene ad essere presente sabato pomeriggio a Rovereto, nella gremitissima sala del Consiglio Comunale della città della quercia, ad ascoltare quel che dicevano il sindaco di Rovereto Andrea Miorandi, l'assessore provinciale alla solidarietà internazionale Lia Giovanazzi Beltrami, il giornalista Rai Ennio Remondino, la giornalista bosniaca Azra Nuhefendić, il sparlamentare Giorgio Tonini della commissione esteri del Senato, il sen. Alberto Robol, reggente della Campana dei Caduti, l'ambasciatore Zlatko Dizdarević, già direttore del quotidiano sarajevese "Oslobodjenje" divenuto negli anni dell'assedio uno dei simboli della resistenza civile di quella città, che usciva ogni giorno a dispetto della distruzione del palazzo dove aveva sede il giornale.

Basterebbe leggere i dati dei lettori, delle visite e dei contatti, delle conferenze, degli articoli apparsi sulla stampa mondiale e delle citazioni, dei riconoscimenti e dei premi relativi al migliore giornalismo... ma tutto questo non è forse pubblicità e ricaduta per il nostro territorio? Bsterebbe parlare del fatto che negli ultimi anni OBC è diventato fonte di attrazione di risorse (europee e italiane) che vanno a contribuire al nostro PIL. Oppure della qualità dell'agire nella cooperazione, visto che quello della conoscenza continuiamo a dirci rappresenta un'investimento di prim'ordine...

Mi ha fatto piacere vedere la presenza di tante persone, del Consiglio di reggenza della Fondazione Opera Campana dei Caduti al gran completo, così come gli esponenti politici ed istituzionali presenti all'incontro, come hanno fatto piacere i messaggi che sono arrivati e mi arrivano anche da parte di consiglieri provinciali, a testimonianza di un ben altro sentire.

Posso dire che Osservatorio Balcani e Caucaso ha rappresentato in questi dieci anni non solo uno straordinario strumento di analisi, ricerca e informazione sull'Europa di mezzo e orientale ma un biglietto da visita ed una forma di promozione del Trentino in Europa e nel mondo che forse non ha pari.

Rimane il rammarico per certa politica tanto chiusa quanto ottusa. Ma anche la soddisfazione che le buone idee talvolta si realizzano.

 

giovedì, 25 novembre 2010La presentazione di Euromediterranea

Nell'intervallo dei lavori della Commissione che analizza il Bilancio della Regione mi vedo con Domenico Sartori. Amico, attento osservatore delle vicende politiche ed amministrative del nostro territorio, giornalista, con Domenico abbiamo percorso - pur da angolature diverse - gli ultimi vent'anni o forse più della vita di questa terra, maturando grandi sintonie insieme a qualche momento in cui i nostri sguardi divergevano, come quando discutemmo animatamente sull'operazione di Iniziative Urbane sull'area Michelin.

Quello dell'intreccio fra politica e affari è stato infatti uno dei temi importanti della nostra collaborazione già negli anni '80, nel cercare di mettere luce agli intrecci economico finanziari che attraversavano la nostra regione, attività che per parte nostra aveva prodotto i libri denuncia sul potere in Trentino e da parte sua un instancabile lavoro di puntuale inchiesta giornalistica, tanto raro quanto prezioso.

Insieme abbiamo condiviso - in un momento cruciale per il Trentino e per l'intero paese - il bisogno che la politica e i movimenti sapessero rinnovarsi sul piano delle idee, abbiamo costruito ambiti formativi come l'Unip in connessione con il tema del "fair trade" e l'impegno a costruire una robusta rete del commercio equo e solidale in Trentino.

Ma anche sul piano politico, pur nel rispetto dei ruoli, lo stimolo di osservatore attento non è mai mancato. E oggi, mentre andiamo insieme a prendere qualcosa alla "Baracca" di Villazzano, le sue parole verso di me sono sferzanti. Teme un mio isolamento nelle cose che non contano, mi dice che troppe sono le partite che richiederebbero una svolta politica e che non mi posso ritagliare uno spazio quasi più culturale che politico.

Provo a spiegargli quel che ho in mente per i tre anni che rimangono di legislatura, il tema cruciale dell'apprendimento permanente (la formazione di una nuova e diffusa classe dirigente), la questione del modello di sviluppo in rapporto alle vocazioni del territorio che ha nella questione "Valsugana" una delle sue partite cruciali, i grandi temi dell'acqua e della terra in tutti i loro risvolti, la questione della mobilità in Trentino fra l'operazione Metroland e la vera riforma istituzionale del Trentino che si chiama "telelavoro". Oltre al lavoro del Forum, tutt'altro che astratto se penso a quanto pesi la paura dell'altro e del futuro nella pancia della gente, al costruire spazi di comunicazione politico culturale quali sono "Politica è Responsabilità" e questo stesso blog...

Ciò nonostante Domenico coglie la realtà. Quel che vede meno sono le dinamiche di potere, piccole o grandi che siano, lo sgomitare quotidiano, il chiacchiericcio mediatico a cui cerco di sottrarmi. Immagino che la sobrietà dello stile e la lunghezza dello sguardo contino ben poco, talvolta nemmeno si vedono, condizionati come siamo da un'idea della politica fatta di sensazionalismo, di continui esercizi muscolari e di pettegolezzo.

Le sue parole mi suonano come la richiesta di un cambio di passo. Alla quale non so se sono in grado o intendo corrispondere positivamente. Ma rimangono i nodi, che pure richiedono risposte alte dalla politica.

Ritorno in Regione. Anche qui servirebbe un cambio di passo di cui ho più volte parlato in questo blog. Corrisponde ad un percorso di lavoro che da mesi vado proponendo al mio gruppo consiliare, ricevendone fino a questo momento una scarsa attenzione. Ma fra i nodi del mio impegno c'è anche questa partita, che poi riguarda quel che proprio ieri abbiamo discusso nell'incontro al Barycentro sui "miti etnici".

Ci sarebbe una bella serata con la testimonianza di Kifah Addara, una donna palestinese del villaggio palestinese di At Twani, impegnata nella resistenza nonviolenta, ma ho da preparare la lezione che domani devo svolgere ad Alessandria. Mi hanno invitato a parlare nell'ambito di un percorso formativo che riguarda la transizione balcanica e la Romania del dopo Ceausescu. Forse non centra più di tanto con il stringente appello che viene da Domenico, ma è uno sguardo sul mondo che non voglio perdere. E che da senso anche alla mia presenza istituzionale. O no?
mercoledì, 24 novembre 2010la musica sul ghiacciaio

Il Consiglio Regionale è un luogo sempre più vuoto ed inutile. I Consigli della Provincia autonoma di Bolzano e di quella di Trento potrebbero aver molte cose da dirsi, ma non nell'ambito di un'istituzione il cui ruolo e significato andrebbe profondamente rivisto e che si porta appresso il peso di una vicenda storica che lo ha utilizzato - fino al 1972, ma anche successivamente - come strumento per condizionare l'autogoverno del Sud Tirolo. Solo togliendo di mezzo l'equivoco della contesa sulle competenze è immaginabile che trentini e sudtirolesi ritrovino il senso di un dialogo, di una storia per molti tratti comune, di un sentire di genti alpine che avrebbero molte cose su cui confrontarsi.

Per giungere a questo è necessaria una nuova fase nell'autonomia regionale, il terzo statuto di cui si parla ormai da anni e che dovrebbe scandire una nuova prospettiva europea. Nel frattempo la ritualità del Consiglio regionale non aiuta affatto. Progressivamente svuotato di competenze finite in capo alle due province autonome, rimangono piccole cose residuali, che possono avere un loro peso specifico come ad esempio la previdenza integrativa o il Pensplan ma che non giustificano un apparato seppur fortemente ridotto comunque costoso e soprattutto dai forti connotati politici. Il fatto è che nel castello dell'autonomia regionale, togliere questo tassello non è possibile se non attraverso una riforma costituzionale che a sua volta presuppone un largo consenso. Reso difficile da una minoranza italiana in Sud Tirolo che non ne vuol sapere e da un centrodestra trentino che non ha mai condiviso lo svuotamento della Regione.

Insomma, la distanza fra Trento e Bolzano è oggi ben più consistente dei sessanta chilometri che separano le due città. Partiamo proprio da qui nel presentare al Barycentro di Piazza Venezia, a Trento, il libro "Contro i miti etnici". Con me uno degli autori, Stefano Fait. Ho curato la prefazione (che riporto in altra parte di questo blog) di questo lavoro che indaga sul nazionalismo sudtirolesi, ma l'oggetto della discussione spazia ben oltre l'ideologia del Bauer, affrontando l'uso maldestro che oggi viene fatto della storia come pretesto per identificarsi in sottrazione. Tanto che alla fine delle ideologie è corrisposta l'esaltazione di miti pagani fatti di spoglie disseppellite, di battaglie rievocate e di ampolle agitate come clave.

Un giovane ragazzo di origine pugliese, in Trentino da qualche tempo, dice che per la prima volta, questa sera, si è sentito dentro uno spazio non angusto di riflessione. Mi colpisce il suo sguardo curioso ma anche il suo disagio, che pure non ha nulla a che vedere con l'atteggiamento un po' spocchioso di chi arriva in Trentino carico di pregiudizi. Vuol dire che quel tratto "glocale" che talvolta diamo per scontato non sempre viene percepito come tale. E questo deve farci riflettere sull'importanza delle connessioni europee, danubiane, mediterranee, aperte sul mondo, alle quali pure stiamo lavorando e che faticano ad entrare in dialogo con ragazzi come questo.

Mentre discutiamo di questo, dall'altra parte del centro storico, un gruppo di giovani se la prende con l'apertura dell'anno accademico. Ce l'hanno con la Gelmini e la mancanza di futuro, le ragioni non mancano. Se la prendono anche con la Provincia, evidentemente distinguere nella semplificazione dei messaggi non è sempre facile.

L'indomani il direttore del "Trentino" Alberto Faustini scriverà così: «Viva la rivoluzione. A patto che non sia una sorta di suicidio. L'allora presidente della Provincia autonoma di Trento, Bruno Kessler, negli anni caldi, chiese ai militari - come ricordava il consigliere provinciale Giorgio Lunelli giorni fa nel corso di un convegno - di intervenire per "proteggere" l'Università: infatti i loro fucili non erano rivolti verso i "rivoluzionari", ma verso la città, quasi a proteggere - anche simbolicamente - l'Ateneo trentino. Pensavo a quest'immagine, mentre, anziché difendere con forza l'Università, gli studenti trentini - che vivono una condizione molto diversa da quella dei loro colleghi che protestano nel resto del Paese - occupavano la facoltà di Giurisprudenza, tentando di impedire l'inaugurazione dell'anno accademico. Se i ragazzi avessero studiato, avrebbero scoperto che la riforma Gelmini, di fatto, in Trentino ha ben poco spazio. E l'accordo di Milano che contestano è esattamente lo strumento che dovrebbe permettere di arginare la Gelmini e, soprattutto, di non subire i tagli previsti da Tremonti. Su quell'intesa è giusto vigilare, anche perché un rischio - seppur remoto - che il passaggio della delega dal governo centrale al governo trentino in materia di Università porti con sé un po' di provincialismo c'è. Ma quell'accordo salva, a suon di euro provinciali, l'Università dalla scure del governo. Gli studenti hanno dunque sbagliato indirizzo e mira, indebolendo una protesta che pure ha le sue ragioni: salvare l'Università così è come difendere gli indiani sparando loro contro».

Provo a dire le stesse cose al ragazzo pugliese che ci ascolta. Ma sbaglieremmo nel chiuderci a riccio a difesa della nostra diversità, che c'è ma non dobbiamo mai dimenticarci di farla conoscere e di nutrirla, con le idee piuttosto che con i denari.

 

martedì, 23 novembre 2010Trento vista dal Durer

Il progetto "Anima Mundi", ovvero la "fabbrica delle idee", può essere realizzato anche in un capannone abbandonato di Trento nord. Richiede spazi, certo, ma soprattutto mentali per dare energia alla creatività. Mi sembra una buona idea, soprattutto l'avverto in sintonia con ciò che vado dicendo sul tema dell'educazione permanente.

Oggi ne parlo con alcuni dei promotori e mi sembra che questa sintonia venga avvertita. Trovo nel documento progettuale "parole amiche", che andrebbero declinate non solo in un'affascinante idea progettuale ma anche per i possibili effetti su una comunità che decide che per stare nei processi della modernità in maniera intelligente sceglie di investire sulla creatività.

La "Creativity Factory" costituirebbe la prima esperienza di questo tipo, in Trentino ma anche in Italia, in rete con realtà simili sul piano europeo come con ciò che di innovativo vien fuori dai territori, una struttura di servizio alla fantasia. Penso che valga la pena provarci.

Un capannone industriale non è il castello della città. Ma quel che discutiamo con Franco Marzatico al Buonconsiglio non è in realtà molto lontano. Certo è che la creatività non ha bisogno di scenari cinquecenteschi, ma anche questi ultimi richiedono pensiero, innovazione e fantasia. Scoprire così che la mostra archeologica del 2011 del Castello del Buonconsiglio verrà dedicata alle relazioni e scambi fra il Mediterraneo e il centro d'Europa è come un colpo di teatro, perché oggi sono da Marzatico proprio per parlargli di "Cittadinanza Euromediterranea" e per utilizzare anche questo spazio prestigioso per gli eventi del Forum.

Sintonie che ci parlano di una città viva, che può mettere in rete le sue qualità a partire da sentieri che s'incrociano virtuosamente. Ed in questo senso va anche l'idea di dar corpo ad un quartiere latino che da Piazza della Mostra arrivi a San Martino, attraverso il Castello, il Museo storico del Trentino, il Cafe de la Paix, la destinazione archeologica dell'edificio dove un tempo c'era la questura, il Parco delle Predare...

Passo dalla Commissione Bilancio per capire le turbolenze che attraversano la maggioranza. Niente di che, ma quel che basta per alimentare il gossip giornalistico e il protagonismo di qualcuno dei miei colleghi consiglieri. Mi chiedo a che cavolo servano le discussioni nel gruppo consiliare se poi ciascuno fa quel che gli pare. Ma il clima, contrariamente a quel che mi era stato descritto in tarda mattinata, appare disteso... tanto che riesco anche a parlare con Lorenzo Dellai per impegnarlo come prossimo direttore responsabile di "Politica è responsabilità" sul tema cruciale della Finanziaria.

Mi vedo con i dirigenti della PAT sulla questione della privatizzazione dell'acqua, la situazione appare davvero complessa e stiamo cercando di capire come attivare gli strumenti della nostra autonomia senza incappare nelle sanzioni europee, a testimonianza di un'Europa che mostra la sua natura matrigna.

Poco dopo ho appuntamento con Salvador Valandro, da poco eletto presidente della Comunità di valle dell'Alto Garda. Gli ho chiesto di vederci per mettere a fuoco - finalmente - l'avvio del Parco Agricolo, istituito per legge già alla fine della scorsa legislatura ma ancora da realizzare perché deve incardinarsi sulla costituenda Comunità di Valle. E', quello del Parco Agricolo, un terreno di sperimentazione che andrà avanti in parallelo con l'avvio della legge sulle filiere corte, finalmente sbloccata a Bruxelles dopo un contenzioso durato un anno sulle norme della concorrenza. La risposta è positiva e concordiamo i primi passi.

Chiamo il vicepresidente Pacher per avere conferma degli impegni in Finanziaria tanto sul Parco Agricolo dell'Alto Garda (mi sa che occorre un emendamento ad hoc) quanto sulla viabilità della piana Rotaliana, così che in serata nel Consiglio comunale di Mezzocorona possiamo annunciare che la rotatoria della Galletta sarà realizzata nel corso del 2011.

Giornata densa e produttiva.
lunedì, 22 novembre 2010anni \'50

Nella riunione del gruppo consiliare parliamo di scuola. In questi giorni ho tralasciato di parlare in questo blog dell'argomento relativo alla proposta contenuta nella legge finanziaria di andare al superamento delle rigidità della legge sulle scuole materne e della protesta che ha scatenato. Una proposta - quella di mettere mano alla legge 13/77 sulle scuole dell'infanzia - che sembrava pressoché scontata ma che - nel clima avvelenato di questo tempo - dà il là ad una protesta durissima in nome della qualità del servizio e della difesa dei posti di lavoro. Oltre duemila insegnanti in piazza, contro la Dalmaso. Si ripete così un film già visto pochi mesi fa relativamente ai piani di studio della scuola media.

Che ci sia qualcosa che non va, non ci piove. E' la capacità di inquadrare i provvedimenti amministrativi in una cornice del tempo in cui siamo. In un contesto dove il bilancio della PAT si dimagrirà e che richiederà rigore e responsabilità da parte di tutti. Ma questa offensiva culturale e politica per spiegare che è necessario fare meglio con meno non è stata messa in campo e l'esito è che tende a prevalere la logica del "si salvi chi può".

La reazione è infatti la difesa con i denti di quel che si ha, senza rendersi conto che è cambiato il contesto e ciò che poteva essere scontato dieci anni fa ora non lo è più. Non perché lo diciamo noi, ma perché sono le condizioni che hanno reso possibile livelli molto significativi di welfare state ad essere venute meno.

E' cambiato il contesto. Le condizioni di lavoro in Romania o della Serbia irrompono nella realtà italiana ed europea tanto che le produzioni si delocalizzano, Fiat e Omsa solo per citare quelle più recenti trasferiscono i loro impianti altrove, anche se il fenomeno, per la verità, è tutt'altro che nuovo ma solo ora con la crisi che incombe diventa di forte impatto sociale. Peggio ancora, arrivano gli operai di questi o di altri paesi deregolati a fare lo stesso lavoro in Italia ma con le retribuzioni dei loro paesi d'origine che sono 1/5 di quelle previste dai contratti italiani.

Avremmo inoltre dovuto prendere coscienza da tempo del concetto di limite. Fino a qualche anno fa le risorse erano pensate inesauribili ed il progresso veniva affidato alle magnifiche sorti progressive dello sviluppo. Poi ci siamo accorti (ma evidentemente non ancora abbastanza) che la magnificenza ha lasciato dietro di sé un pianeta malato, surriscaldato e impoverito. Quel che ancora non si è compreso è che il compromesso sociale fra capitale e lavoro alla base del keynesismo si basava sulla spogliazione delle risorse del pianeta a favore di una sua piccola parte.

Ora, miliardi di esseri umani bussano alla porta di uno sviluppo prima esclusivo appannaggio di altri e se ne appropriano, tanto è vero che India, Cina e Brasile rappresentano nell'ordine i paesi con il più alto tasso di sviluppo annuale. Se ne può uscire in due modi: o si attivano politiche di esclusione (il neoliberismo), oppure tutti ce ne facciamo carico. Nonostante il crac della finanza globale continua a prevalere la prima strada, facendo leva sulla paura di futuro che viene percepita, imbarbarendo le relazioni umane.

Se non avviene uno scarto culturale, non se ne esce. Intanto ciascuno difende quel che ha all'insegna del "non nel mio giardino". "Che i sacrifici li facciano quelli che godono di immense fortune e di grandi privilegi" si dice, "perché mai dovrebbero farsi carico di questa situazione quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese?"...

Questione vera. Tanto che Barack Obama va a Wall Street per chiedere di tassare le rendite finanziarie e lo mandano al diavolo e perde le elezioni di medio termine. La finanza globale si dimostra ben più forte dei governi nazionali, ammesso e non concesso che nelle intenzioni di questi ultimi vi siano politiche equitative. Spendiamo risorse immense in strumenti di guerra. Potremmo continuare a lungo. Ma il tema della sostenibilità riguarda il modello di sviluppo, ben prima della pur necessaria redistribuzione del reddito, che comunque non può prescindere dei concetti di merito e di responsabilità.

Tornando a noi, se vogliamo rendere sostenibile il nostro modello di sviluppo locale dobbiamo imboccare una strada diversa da quella della crescita illimitata, per puntare sulla qualità, la sobrietà, la gratuità. Questo dovremmo capire, in ogni segmento della nostra comunità.

Per questo la proposta della Giunta provinciale di razionalizzare l'organizzazione del servizio di scuola materna era ed è in buona sostanza corretta. Andava spiegata, costruito il consenso, trovate delle soluzioni per il personale precario, a fronte di un servizio in Trentino la cui qualità è riconosciuta da tutti e nessuno intende metterla in discussione.

E' giusto invece mettere in discussione le condizioni di privilegio, la cultura del tutto è dovuto, il conservatorismo. Nella discussione del gruppo consiliare sembra riusciamo a trovare dopo tre ore di discussione una posizione condivisa da tutti, compresi gli assessori presenti. Riprendere la trattativa con le parti sociali, trovare una soluzione punto per punto che salvaguardi l'idea di fondo che l'automatismo della legge 13 sia messo in discussione e al tempo stesso si faccia carico delle condizioni di precarietà. E avviare un'offensiva culturale e politica sul Trentino del futuro.

Il problema è che il nostro stesso gruppo consiliare è lo specchio di quel che c'è nella società, oltretutto deformato dalla ricerca del consenso. Prendiamo atto che nel PD del Trentino (come in quello nazionale) una sintesi culturale ancora non c'è stata e oggi ne paghiamo lo scotto.

 

sabato, 20 novembre 2010Michelangelo Pira

Una bella mattinata. I rappresentanti della Comunità sarda in Trentino mi hanno invitato alla conferenza "Identità nel villaggio elettronico", un omaggio a Michelangelo Pira, figura interessantissima di antropologo, militante politico, giornalista e studioso della lingua e dell'identità del popolo sardo, che non conoscevo.

Devo dire che l'evento è di grande spessore ed attualità, gli interventi di Bachisio Bandinu, antropologo e saggista, di Paolo Pillonca, direttore e editore della rivista "Lacanas", e del Dott. Raffaele Sestu, presidente delle Pro Loco della Sardegna molto stimolanti: Così come la conduzione da parte di Giovanni Kezich, direttore del Museo degli Usi e Costumi delle Genti trentine di San Michele, risulta molto efficace nello stabilire un legame fra questa nostra terra e quella di Sardegna.

Terra che amo, oltre il folklore e le consuetudini, per la sua bellezza e per quello che la sua gente ha dato e continua a dare sul piano della cultura e del pensiero. A cominciare da quelli meno conosciuti, come quello di Michelangelo Pira, della cui figura ed opera si sta parlando.

La cornice è la Sardegna profonda, quella dell'interno per capirci, quasi a prendere le distanze da quella violentata dal turismo di massa tanto da dipingerla come una ciambella, dentro sempre più vuota per via dello spopolamento dei villaggi. Michelangelo Pira era di Bitti, in provincia di Nuoro. Una Sardegna che viene evocata attraverso i nomi di luoghi che mi sono famigliari della Barbagia e dell'Ogliastra e la commozione che viene dalle parole di Bandinu e di Pillonca è forte per me, figuriamoci per le persone presenti all'incontro, in larga parte di origine sarda che ora vivono fra le nostre montagne.

Vorrei passare la mattina ad ascoltare queste parole-immagini, ma Giovanni Kezich mi tira per i capelli. Il mio bloc notes si è riempito di appunti, per la verità, e non mi è difficile sintonizzarmi in un dialogo fra il locale ed il globale. Provo a buttar lì qualche suggestione mediterranea ed il richiamo alla terra, perché è la terra piuttosto che il mare il forte tratto identitario della gente di Sardegna. Di questa terra mi affascina lo sguardo delle persone anziane e il loro scrutare l'orizzonte, forma ultima di resistenza verso la modernità rappresentata dagli anni '60 e '70, quelli dell'industrializzazione forzata e della chimica che piegarono la Sardegna lasciandola ferita ed impoverita. Sono i racconti di Grazia Deledda non lontani dalla critica leopardiana del "secol superbo e sciocco". Sono il pensiero federalista di Emilio Lussu così dimenticato nelle vulgate del nostro dopoguerra ed irriso da un autonomismo privo di autogoverno.

Mi viene voglia di ri-conoscere i luoghi di cui stiamo parlando e prima o poi lo farò. Nel frattempo coltiviamo le relazioni e vediamo quel che ne viene.

Quando finisco è già quasi tempo di andare all'impegno del pomeriggio, l'assemblea straordinaria del Progetto Prijedor. A questa associazione ho dato quindici anni di attenzione, viaggi lungo strade impervie e ponti precari, soste infinite lungo confini nati allo scopo di fare affari, pensiero. Ricevendone, tantissimo, in un'esperienza complessa, difficile, ma entusiasmante. Che mi ha insegnato a guardare la mia stessa realtà con altri occhi. Con un unico rammarico, forse. E cioè di non essere riuscito a trasmettere, nonostante i tavoli della cooperazione di comunità, nonostante il turismo responsabile, nonostante lo stesso Osservatorio Balcani e Caucaso che pure è cosa grandiosa (sabato prossimo non mancate la festa per il decennale), il nodo vero di ciò che è accaduto negli anni '90 nei Balcani, la distruzione dell'idea stessa di Europa come luogo di incontro fra oriente e occidente.

Provo a dirlo nel mio intervento, oggi che si discute quale direzione prendere, se la strada appagante (e banale) degli aiuti o quella più complessa ma decisiva dell'elaborazione del conflitto. Non solo o tanto quel conflitto che ha lacerato le esistenze, ma lo scontro di civiltà in ci siamo tutti immersi e che agita i fantasmi del nostro tempo. Il buon senso ci dice che le cose non sono contrapposte, ma poi nella realtà cambia proprio il modo stesso con cui ti avvicini ai problemi. Il presidente Giuseppe Ferrandi, nel suo intervento di fine mandato, pone in buona sostanza questo nodo, la necessità di una forte discontinuità lungo la strada pure originale che l'associazione ha saputo percorrere. 

Nell'uscire dalla sala ancora gremita del Consorzio Lavoro Ambiente una persona mi chiama per ringraziarmi, perché - mi dice - riesco sempre a proporre visioni che fanno pensare. Solo per questo valeva la pena essere qui. 

venerdì, 19 novembre 2010Paul Klee

Venerdì autunnale, piove. Sono quei giorni in cui mi fanno invidia gli animali che vanno in letargo. Qualche giorno fa l'amico Ugo Morelli, durante la presentazione del suo importante lavoro "Mente e bellezza" parlava del fascino che esercitano su di lui le ragnatele, del sostare ad osservarle nella loro meravigliosa geometria, come opere d'arte. Eppure, notava Ugo per distinguere la nostra dalle altre specie animali, non è data una galleria delle ragnatele. Il primato dell'homo sapiens sapiens sulle altre specie, per quanto indiscutibile, non ci ha però preservati dal delirio. Quel delirio del "faber" che non riesce a darsi il senso del limite, che ha incrinato il nostro rapporto con la natura tanto da impedirci di riconoscere anche il mutare delle stagioni, comprese quelle della vita. Ragione per la quale guardo con grande rispetto, ad esempio, alla vita degli orsi e provo orrore verso quegli umani che si divertono a cacciarli.

All'istinto di rintanarmi in casa, corrisponde il dovere di farsi carico delle proprie responsabilità. E così, mio malgrado, di buon mattino sono in ufficio. Porto gli ultimi ritocchi al "Programma di valorizzazione territoriale ‘Vino di Cana'". Alla sua fattibilità ci stiamo lavorando da anni, nella difficoltà di interagire con un territorio dilaniato da guerre e conflitti, nella ricerca di vitigni autoctoni che possano dar senso ad un progetto che si fonda sul genius loci di una terra straordinaria e ferita come la Palestina, nella fatica di trovare gli interlocutori affidabili. Un'idea che, malgrado le difficoltà, ho continuato a coltivare come tratto dell'amicizia con Ali Rashid e come impegno assunto quando Franco Dalvit, persona indimenticata che amava profondamente quella terra, ci ha lasciati.

Nella mattinata è convocata la Terza Commissione legislativa, all'ordine del giorno gli articoli della Finanziaria che corrispondono alle competenze territoriali, ambientali ed energetiche. Niente di speciale se non che mi informano di una sentenza della Corte Costituzionale che rende più complesso l'utilizzo delle norme della nostra autonomia per opporsi all'indirizzo governativo di privatizzazione dei servizi di rilevanza pubblica, fra questi l'acqua. Approfondirò la questione nei prossimi giorni, ma non è mia intenzione (e spero nemmeno della PAT) fare marcia indietro sulla messa in sicurezza del servizio idrico sotto il profilo della proprietà pubblica e sul progetto di scorporare il ramo acqua da Dolomiti Energia.

Finita la commissione si fa sentire il richiamo della casa. Sono tre settimane che non stacco la spina e così mi prendo il pomeriggio libero. Mi spiace saltare la presentazione del libro di Micaela Bertoldi "Terre di Anatolia" ma ci sarà modo di recuperare in altro modo per valorizzare questo nuovo sguardo che Micaela ci ha regalato.

A casa, vorrei mettermi al computer, ma giro a vuoto. Forse è il limite che si fa sentire e non resta che assecondarlo con un buon libro. Inizio così "Ballata per la figlia del macellaio" di Peter Manseau, "un ricchissimo, divertente omaggio alla cultura e alla lingua yddish".

 

giovedì, 18 novembre 2010la marcia del 1961

Alla sede del Consorzio dei Comuni trentini parliamo di una camminata nel silenzio per convergere verso la Campana della Pace sul Colle di Miravalle. E' questa la proposta che viene dal Consiglio Comunale di Trento, raccolta dal Consorzio dei Comuni, dalla Fondazione Opera Campana dei Caduti e dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Un modo per preparare la Marcia Perugia Assisi che l'anno prossimo sarà un po' speciale perché saranno trascorsi cinquant'anni da quella prima volta nel lontano 1961. E sarà un modo per avvicinare gli amministratori locali ad un tema che in genere si affronta in maniera banale, ingessato nelle liturgie, oppure nell'emozione per una delle tante tragedie che si consumano nell'indifferenza. Del resto, chi è contro la pace?

Quel che è più complesso è costruire una cultura della pace, che investa i nostri stili di vita, le nostre scelte amministrative, i nostri comportamenti. Riflettendo sulle nostre stesse relazioni, visto che andrebbero abbassati i toni di una politica sempre più gridata, imparando invece la cultura del dialogo, impegnandosi nella capacità di elaborazione dei conflitti e nel costruire coesione sociale, quando il manicheismo è diventato la cifra dell'approccio verso ogni problema.

A proposito della marcia Perugia Assisi, oggi c'incontriamo al Forum con Flavio Lotti, il portavoce della Tavola della Pace di Perugia che della marcia è l'anima. Ci vuole parlare dell'itinerario che ci porterà al 25 settembre 2011. E' l'occasione per fare il punto su un movimento in crisi, le cui istanze faticano a trovare rappresentazione nelle istituzioni locali e regionali, talvolta inchiodato alle forme più ideologiche ed autoreferenziali. Un'analisi che condivido, ma che investe pari pari anche la Tavola della Pace ed in una certa misura anche la realtà associativa trentina, incapace di uscire dai suoi rituali di sempre.

Sulla crisi del pacifismo è bene ragionarci senza infingimenti. Fin dalla mia candidatura a presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, ho posto esattamente questo problema, quello di uscire dalle secche del pacifismo per ripensarne le categorie, trovare nuove narrazioni in grado di andare al profondo dei conflitti del nostro tempo. Fin quando il nemico era identificabile con l'impero, lo schema era pressoché scontato. Poi i conti non sono più tornati, occorreva guardarsi dentro, predisporsi a cambiare, indagare la banalità del male...

Quando decidemmo di chiudere l'esperienza della Casa per la Pace di Trento sul piatto c'erano esattamente questi nodi, la capacità di imparare la lezione dei Balcani piuttosto che rimuovere quel che non rientrava nei nostri schemi rassicuranti. Insomma, era necessario scuotere il pacifismo, senza per questo far venir meno le ragioni della pace. Occorreva una diversa profondità, che non sempre s'è stata.

Sono un po' imbarazzato nel dire queste cose a Flavio Lotti, perché penso che in questi anni la Perugia Assisi, nel suo rimanere comunque un punto di riferimento per molti, è stata però un'occasione perduta. Un imbarazzo che si avverte, pur nella disponibilità ad impegnarsi per costruire qualcosa di nuovo e diverso. Ma come fare a far emergere un nuovo segno, una nuova sensibilità? Una risposta ci sarebbe, ripartire dal territorio, perché è da qui che potrebbe nascere qualcosa di diverso, un po' come stiamo cercando di fare in Trentino con l'inedito itinerario della cittadinanza euromediterranea. Servirebbero ambiti originali di ricerca sulla pace in grado di mettersi in gioco, ma temo che gli stati maggiori della pace siano anch'essi ridotti ad un ceto politico da cui si può ricavare ben poco.

E al tempo stesso riconosco come la Perugia Assisi rappresenti un motore continuo di aggregazione, quasi un'ostinazione alla ricerca sulla pace. Sarebbe dunque davvero un peccato lasciarla cadere. Così ci prendiamo la nostra parte di impegno, provando a far tesoro dei percorsi che stiamo proponendo e dell'attenzione che richiamano fuori dagli steccati che in questi anni ci siamo ritagliati.

Alla politica (non solo quella dei partiti) si chiede di dimostrare attitudine al cambiamento. Ne parliamo a sera in un incontro del gruppo di lavoro che in questi mesi si è attivato sul tema cruciale dell'apprendimento permanente. Rimettersi in gioco... pur su traiettorie diverse il problema sta tutto qui.
mercoledì, 17 novembre 2010Chaplin

Dedico il diario di oggi ad un libro interessante quanto impegnativo "Mente e Bellezza. Arte, creatività e innovazione" (Allemandi editore), l'ultimo lavoro di Ugo Morelli che viene presentato nella Sala del Falconetto di Palazzo Geremia a Trento. Un lavoro al quale Ugo ha dedicato un tratto di vita lungo dieci anni, non come spazio a sé stante, ma profondamente connesso con la sua ricerca professionale ed umana. Non ho ancora letto il libro, ascolto la bruciante riflessione dell'architetto Renato Rizzi e la raffinata sensibilità di don Marcello Farina nel loro interloquire con l'autore. Con Ugo Morelli abbiamo in corso sin dai primi anni '90 del secolo scorso un dialogo proficuo lungo traiettorie di vita molto diverse che pure s'incontrano - chissà com'è - sempre più frequentemente nello sguardo sulle relazioni umane, sui conflitti, sulla politica. Anche quando per qualche tempo non abbiamo occasione di incontrarci, in un minuto sappiamo metterci in comunicazione come se il confronto non si fosse mai interrotto. E la cosa più bella è che ciò avvenga non nell'interpretazione di un fatto politico ma nella descrizione di un luogo di campagna o di una persona incontrata. Trovando nei dettagli quello sguardo politico che ci accomuna. E' forse questa curiosità verso le cose e la propensione al trarne motivo di cambiamento ad avvicinarci.

Scorro il libro e mi fermo qua e là a cercare spunti che possano intrigarmi, ma mi tocca arrendermi all'evidenza di una lettura che non dà scampo alla fretta, quand'anche avveduta. Mi servirà, e spero che ciò sia inteso come un complimento, per rafforzare il mio punto di vista sulla legge finanziaria che a breve arriverà in Consiglio provinciale: perché di questo ho intenzione di parlare, della necessità di investire in conoscenza, creatività e innovazione come strada per "fare meglio con meno". Dell'attualità politica e culturale del lavoro di Ugo ne avremo una riprova l'indomani, quando nel ragionare di una proposta di legge sull'apprendimento permanente il concetto di "tensione rinviante" - quella sospensione che ci consente di guardare il mondo nel suo incerto divenire - sarà la chiave per connettersi le trasformazioni.

A che cosa servono sessanta milioni di euro che destiniamo in un anno alla cultura se non ad interrogarci ed attrezzarci verso i processi di profonda trasformazione che segnano il presente? Nel partecipare stamane alla Prima Commissione che esamina le voci del bilancio sulla cultura è un po' questa la domanda che mi ronza per la testa. E scorgo una distanza profonda fra quel che butta la politica, anche quella della mia parte che governa quest'autonomia, e quel che occorrerebbe per mettere una comunità nelle condizioni di non subire gli effetti di un villaggio globale sempre più interdipendente. Non per proteggere le diversità come fossero altrettante mummie del Similaun, ma per renderle al tempo stesso fiere di sé ed aperte al cambiamento.

Che strano. E' come se si confrontassero nello stesso giorno due visioni dei processi culturali, non perché le scelte della Provincia non abbiano niente a che vedere con i processi cognitivi del moderno ma per l'aridità che la politica esprime quando nemmeno s'accorge che tutto è cambiato tranne le proprie categorie interpretative. Senza dimenticare che pure viviamo in un'isola di (relativa) civiltà.
martedì, 16 novembre 2010arancia blu

Giornata di incontri. Con il gruppo di lavoro di "Politica è responsabilità" ci troviamo per impostare un programma di incontri sul territorio attorno al tema "Il Trentino che vogliamo", uno sguardo rivolto al futuro, alle scelte di fondo che siamo chiamati ad assumere e che hanno a che vedere con la gestione delle risorse dell'autonomia, al terzo statuto ovvero al rapporto fra il Trentino e la prospettiva europea. Mi incarico di stendere un testo che possa fungere da riferimento e base per la discussione e cerchiamo di capire quali possono essere gli ambiti di riferimento (circoli del PD del Trentino? realtà culturali del territorio? l'iniziativa diretta di "Politica è Responsabilità"? altro ancora?). Il confronto avuto qualche sera fa a Martignano con il circolo locale del PD proprio su questi temi ci parla dell'attenzione e del bisogno che c'è di buona politica, di pensiero, di sguardo sul presente liberato dalle scadenze (e dalle miserie) quotidiane. Ma intanto ne viene fuori una discussione fra noi che evidenzia oltremodo quanto vi sia effettivamente bisogno di fermarsi a riflettere su dove stiamo andando.

Non ho il tempo di seguire in Commissione Bilancio tutte le audizioni sulla Legge Finanziaria e sul Bilancio Pluriennale: ne scelgo quindi alcune piuttosto di altre. Così oggi vado a quella sulla solidarietà internazionale e immigrazione. Oltre al presidente della Commissione e all'assessore Lia Beltrami sono l'unico della maggioranza ad essere presente. Temi, quelli di respiro internazionale, che vengono considerati di poco conto da una politica miope e provinciale. Associata alla beneficenza o agli interventi di emergenza, la solidarietà internazionale è pensata come aiuto allo sviluppo o, peggio ancora, come greppia per associazioni collaterali alla maggioranza. IN questo senso vanno infatti le osservazioni degli esponenti dell'opposizione. "Diteci quanti soldi vanno in cose concrete e quanti in chiacchiere" è il tono delle domande, che pure non andrebbero assecondate, tanto che mi tocca intervenire per dire a questi signori quel che vado dicendo da tempo e cioè che il fare privo di conoscenza può essere non solo inconcludente ma anche nocivo. Mentre dico queste cose so di rivolgere queste mie considerazioni non solo all'opposizione di centrodestra...

E' davvero troppo richiedere uno sguardo globale (o almeno europeo, che poi è la stessa cosa)? E' fuori dal mondo pensare una politica che sappia connettersi all'interdipendenza? Eppure l'economia è già da tempo su un'altra lunghezza d'onda, lo è la cultura, lo sono la ricerca e l'informazione virtuale. Mentre la politica appare ancora immersa, su questi temi come altrove, nel paradigma novecentesco...

M'incontro con il direttore del Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi, per concordare le modalità del prossimo incontro nell'ambito del programma "Cittadinanza Euromediterranea". Il "dettaglio" della storia questa volta sarà il Censimento del 1910 che interessò tutti i paesi che a quel tempo facevano parte dell'impero austroungarico, e dunque Trento come Vienna, Budapest come Sarajevo. Il dettaglio sta nella seconda lingua parlata a quel tempo nella capitale bosniaca, lo spagnolo, e la connessione fra il 1492 e il 1992. Anche di questo avremo modo di parlarne, in questo diario come attraverso la voce di Abdullah Sidran, il più importante poeta bosniaco che sarà in Trentino per parlare di questo nei giorni 10 e 11 dicembre 2010. A 100 anni da quel censimento che ci raccontava di un'Europa frutto dell'attraversamento. Lo faremo alle Gallerie di Piedicastello, in un convegno che sarà pure un momento di festa di popoli e di culture.

L'ultimo degli appuntamenti è con Francesca e Federico che sono stati selezionati per un anno di Servizio civile al Forum, proprio per seguire una serie di attività connesse con la cittadinanza euromediterranea. Lavoreranno con noi per un anno intero, vorremmo ne condividessero l'impostazione culturale, gli obiettivi, le modalità. Cerco di essere molto diretto, per far loro capire che abbiamo cercato di imprimere all'azione del Forum una certa discontinuità ed un taglio non banale, esigente ed originale. Che prova ad uscire dai rituali del pacifismo affrontando temi fin qui privi di cittadinanza, come la banalità del male o l'elaborazione del conflitto. Che offre un diverso orizzonte alla cooperazione internazionale pensando alla relazione che mette in gioco le comunità piuttosto che all'aiuto che mette a posto le nostre coscienze. Che s'interroga sull'educazione alla pace perché capace di abitare i conflitti. Che si rapporta all'immigrazione riconoscendone il dolore ma anche l'opportunità che ne viene.

Uso una certa ruvidezza nel porre questi argomenti, perché vorrei che Francesca e Federico comprendessero a pieno la strada che stiamo cercando di percorrere, rivolta non solo all'indifferenza o all'istintivo chiudersi nella propria (relativa) condizione di privilegio, ma anche alla pace di maniera o quella, all'opposto, che riproduce lo schema ideologico dell'impero del male contrapposto agli ultimi della terra. La reazione è positiva, la sfida sembra condivisa. Chissà che non cominci a prendere corpo un collettivo che, nell'affrontarla questa sfida, cresce e fa crescere una diversa sensibilità, nella nostra comunità come nelle istituzioni che pure il Forum dovrebbe rappresentare?
lunedì, 15 novembre 2010cascata d\'acqua

Finalmente riesco a vedere il Sindaco di Trento Alessandro Andreatta. Per la verità c'eravamo visti anche sabato scorso nell'ambito della visita di Mr Nuseibeh e proprio in quella occasione ci siamo dati appuntamento per oggi. L'oggetto della nostra conversazione è il tema dell'acqua e le ipotesi che stiamo verificando per garantire una gestione pubblica al 100% della gestione del servizio idrico in Trentino. C'è urgenza perché il tema è già in Finanziaria, con la possibilità che viene data ai Comuni di continuare a gestirsi in economia o attraverso società in house totalmente controllate dai Comuni il servizio idrico. Quindi per i 193 Comuni trentini che rientrano in questa tipologia, la legge nazionale sulla privatizzazione può venir aggirata, avvalendoci delle nostre prerogative autonomistiche (pure in armonia con l'ordinamento giuridico nazionale). Rimarrebbero esclusi i 17 Comuni che hanno affidato la gestione a Dolomiti Energia e altri 7 Comuni che hanno altre società di gestione.

I numeri non devono trarre in inganno perché i 17 comuni di DE hanno circa 200 mila utenze, interessando i principali comuni dell'asta dell'Adige e della Valsugana, comprese le città di Rovereto e di Trento. Inoltre le concessioni in questione scadono il 31 dicembre di quest'anno e dunque è necessario muoversi conseguentemente. L'ipotesi di cui discutiamo, e che avevo annunciato nel convegno di dieci giorni fa a Rovereto, è quella di una moratoria per permettere ai Comuni in questione di scorporare il ramo acqua da Dolomiti Energia e di costruire una nuova società di servizio al 100% pubblica. Il Sindaco di Trento mi conferma che è questa la strada che stanno discutendo con il Comune di Rovereto e con la PAT, avvalendosi dell'opzione per lo scorporo delle attività relative al ciclo integrato dell'acqua (e del servizio raccolta rifiuti) che può essere esercitata entro il 31 marzo 2011. E anche per quanto riguarda la proprietà degli impianti della rete di distribuzione dell'acqua del Comune di Trento, l'amministrazione comunale è decisa a rientrarne in possesso visto che tali impianti (un tempo di proprietà della SIT) erano finiti a cascata in DE.

Mi pare che ci siamo. Che ci incamminiamo sulla strada giusta. Andremo a proporre un emendamento alla Finanziaria perché questa strada possa essere percorsa senza incappare nelle disposizioni di una legge nazionale che impone nelle società miste una quota minima (40%) di presenza dei privati ai quali viene in ogni caso assegnata la titolarità della gestione.  Tutto questo sembra però non contare nulla per i "Comitati trentini per l'acqua bene comune" che in un loro comunicato scrivono "Le donne e gli uomini che hanno firmato in Trentino lo hanno fatto perché sanno che anche in questa Provincia bisogna resistere alla privatizzazione del ciclo dell'acqua che avanza silenziosamente. Una privatizzazione che non è stata finora capace di eliminare le regole che qui ancora ammettono le gestioni comunali in economia e le aziende di diritto pubblico ma che ormai produce quasi la metà dei servizi idrici civili attraverso le SpA a capitale misto pubblico-privato o a capitale totalmente pubblico. Una privatizzazione che ora vuole crescere e mettere in crisi le gestioni controllate dai cittadini. Un'intenzione già formalizzata in due articoli del DDL "Finanziaria 2011": intervento normativo che nasce con la motivazione propagandistica di confermare - di fronte alle norme statali del 2009 - le tante gestioni comunali in economia e l'unica azienda speciale operanti in Trentino (che sono già tutelate dalla vigente normativa dell'autonomia speciale); ma che nella sostanza legittima quelle norme statali che finge di contrastare, ne raccoglie la spinta privatizzatrice...".

In questo caso, invece, siamo alla paranoia. Perché di fronte ad un governo che riforma l'ordinamento nazionale in materia di gestione di servizi di pubblica utilità, la PAT se vuole tutelare la sua autonomia (e nel caso della gestione del servizio idrico mantenere una normativa in grado di resistere alla legge nazionale) deve rilegiferare. Non farlo significa, in buona sostanza, lasciar partita vinta al nuovo ordinamento giuridico nazionale.

Mi è capitato in più occasioni di trovarmi in assemblee pubbliche sul tema dell'acqua a dover confrontarmi con queste posizioni ed ogni volta ho cercato di dire che se vogliamo vincere questa battaglia contro la privatizzazione dell'acqua dobbiamo costruire una grande alleanza, coinvolgendo i soggetti più diversi che hanno a cuore l'acqua come bene comune. Cioè l'esatto opposto di questo settarismo inconcludente. Peraltro vorrei dire che fra le migliaia di persone che hanno firmato per il referendum ci sono anch'io, ci sono le persone a cui ho chiesto di firmare nei banchetti dov'ero ad autenticare le firme, ci sono i Comuni che hanno votato mozioni ispirate a quella assunta su mia proposta in Consiglio provinciale, ci sono i tanti che non sono d'accordo sulla privatizzazione ma nemmeno sul fanatismo e sull'imbecillità. C'è anche l'amico Emilio Molinari che pure in questi anni ha fatto del tema dell'acqua una ragione di vita e che sostiene esattamente quel che stiamo cercando di fare. Tutti traditori?

Sono davvero stanco di questo manicheismo che non si fa carico mai di nulla. Ne parlo non perché queste posizioni abbiano più di tanto seguito, ma perché rientrano in un ben più vasto e preoccupante clima di deresponsabilizzazione che pervade pezzi sempre più ampi di società. Ne parleremo più diffusamente.

Intanto mi sembra davvero importante aver trovato una strada condivisa, non solo per tutelare i Comuni che hanno continuato a gestire in proprio il bene acqua, ma anche per quelli che si sono trovati a delegare la gestione dell'acqua ad un soggetto privato (quand'anche a maggioranza pubblica ed in un contesto legislativo diverso) nella direzione della ripubblicizzazione del servizio.

 

sabato, 13 novembre 2010Lungo la strada romana

Alla fine dell'incontro nell'area archeologica del "Sass" con Wajeeh Nuseibeh, mi avvicina Daniela per dirmi che questa cosa è davvero molto bella. Me lo dice quasi con stupore, come se dai luoghi della pace non si aspettasse una cosa così. Spero sia la sensazione delle molte persone che vi hanno preso parte, a questo come negli incontri precedenti, perché era proprio questo quel che ci siamo proposti come Forum, uscire dai rituali del pacifismo creando occasioni di riflessione e provando a smarcarsi dal manicheismo dei buoni e dei cattivi.

Il tema della "Cittadinanza euromediterranea" non richiama le grandi folle dei Sepulveda, ma scava dentro la pace, obbligando ad interrogarci su temi semplici e complessi come il pane nostro o, come in questo caso, la "terzietà" nell'elaborazione del conflitto. Concetto elitario, forse, ma che il custode del Santo Sepolcro interpreta, probabilmente senza averne mai fatto sfoggia, con la naturalezza e la maestria che gli viene dall'autorevolezza del compito che la storia ha assegnato alla sua famiglia.

Dettagli della storia, abbiamo detto. E mi pare che stiamo colpendo nel segno, perché è così che possiamo smontare, pezzo per pezzo, gli argomenti dello scontro di civiltà (che poi si può declinare nei tanti particolarismi egoistici del nostro tempo). Avrei voluto vedere lungo le pietre della strada romana quei miei "colleghi" del Consiglio Provinciale che usano il crocefisso come una clava o che immaginano il primato della nostra "civiltà" occidentale...

Sono proprio curioso di vedere come nel corso di un anno e più tutto questo saprà mettere radici, costruire senso comune e capacità di osservare. Per il momento mi accontento dello sguardo stupito di Daniela, dei complimenti di Annalisa, della telefonata di Franco, dell'emozione di Alessandro, della delicatezza di Corrado e dei suoi amici musicisti. E delle parole di una giovane archeologa che alla fine della serata ci ringrazia per le cose che ha imparato.

 

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venerdì, 12 novembre 2010La biblioteca san Bernardino

La Biblioteca San Bernardino è uno dei luoghi più belli della città di Trento, quand'anche ai più sconosciuto. E' la biblioteca dei frati francescani che ha raccolto nel tempo più di duecentomila volumi dal XIII secolo in poi, come a dire che qui è raccolta una parte importante della storia della nostra comunità (e non solo).

Accogliere in questo scenario Wajeeh Nuseibeh, custode del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è un regalo che ci facciamo, potremmo dire che sono le storie che s'incontrano nelle loro più lontane ma in fondo ravvicinate narrazioni. Perché la famiglia Nuseibeh è nella storia di Gerusalemme e del vicino oriente, ha espresso personaggi di primo piano ma soprattutto dai tempi del Saladino detiene le chiavi del logo più importante della cristianità. E perché l'ordine dei francescani svolge un ruolo particolare e di primo piano nella vita del Santo Sepolcro e nel far rispettare lo "status quo", la regola che presiede i rapporti fra le diverse fedi cristiane che spesso si sono contese anche aspramente il luogo della sepoltura e della resurrezione di Cristo.

In un'affollata sala della biblioteca che induce all'ascolto, le parole di Silvano Bert sul dialogo interreligioso, quelle del "provinciale" dei Francescani padre Francesco Patton e quelle di Wajeeh Nuseibeh sul delicato e secolare ruolo affidato alla sua famiglia (grazie alle parole in italiano che ci vengono consegnate da Adel Jabbar) raccolgono una grande attenzione. Quasi nulla di teologico, ma semplici "storie forse prima mai raccontate" in queste latitudini che ci aiutano a capire passato e presente. Senza doversi schierare, ma offrendo un luogo eccentrico, che si colloca a lato delle narrazioni, per poterle raccogliere in modo che ne si riconoscano i tratti comuni.

Questo significa elaborazione del conflitto, senza il quale la parola riconciliazione diviene un vuoto richiamo. Il fatto è che i conflitti in genere si risolvono con un vinto ed un vincitore, con un tribunale che giudica i criminali, con una storia ufficiale ed una, quella dei vinti, sotto traccia ma non per questo meno capace di trasmettersi.

Quando nel 2000 incontrai per la prima volta Wajeeh Nuseibeh sull'uscio del Santo Sepolcro, ero con Ali Rashid. Compresi immediatamente il valore della sua funzione, tanto simile a quella di chi prova a costruire tratti di dialogo nel cuore dei conflitti. Non nell'equidistanza, perché ognuno di noi ha una sua visione della realtà, ma nel sapersi mettere in mezzo, anche asimmetricamente, purché in ascolto. So bene come, nel far questo, si corra il rischio dell'ambiguità. Un rischio da correre, da cercare vorrei dire. Altrimenti è la divisione fra il bene e il male, a prescindere dai comportamenti individuali. E volano le teste.

La storia che scorre nei libri che ci avvolgono ti fa sentire irrilevante – certo – ma presente. Vorrei che questo luogo si aprisse alla città e se doveva venire questo piccolo e grande uomo di Gerusalemme per aiutare ad avvicinare la nostra comunità ad una maggior consapevolezza di sé e del tempo, vorrà dire che ne valeva la pena.

giovedì, 11 novembre 2010alhambra, particolare

Terza giornata della sessione del Consiglio Provinciale. Prima di immergermi nella bagarre (in realtà nello sconcerto di una seduta fatta prevalentemente di parole vuote in libertà), aggiornato il blog e controllata la posta, invio un po' di messaggi agli amici e preparo la relazione per la discussione sul disegno di legge sui Fondi Rustici. Pia illusione che se ne parli oggi, incorreggibile ottimista sulla natura degli uomini. Perché se ieri sembravano pressoché esauriti gli interventi oggi si iscrivono una buona parte dei consiglieri dell'opposizione, Lega al completo, con intenzioni ostruzionistiche.

Ci trovassimo di fronte ad una proposta di legge fortemente caratterizzata politicamente, anche l'ostruzionismo ci potrebbe stare. Ma il testo che discutiamo è stato licenziato dall'apposita commissione all'unanimità e ad esso sono state apportate successivamente solo piccole modifiche. Va detto inoltre che si tratta di una proposta più metodologica che altro, nella direzione di sviluppare canali di informazione fra le istituzioni europee e la Provincia di Trento.

In realtà è il concetto stesso di Europa ad infastidire. E, lasciate libere le briglie, esce il peggio. Il più lucido in questo senso è il consigliere Borga, tradizioni di destra che sembra non aver affatto riposto nel suo riferirsi a Carlo Magno e alla tradizione carolingia, alle radici cristiane dell'Europa, alla battaglia di Lepanto. Sono esattamente gli argomenti che vengono agitati dalla Lega di Bossi, a testimoniare l'egemonia di questo partito sull'insieme della destra e sui quali ho continuato in questi mesi a mettere in guardia facendo risalire il cosiddetto scontro di civiltà alla profonda frattura fra oriente e occidente. La consigliera Penasa, riconoscendo di aver sempre fatto fatica con la storia, cita Oriana Fallaci a proposito degli "uomini che bevono aranciata e che vestono abiti da donna". Questa è la sua narrazione del mondo arabo, cosa volete che sappia di Averroè o di al-Andalus...

L'Europa è un progetto politico importante, vorrei dire decisivo. Ma non abita nei cuori degli europei, che invece la guardano con sospetto, come rappresentasse un'insidia verso uno status di privilegio, oppure come un'insieme di regole, lacci e laccioli verso la libertà di vivere a discapito di altri. Il Consiglio provinciale ne rappresenta lo specchio visto che anche la politica fatica a mettersi alle spalle il paradigma dello stato nazione. E sbaglia chi pensa che i vuoti nei banchi della maggioranza siano semplicemente la risposta all'ostruzionismo dell'opposizione.

Con queste premesse, nemmeno un testo di legge che si pone semplicemente di rendere trasparenti le relazioni può andar bene. Grazie ad un regolamento ridicolo, il tempo del dibattito non viene contingentato. E alle sette di sera siamo ancora lì, ad ascoltare parole che, talvolta inconsapevolmente, pesano come macigni. Il Consiglio finisce qui. Riprenderà a dicembre.

Mi rimane la considerazione di quanto sia importante quel che cerchiamo di fare per costruire una cultura e una cittadinanza euro mediterranea.

 

mercoledì, 10 novembre 2010il vecchio treno della Valsugana

Prima della riunione del Consiglio mi trovo con Carmine Ragozzino. Sono da lui per presentargli l‘iniziativa che porterà a Trento in questi giorni il custode del Santo Sepolcro. In realtà è anche l'occasione per confrontarci su un ampio spettro di questioni che investono le politiche culturali in Trentino. Carmine è stato per anni nel consiglio di amministrazione del Centro servizi culturali Santa Chiara e così ne approfitto per chiedergli una sua opinione sulla realizzazione del nuovo teatro di Pergine Valsugana. Il suo punto di vista è favorevole, a prescindere dagli aspetti urbanistico architettonici che peraltro non sono affatto secondari.  Ci troviamo d'accordo su molte cose, anche sul piano politico, ambito nel quale s'è da qualche tempo fatto da parte.

Immagino guardi con rispetto a quel che cerco di fare, ma capisco quanto sia difficile trovare nella politica spazi virtuosi di impegno. Lo devo lasciare per correre in Consiglio dove alle 10.00 riprende il dibattito sulla normativa relativa all'inquinamento industriale. Intervengo per illustrare il mio punto di vista, spostando l'angolatura di osservazione sul futuro della Valsugana (cercherò di mettere nero su bianco quel che ho provato a dire nel dibattito). Ovviamente l'attenzione mediatica è altrove, sulle suggestioni che riguardano il futuro dell'area non c'è trippa (cose da gridare).

A questo proposito da un paio di giorni imperversa sui giornali la questione del "debito" della PAT attraverso le società di sistema, una "non notizia" - peraltro evidenziata da un'interrogazione del nostro capogruppo Luca Zeni - ma che ben si presta ad essere sparata dai quotidiani locali in cerca di toni sensazionali. Perché è evidente che se si emettono obbligazioni per 925 milioni e 425 mila euro per realizzare investimenti, questi corrispondono ad un patrimonio che accresce il proprio valore. Avevo più volte in passato indicato la strada dei Buoni ordinari della PAT per finanziare operazioni legate in primo luogo ai Comuni, per evitare di far dipendere la progettazione urbanistica dagli investimenti privati e non ci vedo proprio nulla di male.

Ritornando alla Valsugana, il dibattito si conclude dopo una giornata di discussione con l'approvazione della nuova normativa, caratterizzata per regole più restrittive nelle emissioni industriali e per l'avvio di un sistema di controllo permanente. Si poteva fare anche prima, non c'è dubbio. Così come si era persa l'occasione già tempo fa per porre la questione di un futuro della Valsugana non condizionato dall'industria pesante. L'importante è farlo ora, ma anche su questo piano il PD del Trentino è una babele di linguaggi. Perché prima del mio intervento che guarda al "dopo acciaieria" c'è stato quello di Bruno Dorigatti che invece rivendica in pieno quella presenza industriale e prima ancora quello di Giovanni Kessler che nell'illustrare la proposta non ha speso nemmeno una parola sul modello di sviluppo della Valsugana. Se poi consideriamo quello del vicepresidente Alberto Pacher, forse quello più vicino al mio pensiero ma che non si spinge troppo avanti, il quadro è completo.

Nel corso della discussione con il consigliere Bombarda ci ricaviamo un piccolo spazio ai margini del Consiglio per incontrare i rappresentanti del Comitato promotore della Legge di iniziativa popolare per il Parco Agricolo dell'Alto Garda, fatta propria dal Consiglio provinciale alla fine della scorsa legislatura: E' rimasta ancora sulla carta per un insieme di ragioni, in primo luogo perché incardinata sulle Comunità di Valle che solo con il voto di ottobre sono diventate realtà. Chiamo il neoeletto presidente della Comunità dell'Alto Garda Salvador Valandro per concordare i primi passi e prevedere di incontrarci su questo tema. Speriamo che il Parco Agricolo, proposta innovativa di pianificazione territoriale, possa finalmente decollare.

Trovo anche il tempo di fare un salto a trovare padre Giorgio Butterini, presso la chiesa - tempio civico di San Lorenzo, per coinvolgerlo nell'iniziativa del Forum. Un luogo, il tempio civico, carico di un fascino difficilmente riscontrabile in altri luoghi di culto della nostra città. Il nostro colloquio è intenso e apre porte prima socchiuse.

Ritorno in Consiglio per l'avvio del dibattito sul DDL relativo ai nostri rapporti con le istituzioni europee. Svelerà abissi di ignoranza, pregiudizi, luoghi comuni, dei quali cui vi parlerò domani.

Infine la Commissione ambiente del PD del Trentino, dopo cena (si fa per dire), dove aggiorno i presenti sul tema dell'acqua e delle iniziative legislative per impedirne la privatizzazione. Mi rendo conto di aver forzato la mano nella direzione contraria al disegno governativo anche se so bene che in quella babele di cui parlavo poc'anzi che caratterizza il PD anche su questo argomento non possiamo dare nulla per scontato. Ma in questo caso l'orientamento complessivo va nella direzione che stiamo cercando di praticare, quella di garantire che la gestione pubblica continui tanto nei 193 Comuni che si sono gestiti il servizio in economia quanto nei 24 Comuni che hanno affidato a società per azioni tale servizio, scorporando il ramo acqua da Dolomiti Energia. Una bella scommessa, ma tutt'altro che scontata.
martedì, 9 novembre 2010rottami

Giornata di lavoro in Consiglio Provinciale. Si inizia alle 8.30 con la Terza Commissione che si riunisce per discutere sul Disegno di Legge 153 di iniziativa della Giunta Provinciale che recita "Modificazioni della legge provinciale sulla ricettività turistica e della legge provinciale sugli impianti a fune". Ne parlo perché il primo articolo del DDL è tagliato sugli "Esercizi alberghieri non classificati" o meglio sull'unica struttura alberghiera che oggi va sotto questo nome, il "Cielo Aperto", una delle peggiori "porcate" realizzate sul Monte Bondone, testimonianza del fallimento di un certo modello di sviluppo e che niente ha a che vedere con un turismo che vorremmo di qualità. Esprimo apertamente il mio imbarazzo rispetto al ritrovarci immersi in una aperta contraddizione : il non poter prescindere dai 600 posti letto che questa struttura garantisce al sistema Bondone e il profondo convincimento che la demolizione di "Cielo Aperto" rappresenterebbe un semplice atto di risarcimento. Una situazione che la Commissione declina ponendo un limite di provvisorietà al provvedimento, legandolo ad una prospettiva di riqualificazione, se mai possibile, di quel che oggi rappresenta. Nonostante questa rassicurazione, sull'articolo non posso che astenermi.

Alle 10.00 prende il via la sessione del Consiglio Provinciale. All'ordine del giorno, dopo le question time, una serie di disegni di legge di una certa rilevanza. Nell'ordine, la proposta di modifica delle norme che regolano la navigazione sul tratto trentino del Lago di Garda, i DDL sulle emissioni industriali inquinanti (Acciaieria), la proposta di legge sui rapporti con l'Unione Europea, il DDL di cui sono primo firmatario sui Fondi rustici, la proposta di legge unificata sulla famiglia. Alcune di esse hanno il tempo contingentato, altre no. E questo rende tutto più incerto, a partire dal fatto che non sappiamo quanta parte dell'ordine del giorno saremo in grado di trattare.

Intervengo sull'interrogazione a risposta immediata che ho presentato sulla situazione dei biodigestori in Trentino. Il vicepresidente Pacher risponde al quesito che la situazione in questo momento è bloccata, che l'unica struttura in fase di progettazione è quella di Cadino e che si è aperta una trattativa sui costi di smaltimento per affrontare l'emergenza. Provo a dire che se siamo ridotti in questa situazione, che costa alla comunità trentina non meno di 5 milioni di euro all'anno per portare l'umido fuori provincia, lo si deve ad una politica che, trasversalmente, tende alla ricerca del consenso purchessia.

Inizia l'esame della prima proposta di legge, quella relativa alla navigazione a motore sul Garda. Si tratterebbe di bocciare la proposta punto e basta ma alla fine si raggiunge un accordo che peraltro modifica radicalmente il testo iniziale. Per non sbagliarsi, il nostro gruppo si astiene.

Attacca il DDL sulle emissioni inquinanti. Mi capita per la prima volta di essere relatore di maggioranza al DDL unificato, niente di importante se non la descrizione del percorso legislativo che ci ha portati sin qui. Il vicepresidente Pacher e il consigliere Kessler illustrano il testo unificato della maggioranza, che introduce norme più restrittive e sui controlli (che diventano permanenti) relativi alle emissioni industriali.

E' questo un tema di grande attualità, che può rappresentare un passaggio importante fra il prima e il dopo, fra la fase del compromesso fra economia e ambiente ad una nuova fase basata su un diverso modello di sviluppo e sulla valorizzazione delle vocazioni della Valsugana. Tema sul quale svilupperò il mio intervento in aula il giorno seguente.

Il centrodestra chiede l'anticipazione della trattazione del Disegno di Legge sulla Famiglia. Il che significherebbe in buona sostanza che la proposta di legge sull'Europa (che non ha tempi contingentati) e quella sui Fondi rustici andrebbero a finire chissà quando. Pongo come condizione allo slittamento il fatto che vengano fissati tempi certi di trattazione del DDL sui rapporti con l'Unione Europea, affinché venga aggirato l'ostruzionismo della Lega, allergica ad ogni evocazione europea. Non ci sentono e dunque mi oppongo ad ogni anticipazione.

In mezzo a tutto questo, sto seguendo l'iter preparatorio delle iniziative che abbiamo programmato nel fine settimana come Forum e che porterà a Trento il custode del Santo Sepolcro Wajeeh Nuseibeh, membro di una famiglia palestinese e musulmana alla quale dal 1192 è affidata la custodia del più importante luogo della cristianità. Una bella occasione per riflettere sulla storia, sui conflitti e la loro elaborazione.

Finiamo alle 19.00. Corro a casa, qualche spiraglio di vita normale. Amo mettere sul fuoco il paiolo di rame.

lunedì, 8 novembre 2010lentezza

Il circolo del Pd dell'Argentario mi chiede di avere un momento di confronto a partire dalle suggestioni offerte dalla "Lettera agli amici 3", il terzo rapporto semestrale sulla mia attività in Consiglio e dintorni. Una conversazione a ruota libera, considerato che i temi posti sono numerosi e non c'è un obiettivo specifico.

Nella sala della biblioteca di Martignano ci troviamo in una quindicina di persone, in un orario che lascia intendere più un momento conviviale che una riunione politica vera e propria. Quel che ne esce è invece un incontro politico a tutto tondo, come forse dovrebbero essere tutte le nostre riunioni, dove peraltro i pasticcini non guastano affatto.

Tanti gli argomenti possibili, allora parto da un fatto di cronaca che durante l'estate mi ha profondamente colpito e di cui ho parlato in questo blog, la morte accidentale di un giovane camionista polacco in un'anonima periferia padana, vittima della solitudine e della Bolkenstein. Vicenda paradigmatica che investe il lavoro, i diritti elementari, le paure verso il futuro.

Nei mesi passati la necessità di uno sguardo sovranazionale ed europeo, è emersa in forme tanto nette quanto drammatiche. Perché nella vicenda Fiat - Pomigliano d'Arco come nella delocalizzazione delle produzioni automobilistiche a Kragujevac, il tema era esattamente questo, come lo è per le lavoratrici della Omsa e delle altre attività produttive che dirottano altrove i propri interessi.

Le risposte al lavoro insidiato dalla crescente deregolazione possono essere quella egoistica ed illusoria dell'innalzamento di mura a tutela delle nostre fortezze oppure quella di darci regole unitarie europee capaci di ridurre il divario nell'attuale sperequazione che caratterizza una stessa attività umana.

Senza dimenticare che l'Europa dalle tante radici culturali (l'Europa delle tante minoranze che si nutre dell'intreccio con il Mediterraneo) rappresenta altresì una risposta anche al tema dello "scontro di civiltà", dal quale si dipanano paure e odi ancestrali verso le altre sponde del mare nostro.

Farsi carico del divario fra inclusione ed esclusione introduce al tema della responsabilità, del concetto di limite, della sobrietà.  Il che ci porta a parlare della prossima finanziaria, dei 140 milioni di euro che verranno tagliati (ai 60 milioni di minori disponibilità a cui vanno aggiunti 60 milioni per la nuova competenza universitaria ed altri 20 per quella relativa agli ammortizzatori sociali), del fare meglio con meno, della sobrietà che dovrebbe caratterizzare le scelte della Pat, dell'incongruenza che viene dal dover spendere 6 milioni di euro all'anno per portare la frazione dell'umido in Veneto...  del modello di sviluppo e del futuro del Trentino. Siamo in grado di darci questo orizzonte?

E' anche l'occasione per parlare della mancanza di un partito europeo ed insieme territoriale. Indico a questo proposito la necessità di uscire dai paradigmi novecenteschi, dandoci anche come PD del Trentino un orizzonte politico oltre gli schemi della politica nazionale.

Intervengono quasi tutti i presenti, qualcuno quasi stupito che un consigliere provinciale possa proporre un profilo politico quanto meno inconsueto. Monica, Vincenzo, Andrea, Luciano, Romano, Nino, Armando, Elisabetta, Gianni intervengono a raffica, stimolati da una riflessione che pone i nodi senza infingimenti, nella loro complessità. Elisabetta è ancora emozionata dall'aver partecipato alla kermesse proposta dal sindaco di Firenze e fra qualche giorno partirà per il Mozambico: ora trova nel taglio proposto dalla mia introduzione un filo conduttore che mette in contatto lo sguardo locale e quello globale, l'amore per l'Africa e per il suo territorio.

Non fosse altro che per il suo sguardo soddisfatto, valeva davvero la pena essere qui. Perché credo che di questo si debba nutrire la politica, senza togliere nulla al lavoro oscuro che ci tocca fare nelle innumerevoli riunioni e nel lavoro spesso noioso, a volte faticoso, che sta dietro anche alle cose più belle che siamo capaci di mettere in campo.

 

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sabato, 6 novembre 2010logo campagna referendaria

Sabato di impegni, a dispetto dell'ultimo tepore di una giornata che meriterebbe altre destinazioni. Invece nel pomeriggio siamo all'auditorium del Brione a Rovereto, per un confronto sui temi della privatizzazione dell'acqua. Un tema al quale in questi mesi ho riservato una certa attenzione, non solo per quanto riguarda la Legge Ronchi sottoposta a referendum nazionale ma anche rispetto al fatto che l'acqua fa gola per tante cose, come ad esempio quella di produrre energia perforando le montagne come si voleva fare con l'impianto Monte Baldo - Lago di Garda, stoppato grazie alla mobilitazione di molti ed il nostro impegno in Consiglio Provinciale.

Qui è in discussione il tema della privatizzazione della gestione del servizio idrico, perla all'occhiello del Governo Berlusconi. A ragion del vero, non possiamo nasconderci che a preparare la strada alla privatizzazione ci ha messo lo zampino anche il centrosinistra che, in diverse realtà regionali, ha fatto da apripista nel pensare il mercato come fattore di autoregolazione sociale ed economica.

Oggi se ne pagano le conseguenze, ma più di tutto brucia l'obbligo imposto dalla Legge Ronchi agli enti locali di privatizzare la gestione, garantendo una quota azionaria minima ai privati ma assegnando a costoro la direzione della compagine societaria.

A parlarne quest'oggi un gruppo di persone che in questi mesi hanno dimostrato attenzione al problema: così dal palco intervengono Emilio Molinari, presidente del Contratto mondiale per il Diritto all'acqua (e amico carissimo con il quale abbiamo attraversato tragitti politici comuni);  Gianfranco Poliandri, del Comitato Acqua bene comune in Trentino; Geremia Gios, docente e sindaco di Vallarsa; e il sottoscritto, quale espressione della maggioranza provinciale.

Mi sento sotto tiro... nell'approccio di molti dei presenti io rappresento la politica, quella cosa che difende interessi più o meno occulti, quello che dice di essere per l'acqua come bene comune ma che poi avvalla le scelte del potere che anche qui in Trentino è per la privatizzazione, oltre che per l'inceneritore, la Tav, la scuola privata...

Conosco bene questo approccio, che ritroviamo qui come altrove e che divide il mondo in bianco e nero, in buoni e cattivi, amici e nemici... e del quale si nutre l'antipolitica. Ma non mi tiro indietro e, del resto, sapevo che sarebbe stato così sin da quando mi è stato rivolto l'invito a relazionare sugli orientamenti della Provincia.

Devo dire che questa volta sono in buona compagnia. Emilio Molinari, a partire dall'analisi di quel che ha messo in moto l'iniziativa referendaria (mai erano state raccolte così tante firme per una proposta abrogativa) pone esattamente il problema di come costruire le alleanze più ampie per vincere questa battaglia e disarticolare gli schieramenti. In gioco non c'è solo una legge da abrogare, ma il diritto alla vita e gli elementi naturali che la compongono, l'acqua appunto, la terra. Ma dopo aver ascoltato l'intervento di Poliandri si sente in dovere di dire quel che pensa, e cioè che se vogliamo impedire il processo di privatizzazione in corso dobbiamo saperci muovere nelle contraddizioni che la questione dell'acqua ha aperto e apre ovunque. E pone dunque il tema della politica riprendendo le mie proposte.

Nel mio intervento, sono partito proprio dal tema più generale che la privatizzazione dell'acqua ha evidenziato: ovvero la finanziarizzazione dell'economia. Perché oggi, di fronte al carattere limitato delle risorse, questi beni diventano preziosi non solo per il loro possesso ma per giocarci in quell'enorme casinò che è diventata l'economia mondiale. Nel mondo è iniziato il lavoro di accaparramento della terra, al pari dell'acqua, come spazio vitale a discapito delle popolazioni locali, come ambito speculativo (al pari del mattone), ma anche come luogo di sversamento di veleni o di rifiuti o più semplicemente come modalità di riciclaggio del denaro. L'attenzione verso l'acqua non è dunque la rincorsa ad una cattiva legge, ma la posta in gioco fra inclusione ed esclusione.

In questo orizzonte due sono le strade da seguire, anzi tre. La prima è il referendum. Se nel 2011 non ci saranno le elezioni politiche anticipate si voterà sui tre referendum abrogativi della legge Ronchi. Dopo tanti referendum andati a vuoto per il non raggiungimento del numero legale, questa è una battaglia che si può e si deve vincere. Lo dico anche per il PD che su questa questione ha titubato fin troppo. La seconda è l'utilizzo delle prerogative della nostra autonomia. Visto che gli articoli 8 e 9 dello statuto indicano nella gestione del servizio idrico una nostra competenza primaria, è utile legiferare per evitare che quel che accade in Italia qui non avvenga. E' quel che viene fatto con il DDL Grisenti inserito nella Legge Finanziaria 2011 ma che si ferma ai 193 Comuni che hanno la gestione in economia o in house del servizio idrico, ai quali viene data la facoltà di continuare nella gestione diretta come hanno fatto finora. Mancano però all'appello gli altri 24 Comuni, diciassette dei quali hanno affidato il servizio a Dolomiti Energia, altri sette a società diverse. La proposta di legge va dunque emendata, se non altro per ottenere una moratoria di un anno affinché questi Comuni possano attrezzarsi diversamente, nella direzione dello scorporo da DE del comparto acqua. E' una strada sulla quale stiamo discutendo con la Provincia e i Comuni di Trento e di Rovereto, a ragion del vero fra ritardi e titubanze. Ma l'impegno che mi assumo a nome del PD del Trentino va esattamente verso la creazione di una nuova società di servizi che riporti al pubblico quel che è oggi in capo ad un'azienda privata (qual è Dolomiti Energia), seppure controllata al 61% dal Comune di Trento, dal Comune di Rovereto e da Tecnofin. La terza di strada è quella culturale, del fare meglio con meno che fra le altre cose significa anche sobrietà, farsi carico, responsabilità. Un impegno non da poco, apprezzato dalla sala che accoglie con un applauso il mio intervento.

Interessante l'intervento di Geremia Gios che da studioso delle proprietà collettive, di fronte al bene acqua sezionato nelle sue diverse dimensioni, private (uso economico), pubbliche (servizio idrico) e intermedie (bene collettivo), prova a scegliere quest'ultima con una proposta sulla quale si sta movendo, ovvero l'affidare la gestione ad una fondazione di proprietà di tutti i censiti. Idea niente affatto peregrina, che però comunque richiede una normativa provinciale che aggiri l'ostacolo della legislazione nazionale e di avere una struttura di riferimento per i servizi (oggi svolti quasi sempre da DE) e per gli interventi strutturali (i finanziamenti PAT).

La serata potrebbe finire così, ma nella logica del "tanto peggio, tanto meglio" e della ricerca del camaleonte da smascherare, l'obiettivo è di fare chiarezza. E quel che è un impegno (seppure a metà) come quello della PAT diventa un imbroglio. Così gran parte delle persone pensano bene di andarsene. E fra i relatori che se ne vanno mi ritrovo a dover sostenere da solo un contraddittorio con Poliandri, del quale avrei fatto volentieri a meno. Non mi sottraggo e siccome non amo lisciare il pelo a nessuno, provo anche a dire che se si vuole vincere questa partita bisogna lasciare fuori dalla porta quest'impronta ideologica e un po' religiosa.

Ciò nonostante una serata utile e di questo ringrazio gli organizzatori, Andrea e Roberto del comitato roveretano. A loro affido il consiglio che ho rivolto alla sala: l'acqua è troppo importante per lasciarla diventare una disputa ideologica e settaria.
venerdì, 5 novembre 2010mirò

Accade che in uno stesso giorno s'incontrino in luoghi diversi due persone che non vedi da una vita e di scoprire che i percorsi intrapresi abbiano portato queste persone diventate estranee a condividere parole e pensieri niente affatto scontati. E' quel che mi è capitato oggi, incontrando Della e Antonio. E' il Gioco degli Specchi ad averli portati a Trento, in spazi diversi ma nella comune sensibilità di de-scrivere storie e racconti.

Della Passarelli oltre a scrivere è anche l'anima della casa editrice Sinnos. L'ultima volta che ci siamo visti era l'89, cioè un mondo fa. Della lavorava al gruppo parlamentare di DP, una persona gentile e squisita. Delle cose che ci accomunavano, una era più forte di tutte: l'amicizia con Massimo Gorla. Quando se ne andò non riuscimmo ad incontrarci. Ci parlammo al telefono anche quando, di lì a poco, pubblicammo con la Sinnos un libro di testimonianze dedicato a Massimo. E poi più nulla, le storie ti portano a spasso per le vie più traverse. A Trento non ci si passa così facilmente, a Roma un po' di più, ma sempre di fretta.

Così, nel rivedersi dopo tanto tempo, la preoccupazione è quella di non riconoscersi. Ma Della, con il suo sorriso, è inconfondibile. E' felice di essere a Trento, "un altro mondo" osserva. Ci si racconta delle nostre vite, buone ci diciamo. E così dopo un caffè e la promessa di rivedersi a breve, ognuno ritorna sulle proprie strade.

Nel tardo pomeriggio, alla Biblioteca Comunale, c'è la presentazione di "Biscotti al Cardamomo", il primo romanzo di Antonio Riccò. Qui gli anni saranno almeno trenta, forse trentacinque. Quando Antonio se ne andò via da Riva del Garda per andare prima in Sud Tirolo e poi in Germania (dove ancora vive), eravamo giovani politicamente impegnati, in un decennio - gli anni '70 - di profonde trasformazioni. Le nostre strade non si sono più incontrate fin quando un messaggio consegnato all'elettronica non ci ha rimessi in comunicazione. Anche con Antonio ci si riconosce al volo, al suo volto la vita non ha fatto granché. E' bello abbracciarsi dopo un così lungo tempo, anche se poi troppe sarebbero le cose da dirsi. Per cui lui affida alle parole la storia di Tariq, clandestino afgano che muore sotto un camion al quale aveva affidato la sua speranza di futuro, per descrivere il suo stare al mondo. Intrecciando storie di vita, fra il Trentino, l'Europa ed altre terre solo apparentemente lontane. Mentre lo accompagno alla stazione dei treni, ci lasciamo con l'impegno di leggerci e di scambiarci qualche pensiero.

Accanto a tutto questo, il lavoro di tutti i giorni, fatto di incontri, riunioni, studio, telefonate, cose da organizzare, appunti. Domani c'è un appuntamento importante sul tema dell'acqua, vorrei prendermi degli impegni che poi sono in grado di rispettare. La matassa è bella complessa e così ne parlo con Emilio Molinari, uno dei responsabili del Contratto mondiale sull'acqua ma soprattutto vecchio amico, che l'indomani sarà con me fra i relatori dell'incontro di Rovereto. Anche in questo caso, l'autonomia ci può venire in aiuto, purché la si sappia usare intelligentemente.
giovedì, 4 novembre 2010Tien an men

Giornata intensa che si chiude con la serata sulla Cina promossa dall'associazione Italia Tibet. Ospite d'eccezione Giampoalo Visetti,  già direttore del Trentino ed ora inviato speciale de La Repubblica nel grande oriente. Ci racconta di come il centro del mondo si stia spostando rapidamente e di come il 2010 sia stato un anno cruciale nel processo di ridislocazione dei poteri globali.

Hu Jintao è stato indicato proprio in questi giorni dalla rivista americana Forbes come l'uomo più potente del mondo, scavalcando il presidente Usa  Barack Obama. La Cina è diventata, superando il Giappone,  la seconda potenza economica mondiale, destinata a diventare la prima entro il 2020. Al tempo stesso è già oggi il primo paese come numero di miliardari, a significare che il grosso degli affari si svolgono su quei meridiani. E, ciliegina finale, il Plenum del comitato centrale del Partito Comunista Cinese ha già, a scanso di equivoci, indicato chi sarà il successore di Hu Jintao, ovvero Xi Jinping, personaggio sconosciuto ma conservatore comunista che guiderà la Cina fino al 2022.

Senza dimenticare che già oggi la Cina ha in dotazione il computer più veloce del mondo, esporta non sono carabattole ma anche alta tecnologia, ha un tasso di crescita media a due cifre, sviluppa una politica estera fondata sulle relazioni economiche che la porta ad essere il paese di riferimento per l'Africa e il Sud America, acquista una parte significativa del debito degli Stati Uniti tanto da condizionarne le sorti finanziarie, esplora lo spazio, ha risorse energetiche da vendere...

Tutto questo avviene in una miscela che affascina e preoccupa il mondo intero, il comunismo come sistema politico e il neoliberismo come profilo economico. Un paradosso ? Che il neoliberismo ben si sposi con il comunismo in salsa cinese è una realtà. Insomma, Marx avrebbe buoni motivi per rigirarsi nella tomba.

Paradosso o meno, la sostanza è che quel che accade in Cina è affare interno, il generale cinese protagonista della repressione di Tien an men viene premiato dalle Nazioni Unite, nessuna delle potenze mondiali osa mettere la questione del Nobel Liu Xiaobo sul piatto delle relazioni con la Cina, il governo cinese chiede a tutte le cancellerie di disertare la cerimonia di Oslo per il Nobel al dissidente incarcerato e persino il presidente Napolitano, in visita ufficiale in Cina la scorsa settimana, si guarda bene dal porre la questione definendo "stravagante" l'appello firmato da 14 premi Nobel che chiedevano una presa di posizione del G20 a favore di Liu. Come stravagante diviene parlare dei campi di rieducazione (Laogai), delle migliaia di esecuzioni, della negazione della libertà di espressione. Gli accordi commerciali sono ben più importanti delle carte dei diritti umani, tanto che l'effetto dell'interlocuzione con il Dalai Lama da parte dei paesi attenti alle richieste di autonomia del Tibet comporta un calo delle esportazioni in Cina variabile fra il'8 e il 15%.

C'è davvero di che riflettere. Difficile immaginare che la resistenza di pochi tibetani possa scuotere la potenza del nuovo secolo, la quale non può fare a meno delle acque dell'Himalaya né del controllo del confine con l'altra potenza regionale che l'insidia da vicino, l'India, paese che ha un tasso di sviluppo ancora più alto del colosso cinese. Si capisce così l'emozione di Kando, la sua voce rotta dall'angoscia, che vorrebbe far valere la ragione della cultura sulla forza del potere. E che chiude simbolicamente la serata.

E' importante il racconto, quello che cerca di descrivere piuttosto che piegare la realtà al proprio punto di vista. Tracce di buon giornalismo. Avrei un sacco di domande e curiosità, forse un giorno mi capiterà di andarci, anche se una città come Pechino la cui espansione la porterà entro pochi anni ad avere 80 milioni di abitanti un po' mi spaventa. Certo è che lo strabismo di cui spesso parlo nei miei interventi pensato dal sol levante fa venire il capogiro.

E' di strabismo che parlo anche nell'incontro svoltosi prima dell'incontro sulla Cina con il gruppo di insegnanti che intendono dar vita ad una nuova associazione, Docenti Senza Frontiere. Una bella suggestione, che richiede visione, approcci non retorici, capacità di rispondere alle aspettative che un'iniziativa di questo tipo richiede. Perché questo nucleo iniziale viene da un solo plesso scolastico, quello di Trento-Mattarello, ma il progetto riguarda la città, il Trentino e, a guardar bene, tutto il paese.

Michele Toccoli, che dell'iniziativa è uno dei promotori, prova a mettere quasi per gioco sul web l'idea e in poche ore gli arrivano decine di adesioni da ogni parte d'Italia, senza nemmeno una carta d'intenti.  Al momento siamo solo ai primi passi, ma la cosa è indubbiamente interessante. Ha a che vedere con un modo diverso di pensare la pace e la cooperazione ma anche con il tema dell'educazione permanente e dell'aggiornamento professionale. Nasce dall'esperienza concreta delle relazioni di una scuola con un'altra scuola di una periferia abbandonata e deliziata nel '99 dai bombardamenti umanitari con l'uranio impoverito, a Bogutovac, nei pressi di Kraljevo.

In questi giorni colpita da un forte terremoto. Ci arrivano notizie di qualche centinaio di famiglie costrette ad abbandonare le proprie case pericolanti: insomma, piove sul bagnato. Proviamo ad attivarci con le nostre comunità, evitando - per favore - gli sproloqui ideologici di chi pensa di aiutare la Serbia come baluardo dell'anticapitalismo. Piano piano se la stanno comprando a pezzetti gli affaristi di tutto il mondo, la Philip Morris in testa a cui è riconducibile il 50% degli investimenti USA in Serbia e in Monenegro. A proposito, lo sapevate che Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, siede nel Consiglio di Amministrazione della multinazionale statunitense?

mercoledì, 3 novembre 2010orso bruno

Quella di oggi non è una bella giornata. C'è il sole, ma non parlo di questo. Non sono ancora le 7 del mattino che arrivano le prime notizie su un terremoto che ha colpito nella notte la Serbia centrale con epicentro non lontano da Kraljevo, municipalità con la quale il Trentino da qualche anno ha avviato una relazione speciale. La cronaca parla di due morti, di molti feriti e di tante case lesionate.  Più tardi Ilija Petronjevic ci rassicurerà che stanno tutti bene, ma la paura è stata molta.

In mattinata giunge la notizia della morte di Alfons Benedikter, uno dei padri dell'autonomia sud tirolese. Ho sempre considerato il vecchio Alfons con rispetto, un conservatore che ha dato un contributo essenziale alla difesa dell'integrità della sua terra, lontano dalle sirene del facile denaro. Una persona sobria, integra. Ho un ricordo ancora vivo di quando, all'inizio dell'esperienza dell'Università per la Pace (Unip), lo invitammo a parlare di sostenibilità e di territorio in uno dei corsi di formazione. E di come lui si accostò con delicatezza, quasi pudore, a quegli italiani che ne volevano ascoltare le ragioni. Quando la sua gente aveva smesso di farlo. Che la terra ti sia lieve, caro Alfons.

C'è qualcosa che non va nell'incapacità (o nella non volontà) di fare sistema nelle relazioni internazionali. Così in questi giorni il presidente Dellai è in Israele con la Fondazione Mach, l'assessore Giovanazzi Beltrami è a Hebron con la Croce Rossa per un'iniziativa umanitaria e interreligiosa e contestualmente è partito il viaggio organizzato dall'associazione Pace per Gerusalemme in Palestina. La cosa triste è che fra le tre cose non ci sia coordinamento alcuno, se non diffidenza. Intendo parlarne, ma non so se troverò ascolto.

Nel pomeriggio inizia la riunione straordinaria del Consiglio Provinciale richiesto dalle minoranze. E' diventata ormai una prassi, dov'è dunque la straordinarietà? La Lega intende imporre la prerogativa che le viene dal regolamento consiliare e allora un intero pomeriggio e sera se ne vanno a parlare di orsi che, al pari degli immigrati, sono indesiderati. Capri espiatori, gli orsi, di umori diventati rancore. Fatico le parole di questi "colleghi", come se non avessi con loro nulla da spartire. Il fatto è che di fronte alla cattiveria mi ritraggo. I più furbi dicono che si dovrebbero tarpare le intemperanze di qualche esemplare, ma nelle parole con lingua dritta del capogruppo della Lega l'intenzione viene fuori senza infingimenti: bisogna eliminarli. Ma che gente è questa? Come antidoto mi sono portato un libro, "Il viaggiatore notturno" di Maurizio Maggiani, così caro nei ricordi e così simile al mio girovagare di un tempo. Racconta di Amapola, un'orsa che fugge dalla guerra degli uomini.

«Ho preso fra le mani il muso di quell'orsa come sapevo prendere una rondine. Con le mani a coppa, come se potessero contenerlo, diventare un nido d'orso. ... Finché ho tenuto il suo grosso muso inerte fra le mie mani, finché ho sentito sui polpastrelli il pelo morbido, umido della rugiada mattutina, Amapola è stata una rondine...».

Leggere le pagine di Maggiani era come trovare qualcosa a cui aggrapparmi, come se la dialettica si formasse sull'uscio dell'aula consigliare, scoprendomi improvvisamente incapace di mettermi in dialogo con uomini e donne così aridi. L'orso tocca strane corde, e questa cosa un po' mi spaventa.

Mi arriva una telefonata. Un caro amico mi parla di un viaggio impegnativo, lungo strade incerte. Vorrei poterlo accompagnare, potergli dare consiglio, ma so che nei momenti cruciali lui ama fare di testa sua. Ne parlavamo qualche giorno fa, come fra vecchi compagni, impegnati a tirare qualche bilancio. Scrollando la testa ci ripetevamo sorridendo un vecchio adagio sugli uomini onesti.

 

martedì, 2 novembre 2010Sarajevo, inverno 2004

Fuori piove ininterrottamente e non c'è nulla di più bello di starsene rintanati in casa a leggere e scrivere, preparando qualche buon piatto per Gabriella e gli amici che passano di qui. La domenica ed il giorno di Ognissanti se ne vanno così.

Ci sono diverse cose in agenda per i prossimi giorni, che richiederebbero studio e pensiero. Ma quando inizio a leggere "La cotogna di Istanbul", se ne va giù tutto d'un fiato. E' una storia avvolgente, che racconta di luoghi e persone che conosco o credo di conoscere. Una ballata, come l'ha chiamata l'autore, l'amico Paolo Rumiz, nella quale trovo immagini, pensieri e stati d'animo di cui in questi tempi vado parlando. E poi... strade percorse, colori vissuti, suoni famigliari, volti incontrati.

Di Sarajevo conosco un po' le vie e i palazzi, i negozi del pane e le botteghe artigiane, i luoghi di culto e i simboli dell'assedio. E qualche piccolo dettaglio. Non ci sono stato mai per tanto tempo, ma tantissime volte, questo sì. Risvegliandomi con la neve alta, con il canto del muezzin o con lo sferragliare del tram.

Così quando la cotogna s'incontra con il melograno, avrei voglia di chiamarlo e dirgli di questa mia emozione, ma alla fine mi faccio travolgere dal fare. Perché oggi il veleno riprende a fluire piano piano e si ritorna alla vita di corsa che mi sono scelto. Mi riesce di resistere, ancora qualche ora di tregua. Ma ci pensano le telefonate e i messaggi a tirarmi per i capelli, Duilio che mi dice giustamente che il primo banco di prova per la Comunità di Valle sarà il parco Agricolo dell'Alto Garda e che ci dovremmo incontrare, Alvaro che mi ricorda di una valle immersa nei liquami e degli impegni presi, Alessandro che mi parla di un progetto di integrazione fra sport e università, Romina che mi sollecita sul tema dei gas climalteranti emessi dalle Cartiere di Villa Lagarina. Ci pensa infine Riccardo ad alleggerire un po' il rientro, raccontandomi di una notizia apparsa su un giornale del Cairo che riferisce del presidente Mubarak pizzicato a cena con una ragazzetta di Viterbo presentata come la nipote di Berlusconi.

Ancora piove, nella notte una frana ha interessato una zona che ben conosco nei pressi di Frassilongo, in Valle dei Mocheni. Se inizia a cedere anche la mia Valle incantata, che pure non ha avuto interventi significativi di antropizzazione, c'è davvero di che preoccuparsi.

Alle tre del pomeriggio è in programma l'incontro fra una delegazione del PD del Trentino e la Federazione trentina della cooperazione. E' la prima volta che queste realtà hanno l'occasione di confrontarsi sul presente e il futuro del Trentino, sul passaggio delicato che sta attraversando il mondo della cooperazione, sulle difficoltà che incontra la politica a rimettere al centro uno sguardo progettuale. Il presidente Schelfi e il direttore Dalla Sega ci offrono un quadro dettagliato di quella che - dopo la PAT - rappresenta l'impresa più importante del nostro territorio. Di rimando il segretario Nicoletti pone una serie di domande che la nostra comunità si deve porre nell'immaginare il proprio futuro.

Se ne va tutto il pomeriggio, ma in realtà il confronto è appena avviato. Una cosa mi colpisce. Di trovarmi più in sintonia con le argomentazioni degli uomini della Federazione che con quelle dei miei "colleghi" di partito. Perché, nonostante quel che è accaduto con la crisi finanziaria, l'idea del mercato come autoregolatore economico e sociale è tutt'altro che svanita. La realtà è che fra noi andiamo dicendo e pensando cose molto diverse. Persino Senesi, da anni a capo del sistema creditizio della Federazione, mi sembra dica cose più vicine al mio sentire rispetto alle litanie sulla politica che occuperebbe il libero mercato. E pone l'allarme su una crisi di liquidità che dovrebbe farci davvero molto riflettere sul ruolo che in un simile contesto può giocare la criminalità economica organizzata. Non c'è tempo per approfondire e allora propongo di ripartire da qui, in un prossimo incontro da organizzare a breve.

Quanto a noi, sono un po' sconcertato. E' pur vero che nel partito o nel gruppo consiliare mancano le occasioni di confronto su questi temi (e non solo). Sconcerto con condivido con Sara uscendo dalla Federazione. Dico fra me e me che abbiamo fatto proprio bene a dedicare la riflessione in corso sulle pagine web di "Politica è responsabilità" al tema della cooperazione trentina e penso che nei prossimi giorni troverò il tempo per scriverne.