"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

« maggio 2013 | giugno 2013 | luglio 2013 »

domenica, 30 giugno 2013Un\'immagine della serata dedicata alla cultura armena

Un'altra serata, bella e intensa, quella che si è svolta nel tardo pomeriggio di ieri al Café de la Paix, dove è andato in scena all'aperto lo spettacolo di ieatro e musica "A che serve un poeta" dedicato al poeta Daniel Varujan e alla trag...edia armena. Una "cartolina da Istanbul/Costantinopoli", terzo appuntamento dopo Shangai e Lampedusa, del percorso "1914 - 2014. Inchiesta sulla Pace nel secolo degli assassini" proposto da Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani.

Le poesie di Daniel Varujan, poeta barbareamente assassinato nel corso della deportazione del 1915, sono diventate memoria  e simbolo per l'intera comunità armena sparpagliata nel mondo . Perché puoi tentare di eliminare un intero popolo ma basta che resti qualcuno , qualcosa, una parola bene-detta, che da questa può rinascere tutto.

venerdì, 28 giugno 2013L\'assemblea dei lavoratori della Whirlpool di Trento

Nella discussione che abbiamo nel pomeriggio di venerdì nella sede del PD del Trentino sulla questione dei licenziamenti Whirlpool emerge l'eterogeneità di un partito che in questi anni non ha saputo costruire una sintesi culturale e politica. Ovviamente siamo tutti d'accordo nel mettere in campo ogni possibile ammortizzatore sociale per garantire a queste famiglie che vedono lo spettro della disoccupazione un reddito fin quando non si aprirà una nuova soluzione, dando per molto improbabile un passo indietro della multinazionale americana.

Per il resto, è proprio la mancanza di un racconto condiviso di questo tempo a rendere difficile una risposta comune, nello sguardo verso il passato e le scelte che hanno caratterizzato la PAT per evitare l'epilogo di questi giorni, nell'analisi delle ragioni che hanno portato questa azienda a chiudere lo stabilimento di Trento, del ruolo dell'industria (e di quale industria) nell'idea che abbiamo del Trentino del futuro.

Emerge l'impronta liberista di chi considera troppo stringente la nostra legislatura sul piano delle procedure e delle regole. Emerge l'ossessione per il PIL, considerato che un'azienda come questa ha un fatturato considerevole il cui venir meno avrebbe conseguenze sulle casse provinciali. Emerge la vecchia idea industrialista per cui ogni territorio, a prescindere dalle proprie caratteristiche, non dovrebbe comunque rinunciare all'assetto produttivo che ha ereditato da un passato dove l'ambiente non creava (o meglio non faceva percepire) ricchezza. Emerge la posizione di chi non aveva mai sostenuto l'idea che la PAT avrebbe dovuto mettere in campo proprie risorse (l'acquisto dei capannoni industriali) per cercare di mantenere in Trentino quell'insediamento industriale.

L'assessore Alessandro Olivi viene dall'incontro con i lavoratori della Whirlpool, dove è stato accolto - ci racconta - con grande compostezza e dignità. L'impegno a fianco dei lavoratori è totale e si dovrà concentrare tanto nel sostegno al reddito, quanto nella ricerca di nuove attività produttive attraverso la riconversione dell'azienda. Non ci ha dormito la notte, perché quello inferto dalla multinazionale al Trentino è un colpo duro, che investe 468 famiglie.

Per parte mia provo a dire che se una multinazionale se ne va via dal Trentino è perché qui, differentemente da altrove, le regole a tutela del lavoro e dell'ambiente tendenzialmente si rispettano. Che lo scambio PIL/territorio è il segno di una cultura che ha disseminato il paese di Ilva e di Petrolchimici in angoli di natura e urbane di straordinaria bellezza e che forse nessun altro paese al mondo può vantare. Che se ragioniamo da europei non importa avere un'industria automobilistica sul proprio territorio (come se la Fiat non fosse della Philip Morris), valorizzando quel che il nostro paese può mettere a disposizione dell'Europa e del mondo intero ovvero il suo patrimonio storico, artistico, ambientale e culturale (agroalimentare compreso). Che la PAT ha fatto bene a cercare di favorire la presenza di un settore industriale per quanto avulso dal territorio (tranne nel caso dell'Acciaieria di Borgo Valsugana dove quella presenza diviene inibitoria per un altro modello di sviluppo), ma che avrebbe dovuto per tempo sostenere la nascita di progetti industriali e artigianali connessi alle vocazioni locali.

In tutta questa legislatura, dalla vicenda dell'Acciaieria di Borgo in poi, ho continuato a dire che occorreva sul piano delle politiche industriali, un cambio di paradigma. Vedo sul Corriere del Trentino di sabato il prof. Giovanni Pegoretti esprimere posizioni analoghe e questo mi conforta. Solo che avremmo dovuto capirlo per tempo ma purtroppo l'emergenza è il contesto meno adatto per un cambio di sguardo sul nostro tempo, su una crisi che non è crisi ma radicale trasformazione all'insegna della finanziarizzazione dell'economia. Non possiamo nascondere come la politica non abbia avuto la necessaria attenzione verso quanto avveniva nel post comunismo, in paesi diventati luoghi all'insegna della più esasperata deregolazione e che, nell'interdipendenza, hanno avuto l'effetto di una forte spinta alla delocalizzazione selvaggia alla ricerca di profitto facile.

Lo stesso indirizzo che ha avuto "Trentino Sviluppo" in questi anni è stato all'insegna della continuità piuttosto che accelerare nella capacità di sostenere processi di riconversione in senso territoriale delle produzioni. E' l'unicità del prodotto la scelta vincente. E, insieme, la costruzione di relazioni. Occuparsi di internazionalizzazione (delle imprese e dei territori) è in primo luogo allargare lo sguardo sul presente. Quante volte ce lo siamo detti nelle discussioni sulle leggi finanziarie nelle quali abbiamo affrontato gli effetti della crisi globale, parlando di promozione dell'innovazione e della ricerca. E però la conservazione (quella delle associazioni di categoria, come quella di una parte significativa della nostra classe dirigente) tendeva a riprodurre il modello precedente.

Penso alla legge sulle filiere corte e a quanto c'è voluto prima per superare lo scoglio delle normative europee sulla concorrenza e poi perché venisse approvato il regolamento attuativo, penso agli stessi emendamenti (approvati) che ho presentato nell'ultima finanziaria a proposito di animazione territoriale e al ruolo di Trentino Sviluppo e per cercare di cambiarne l'impostazione.

Di aver creduto che il mercato fosse il regolatore dell'economia e di aver immaginato che il concetto stesso di "politica economica" fosse un ferro vecchio, oggi paghiamo lo scotto. Sono convinto, al contrario, che occorra più politica, un progetto di riconversione per questo insediamento produttivo che, come ho già accennato su questo diario, permanga nel ciclo del freddo come filiera interessante anche in relazione alle vocazioni dell'economia del nostro territorio (agricoltura e agroalimentare). Ovviamente rivolta all'Italia, all'Europa e al Mediterraneo. Provo (proviamo) a pensarci.

giovedì, 27 giugno 2013Una manifestazione operaia degli anni \'70 a Trento. In primo piano Claudio Scaffia, Ugo Panza, Giuseppe Mattei, Enzo Fronti

In serata arriva la notizia che la Whirlpool di Spini di Gardolo chiude. Quattrocentosessantotto lavoratori rimangono senza lavoro per effetto delle scelte della multinazionale di spostare le lavorazioni di Trento nello stabilimento di Varese e in Polonia.

Finisce così, salvo improbabili ripensamenti, una storia iniziata con l'insediamento della Ignis negli anni '60, la tradizionale fabbrica di elettrodomestici che diede lavoro a molte persone (con una punta massima di oltre millecinquecento dipendenti) gran parte delle quali, fino a quel punto, addette all'agricoltura. Li chiamavamo i metalmezzadri, perché molti di loro, finito il lavoro in fabbrica, si dedicavano alla precedente attività nei campi. Rappresentò uno dei maggiori nuovi insediamenti industriali in quegli anni di grandi cambiamenti per il Trentino.

Con la Michelin e la Grundig, la Ignis (poi Iret e in seguito Whirlpool) rappresentava una delle più grandi concentrazioni di manodopera del Trentino. Ovviamente questo portava con sé anche sensibilità e coscienza sociale: i giovani operai e le giovani operaie della Ignis erano alla testa delle lotte sindacali e politiche di quegli anni e quando i fascisti si presentarono in fabbrica per costruire il loro sindacato (la Cisnal) la tensione fu altissima e culminò con i fatti del 30 luglio 1970 quando alcuni
esponenti del MSI presentatisi davanti alla fabbrica accoltellarono tre operai: due sindacalisti della Cisnal vennero scortati da un corteo di operai fino a Trento con un cartello al collo con la scritta «Siamo fascisti. Oggi abbiamo accoltellato tre operai. Questa è la nostra politica pro operaia».

Ho una piccola storia personale che s'intreccia con la Iret. Nel 1972, finite le scuole superiori, mi iscrissi all'ufficio di collocamento e in quel periodo l'azienda aveva bisogno di ottanta nuovi lavoratori. Fra quelli in graduatoria c'ero anch'io, intenzionato a rendermi indipendente dalla mia famiglia. Feci la visita medica e il colloquio con il capo del personale Martinelli, non ero certo di debole costituzione né esplicai il mio (ancora acerbo) pensiero politico, ma ciò nonostante su ottanta persone fui l'unico a non venire assunto. Avevo diciotto anni ma, evidentemente, ero già segnalato e non ci fu niente da fare. Anche per un lavoro in fabbrica per me non c'era posto. Vecchie storie, che comunque lasciarono il segno.

Ora la vicenda di quello stabilimento sembra concludersi, nonostante tutte le agevolazioni che la PAT ha posto in essere nel corso degli anni per garantire il mantenimento di quell'insediamento industriale. E' così che accade quando la testa dell'azienda è altrove, gli interessi non riconducibili ad una comunità e la produzione è avulsa dal territorio. E' ancora così per una parte non trascurabile del nostro tessuto industriale. A rischio, dunque.

Perché la delocalizzazione delle produzioni laddove le condizioni sono più favorevoli al padronato è ormai un classico. Ne accenno nel mio intervento al Castello del Buonconsiglio in occasione di una delle manifestazioni nell'ambito delle tre giorni "L'Europa che non conosci". Perché accanto al fascino balcanico, le società postcomuniste hanno lasciato dietro di sé macerie su macerie, ivi compresa la totale de regolazione del lavoro e delle produzioni. In questo modo i paesi dell'est europeo sono diventati i luoghi per delocalizzare vecchi macchinari fuori norma, produzioni nocive, ma soprattutto attività produttive che hanno beneficiato e beneficiano di un costo del lavoro e condizioni di ricatto a dir poco favorevoli. Il caso più recente è quello della OMSA, che prima realizzava i propri manufatti in Emilia Romagna: nello stabilimento in Serbia gli stipendi non superano i 250 euro, i contratti di lavoro vengono rinnovati mese per mese, si assumono donne con figli perché più ricattabili.

In Polonia per la Whirlpool non sarà molto diverso. Così quasi cinquecento persone rischiano di finire sulla strada, in un contesto dove la PAT - nonostante sia proprietaria dei terreni e dei capannoni - vive una situazione difficile sotto il profilo della disponibilità finanziaria. In queste ore si attivano gli incontri e si studiano le possibili iniziative. Per cercare di far desistere la multinazionale americana dalle sue intenzioni, in primo luogo, e per immaginare una produzione alternativa. Il ciclo del freddo potrebbe non essere estraneo al nostro territorio ma da qui a raggiungere l'autosostenibilità il passo non è né semplice, né breve. Tutto questo ci racconta dell'urgenza di una nuova politica industriale capace di intrecciarsi (e valorizzare) con le vocazioni del nostro territorio.

lunedì, 24 giugno 2013Michele Nardelli a Gerusalemme con Ali Rashid e Wajeeh Nuseibeh

La settimana prende il via con l'incontro della Terza Commissione Legislativa provinciale. Prendiamo in esame gli articoli della finanziaria 2014 che hanno a che fare con le competenze della Terza Commissione. Già la Finanziaria? Eh sì, perché a settembre la XIV Legislatura Provinciale nei fatti si conclude. E dunque si vara un provvedimento ponte che estende il quadro finanziario del 2013 all'anno successivo, in attesa che prenda il via la nuova legislatura e il nuovo esecutivo. Una finanziaria tecnica, dunque? Sì se la si intende come estensione automatica degli interventi finanziari dell'anno precedente, niente affatto se consideriamo che la natura degli interventi assunti nel corso del 2013 ha avuto (e dunque avrà) un'impronta chiaramente politica. Fatta la Finanziaria 2014, che arriverà in Consiglio a fine luglio, avremo ancora una sessione a settembre e poi sarà campagna elettorale fino al voto previsto per il 27 ottobre 2013.

Questa avventura iniziata quasi cinque anni fa è volata via, ma il lavoro è stato davvero intenso e spero anche positivo. Ne fanno fede le 955 puntate di questo "diario di bordo", duemila e passa pagine che hanno raccontato, giorno dopo giorno, l'impegno, la fatica, le soddisfazioni di un mandato istituzionale che ho cercato di interpretare con sensibilità e dedizione. E spero con efficacia, considerato le cinque leggi di sostanza delle quali ero primo firmatario, le mozioni e gli ordini del giorno di indirizzo verso il governo provinciale, i contributi portati in occasione delle leggi finanziarie in un passaggio molto delicato per la  nostra autonomia, le iniziative attorno alle questioni ambientali (penso ad esempio all'iniziativa referendaria sull'acqua o al lavoro di interdizione sulla questione dighe), le interrogazioni e poi tutto quello che si vede meno ma che ha contribuito alla coesione di una maggioranza non sempre capace di mantenere la barra a dritta. Un ruolo, mi permetto di dire, almeno in chi ha seguito più da vicino l'attività consiliare, ampiamente riconosciuto da alleati e anche dagli oppositori.

A questo si deve aggiungere il contributo realizzato attraverso l'inedita esperienza di "Politica Responsabile", una piattaforma di confronto politico unica nel suo genere che ha dato voce a tante persone che avevano qualcosa da dire su questa terra e su questo mondo, sulle categorie per interpretarlo, sulle idee per innovarlo, sulle politiche per cambiarlo. Un segmento di sperimentazione politica reso possibile - fra l'altro - grazie all'uso sociale di una parte della mia indennità consiliare.

Per non parlare dell'impegno - che vi assicuro oltremodo intenso - nel Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani, istituzione alla quale in questi anni ho cercato di dare un'impronta fortemente innovativa provando a declinare la pace fuori dagli schemi del pacifismo di maniera. Così i percorsi sulla "cittadinanza euromediterranea", sulla "cultura del limite" ed ora sul "secolo degli assassini", hanno rappresentato e rappresentano altrettante piste di lavoro che testimoniano di "una presenza al proprio tempo" tutt'altro che banale. Come per nulla banale - come abbiamo visto in queste settimane - è stata la scelta di portare la pace e i diritti umani nel cuore della città di Trento attraverso un luogo d'incontro come il Cafè de la Paix. Far uscire la pace dai recinti angusti della ritualità, avevamo detto, e possiamo ben dire di esserci almeno in parte riusciti.

Potrei continuare, ma ci sarà modo e tempo per un bilancio dettagliato della legislatura e del mio lavoro. Nel frattempo anche queste ultime battute consiliari vanno presidiate: e dunque anche in quest'ultima Finanziaria cercheremo di rafforzare alcune delle linee di fondo delle quali siamo stati portatori, a fronte di resistenze che pure evidenziano interessi duri a morire nonché piccoli/grandi poteri di apparato che provano ad ostacolare il cambiamento. Ne parliamo con gli assessori Gilmozzi ed Olivi a proposito di una struttura importante come Trentino Sviluppo, a fronte degli input già introdotti nell'ultima finanziaria e relativi al tema dell'animazione territoriale. Il fatto è che se pure la politica riesce ad indicare con chiarezza una linea di marcia, poi ci si trova a dover fare i conti con impostazioni consolidate, conservatorismi e resistenze al cambiamento. Come del resto anche sulla questione del software libero, dove chi non voleva la legge 16/2013 fa ancora pesare il proprio latente ostruzionismo. Fino all'ultimo non allenteremo il nostro lavoro di presidio su temi come questi che considero strategici.

venerdì, 21 giugno 2013Un cafè de la paix

Venerdì è una giornata di normale amministrazione. Al mattino sostituisco Andrea Rudari in seconda Commissione Legislativa, poi un incontro con Michele Gubert ed Enrico Turra per fare il punto sull'impegno assunto in sede di legge finanziaria 2013 per il riutilizzo dei PFU (pneumatici fuori uso), di seguito lavoro in ufficio su varie cose, alle 17.30 devo tenere un momento formativo sull'Europa per i ragazzi che parteciperanno ad un viaggio di studio e conoscenza in Bosnia Erzegovina e, da ultimo, mi vedo con Antonio Colangelo al Cafè de la Paix.

Questa sera al Cafè finalmente si respira perché dopo una lunga attesa sono stati attivati i condizionatori. Ma si respira non solo perché il caldo non è soffocante. Ho la sensazione che la questione Cafè de la Paix, questo progetto che ho coltivato per anni e che finalmente - grazie al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e grazie alla maestria di Cafè Culture - si è realizzato, aprendo nel centro città non un bar ma uno spazio europeo e mediterraneo che in pochi mesi è diventato un punto di riferimento per migliaia di persone.

Non solo uno spazio per i temi cari al Forum, ma uno spazio per la città. Vedo attraversare Passaggio Teatro Osele da molte persone con i vestiti medievali delle Feste Vigiliane e parecchi di loro fermarsi per mettere una firma a sostegno del Cafè. Perché la cosa bella e importante del Café de la Paix è quella di aver rotto lo stereotipo del locale frequentato da un particolare target di persone secondo i canoni classici della movida. Ma questo spazio con la movida non c'entra nulla.

Ne parlo con Jacopo e Antonio e dico loro che proprio per questo le restrizioni sulla notte bianca andrebbero considerate come una sorta di provocazione positiva, perché la notte bianca è davvero lontana anni luce da una proposta che si ponga l'obiettivo di rendere viva la città nelle ore serali. La città di Trento è viva non perché i negozi che vendono tutti le stesse cose sono aperti fino alle due di notte, ma se la sua proposta culturale è adeguata, se gli spazi non diventano insopportabili luoghi di consumo di spritz, se la città sa dare voce alle sue molteplici e belle esperienze in vari campi.

Può sembrare paradossale ma credo che l'ottusità di certi burocrati abbia involontariamente contribuito ad allargare un confronto che già si era aperto (penso al "Fiume che non c'è" ad esempio) ma che era relegato ad istanza particolare e di piccoli gruppi di persone. Credo altresì che Trento (il Trentino, in realtà), con i suoi festival, con i suoi musei (a fine luglio è la volta dell'inaugurazione del Muse, non perdetela), con le sue gallerie... con i suoi nuovi locali (Café de la Paix, Bookique, Baricentro...), con le sue associazioni esprima una straordinaria potenzialità che spesso non viene valorizzata a dovere.

Non è un problema solo di Trento. Inchiodarsi in casa davanti alla televisione fa male. Al contrario, coltivare le amicizie, andare al cinema o a teatro, assistere alla presentazione di un libro, partecipare ad un incontro pubblico, fare semplicemente una passeggiata, mettere insomma il naso fuori di casa è una forma di cura della nostra salute mentale. E' questo, del resto, uno dei significati della legge (di cui ero primo firmatario) che abbiamo approvato mercoledì scorso in Consiglio Provinciale sull'apprendimento permanente ed in particolare sulla sua dimensione informale, a sostegno di tutte le forme spontanee di accrescimento culturale.


Una legge, un luogo. E' il senso che vorrei dare alla buona politica.

giovedì, 20 giugno 2013Unam, la città universitaria di Mexico DF

La nuova sessione del Consiglio Provinciale che prende il via martedì ha un ordine del giorno una serie di disegni di legge più o meno importanti. Fra questi il testo unificato sull'apprendimento permanente del quale sono il primo firmatario. Ne ho già parlato altrove e qui non ci ritorno se non per alcuni fatti di contorno. Ma se in IV Commissione Legislativa questo testo era stato approvato senza voti contrari (con l'astensione dell'opposizione), ora invece non solo questo orientamento di voto cambia ma le parole diventano pesanti. Sarà l'effetto dell'avvicinarsi della scadenza elettorale d'autunno e la tribuna che viene offerta dalla diretta televisiva ma si arriva addirittura ad affermare che questa sarebbe una legge elettoralistica (così si esprimono Penasa e Civettini).

Il loro racconto del Trentino è quello di una terra in preda al malgoverno e ai poteri mafiosi, dove le iniziative che investono sulla cultura e sulla conoscenza hanno il solo scopo di coltivare ambiti di consenso e di potere. La loro aridità culturale è tale che nemmeno riescono ad immaginare una comunità dove decine di migliaia di persone possano essere in apprendimento volontario attraverso luoghi di studio non formali ed informali. Mi chiedo dove pensino di andare continuando a dipingere il Trentino in questo modo. Forse sarebbe meglio non ascoltarli nemmeno, ma non ci riesco e le parole che costoro usano offendono e fanno male.

La legge viene approvata con diciotto voti, quelli della maggioranza. Su un tema di respiro culturale come questo è importante che la maggioranza sia compatta (tranne Muraro, subentrato ad Ottobre, che però non si sa bene come sia collocato), mentre nell'opposizione compaiono un paio di voti di astensione.

E' la quinta legge di cui sono il primo firmatario che viene approvata in questa legislatura. Se quella sui "Fondi rustici" era per così dire una legge minore, le altre sono state leggi organiche, di riforma della materia trattata: l'educazione alimentare e le filiere corte, la bonifica dell'inquinamento da amianto, la riforma del sistema informativo elettronico trentino e il software libero, l'apprendimento permanente e la certificazione delle competenze. Leggi che hanno comportato altrettanti percorsi attraverso appositi gruppi di lavoro e incontri sul territorio.  Per dire che il bilancio di questa mia prima legislatura non è affatto male. Tenendo conto che poi ci sono stati altri atti di indirizzo attraverso l'approvazione di mozioni e ordini del giorno, come sull'acqua pubblica o sull'inquinamento elettromagnetico, sui temi ambientali (penso all'iniziativa per salvare il Colbricon o per fermare l'impianto di generazione idroelettrica fra il Lago di Garda e il Monte Baldo o, ancora, contro le dighe sull'Adige... ) o quelli relativi allo sviluppo locale e all'animazione territoriale... ma non è questo il contesto per un bilancio di legislatura.

Però, certo, una bella soddisfazione. Esce anche un editoriale di Ugo Morelli sul Corriere del Trentino proprio dedicato alla legge sull'apprendimento permanente (e che trovate nella home page), a testimoniare di quanto la politica possa riuscire a dare buona prova di sé, non rincorrendo gli avvenimenti ma cercando di attivare soluzioni creative ad un contesto complesso e difficile. Chissà se qualcuno se ne accorge...

Sono giorni di dibattito intenso anche su altri fronti. Il primo è quello del Cafè de la Paix dopo l'ordinanza restrittiva (ma in buona sostanza mortale per un'attività come questa) che l'amministrazione comunale ha emanato. La reazione a questa stupidaggine del Comune di Trento (quando la politica è debole e subalterna alla burocrazia e alle lobby) è molto forte, ma quel che si sviluppa è un confronto che va anche al di là del Cafè de la Paix, investendo il tema più generale della qualità del vivere e degli spazi di aggregazione nella città. Anche in questo caso, l'idea di un luogo di questo tipo e la professionalità di chi ne è stato l'interprete e l'animatore (il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e l'associazione Cafè Culture) hanno saputo cogliere nel segno. Arrivano migliaia di messaggi di solidarietà, larghissima parte dei vicini firma a sostegno di questa iniziativa che ha portato un po' di vita in un luogo altrimenti degradato della città, la stessa politica sembra avere uno scatto di reni anche se in Comune ancora non c'è un ripensamento. Ma ci sarà, ne sono certo.

E il caso in questione aiuta l'aprirsi di un confronto sugli spazi culturali nella città, come a dire che un primo risultato l'abbiamo già ottenuto. Uso il plurale, ma il merito principale va a quel tessuto di associazioni e di esperienze che sono nate e stanno nascendo attorno agli agorà che prendono corpo attorno al quartiere latino di cui vado parlando da qualche tempo e che unisce in un unico filo rosso l'impegno dei musei cittadini (dal Museo Storico, al Castello del Buoncosiglio, al Muse...), dei luoghi aggregativi (dal Bookique, al Baricentro, al Cafè de la Paix...), dei festival (quello della Montagna come quello dell'Economia...). E' la dimostrazione di quanto sia importante investire in cultura.

Il secondo fronte, per così dire, è quello relativo alla giornata del rifugiato che si celebra il 20 giugno. Anche in questo caso sono decine le manifestazioni, difficile star dietro al ricco programma che il Gioco degli specchi, l'associazione Astalli o il comitato "Non laviamocene le mani" hanno promosso in questi giorni. Riesco a seguire due iniziative cui aderiamo e sosteniamo come Forum, quella di presentazione del video/libro su Lampedusa e l'incontro al Caffè Bookique sul diritto di asilo. Quasi a sovrapporsi, evidenziando insieme ricchezza delle diverse sensibilità ma anche la difficoltà a lavorare insieme. Nelle occasioni di parola, provo a mettere lì qualche riflessione. Una riguarda il valore del viaggio e della relazione, nei giorni in cui alla maturità "L'infinito viaggiare" di Claudio Magris fa cadere il pero su quanto i programmi didattici (e l'attenzione degli insegnanti) sia carente sulla letteratura contemporanea. E come, al contrario, un viaggio abbia contribuito a cambiare lo sguardo dei ragazzi dell'Istituto Marconi di Rovereto. Una seconda, circa il valore che dovremmo assegnare alla presenza sulla nostra terra di persone riconosciute come rifugiati politici e di come, lungo la storia, essere terra d'asilo abbia rappresentato una straordinaria prerogativa. Avete mai sentito parlare della UNAM, la città universitaria di Mexico City?

martedì, 18 giugno 2013il Cafè de la Paix nel giorno dell\'inaugurazione

Fa caldo e d'estate è abbastanza normale. Ma quello che più mi scalda in questa giornata di metà giugno è la stupidità (e il malanimo) della burocrazia. S'invoca da ogni parte creatività, innovazione, investimenti nella cultura come fattore decisivo per affrontare questo nuovo tempo e poi tutto questo s'infrange sull'aridità di apparati che risultano talvolta più forti della politica.

Perfino l'attività legislativa si scontra talvolta con il muro di gomma di apparati tendenzialmente conservatori, per pigrizia culturale o per mantenere situazioni di potere. Ma in questo caso stiamo parlando dell'esasperazione che si sta creando in chi è stato protagonista in questi mesi dell'evento culturale forse più significativo della città di Trento, ovvero il Cafè de la Paix.

Un'adesione che in città non ha precedenti (oltre 11 mila iscrizioni), un ricchissimo programma di iniziative culturali fra musica e pensiero, una sistematica promozione di iniziative sui temi della pace e dei diritti umani, un'opportunità anche economica ed occupazionale di rilievo, con un positivo indotto anche sul piano degli operatori culturali.... a questo si aggiunga la sottrazione al degrado e all'incuria di uno spazio di valore storico nel cuore della città, una risposta di qualità sul piano dell'offerta di uno spazio multiuso ed intergenerazionale largamente apprezzato... tutto questo ed altro ancora è il Cafè de la Paix. Il tutto senza un centesimo di euro di denaro pubblico.

Invece? Invece stiamo assistendo ad un crescente accanimento da parte dei Vigili Urbani che si sono messi a trattare l'evento come una qualsiasi iniziativa commerciale, con divieti nell'utilizzo dello spazio esterno, con le restrizioni progressive di orario, con ispezioni continue... quasi che il problema non fosse di valorizzare questa iniziativa ma di rendergli la vita impossibile e farla morire. Ed oggi la ciliegina finale, l'ordinanza che impone la chiusura alle ore 22.30. Come a dire "dopo Carosello tutti a nanna".

Allora la domanda è semplice e dolorosa: questa città si merita un Cafè de la Paix? La risposta che è venuta dalla comunità è inequivocabile. Ma quella delle istituzioni? E' paradossale che ci troviamo a porre questa domanda a fronte del fatto che questa iniziativa pure nasce dall'intuizione di una istituzione, quand'anche sui generis come il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani.

Stasera alle 19.00 il Cafè de la Paix avvia una raccolta di firme perché questa nota di cultura e bellezza nel cuore di Trento possa continuare a vivere.

1 commenti - commenta | leggi i commenti
venerdì, 14 giugno 2013Una bella foto di Franco Donaggio

Si conclude la visita della delegazione palestinese. Nell'incontro restituivo facciamo il punto sugli accordi raggiunti con i vari soggetti, nella cornice del protocollo d'intesa fra il Trentino e la Palestina: nello scambio scientifico attorno all'olio extravergine con l'Agraria di Riva del Garda, nell'impegno commerciale per la trasformazione del melograno (e di altri frutti) con la Dolomiti Fruits di Nanno, nel campo della formazione con la Cooperazione trentina, sempre nella formazione con la Fondazione Mach e l'Istituto Agrario di San Michele all'Adige con particolare attenzione alla ricerca nel settore oleario e vitivinicolo ma anche alle tecniche di conservazione dei prodotti. Il tutto nella logica della reciprocità.

Il ministro dell'agricoltura Waleed Assaf e i suoi collaboratori sono persone del popolo. Prima di essere un uomo di governo Assaf è stato un militante palestinese, più volte incarcerato dagli israeliani... e dunque i protocolli formali lasciano presto il posto all'amicizia. Nel fare il punto sugli impegni, con Ali Rashid che di questa relazione è l'anima ci rendiamo conto di quanta carne al fuoco abbiamo messo e di quanto sarebbe necessario che la Provincia Autonoma di Trento si attrezzasse per favorire queste politiche di internazionalizzazione. Penso al ruolo che potrebbe avere in questa direzione una realtà come "Trentino Sviluppo" se sapesse uscire dal suo schema novecentesco (che peraltro non funziona più se non a tamponare situazioni irrimediabilmente compromesse). Ci vuole apertura al mondo, capacità di costruire relazioni e... fantasia. Un pezzo del programma per la prossima legislatura.

Con Antonio Colangelo parto per Milano, destinazione la Cascina Cuccagna, un antico cascinale che grazie ad un restauro conservativo ben fatto è tornato fruibile alla città. Mi stupisco per la gran folla di persone che frequentano questo luogo, il bar, il ristorante e l'area verde, ma anche per lo scetticismo che scorgo in Piero ed Eugenio, come se si trattasse di un'operazione "radical chic". Uno sguardo che mi racconta di quanto poco questa città abbia elaborato la sua storia negli ultimi trent'anni, dilaniata fra successo e rancore.

Se penso alla capitale del nord, a ciò che esprimeva un tempo questa città tanto sul piano culturale che politico e a quanto oggi invece fatichi a ritrovare una sua identità condivisa, allora ho anche una chiave per comprendere questa divisione che si esprime quasi in maniera epidermica nel giudizio tranchant di persone pure tanto diverse anche sul piano generazionale. Chi non ne vuole sapere di mischiarsi, chi nemmeno si può permettere di farlo. Mi passa davanti agli occhi un film che ancora non è finito, gli anni del craxismo e quelli del berlusconismo, la radicalizzazione degli interessi senza mediazioni, l'incapacità da parte della politica di costruire coesione sociale in luoghi dove l'atomizzazione è (stata) troppo forte, producendo solitudine, rancore, silenzio. Così capisco perché uno come Enzo Jannacci, che ha raccontato come nessun altro la Milano del secondo dopoguerra, non abbia più avuto storie da raccontare se non la sua personale disperazione.

Penso fra me a come è diversa la storia (anche recente) della mia terra. E, in effetti, è forse questa - al di là dello sciopero dei mezzi pubblici o dei difetti di comunicazione - la ragione per cui all'incontro di presentazione della guida "Scoprire i Balcani" ci sono così poche persone. La musica di Jovica Jović e di Marta Pistocchi al piano di sopra dovrebbe attirare se non altro un po' di curiosità, ma qui sembra proprio che nessuno rompa le righe, tranne ovviamente le poche persone che vengono a complimentarsi per questo nostro prezioso lavoro.

Peccato, perché così Milano rischia di proseguire nel proprio declino, nonostante Pisapia. Mi ritornano in mente le parole di Emilio Molinari (in questi giorni in ospedale, auguri Emilio!) quando - di fronte al ritorno della musica degli Stormi Six in occasione della festa per l'elezione di un candidato della sinistra dopo un ventennio di Moratti e Albertini - mi scrisse che se n'era andato via dalla piazza sconsolato. Ricordo di averne già parlato in questo diario, ma fa niente...

Eppure questo luogo è davvero bello e forse proprio a questo lavoro di ritessitura del corpo sociale dovrebbe servire. Ci sarà modo di parlarne con l'amico Rino Messina che di questa impresa è uno dei protagonisti. Occorrono idee ponte, non rancore.

Sulla strada del ritorno la stanchezza si fa sentire e la cultura del limite urla il suo dissenso.

giovedì, 13 giugno 2013Il melograno, al centro dei colloqui sullo sviluppo rurale della Palestina

In questo diario vi parlerò di tre questioni, fra il locale e il globale. Non vi parlo invece della riunione del Consiglio Regionale perché, come ho avuto modo più volte di affermare, è arrivato ormai al capolinea. E non certo perché siamo alla fine della legislatura. La fine della legislatura ha piuttosto a che fare con la presentazione di una proposta di legge che indica la necessità di un ruolo del tutto nuovo del Consiglio Regionale che buttiamo lì, a futura memoria potremmo dire, affinché nella prossima legislatura si possa partire da qui (la proposta di cui sto parlando la potete trovare in Primo Piano).

Le tre questioni fra il locale e i globale. La prima riguarda quel che sta accadendo in questi giorni in Turchia. Ovviamente preoccupa dover ancora vedere (e non solo in Turchia, per la verità) le immagini viste troppe volte di poliziotti in assetto antisommossa, la violenza contro chi manifesta il proprio pensiero, i pestaggi e il carcere. Ma che cosa sta accadendo in Turchia? Ci sono relazioni con quel che è avvenuto nei mesi scorsi nel Mediterraneo? O con la tragedia siriana? Quali sono, infine, le motivazioni che hanno portato tanti giovani ad occupare le piazze di Istanbul? E perché il governo Erdogan, legittimato da un forte consenso popolare (nelle ultime consultazioni avevano votato l'82% degli aventi diritto) si è comportato con tanta aggressività verso il dissenso?

Credo che provare a dare risposte a queste domande sia la cosa da fare, ferma restando la solidarietà verso chi sta pagando con la violenza sul proprio corpo il diritto ad opporsi. Proprio questo bisogno di evitare il rincorrere gli avvenimenti in una spirale di natura emergenziale aveva ispirato nel 1999 la nascita di Osservatorio Balcani. E proprio per questa stessa ragione negli anni successivi è stato motivato l'allargamento dell'osservazione alla regione caucasica e alla Turchia. Comprendere per agire in un tempo sempre più interdipendente. Cercare di capire, per evitare oltretutto di cadere nel perverso richiamo al rispetto dei diritti umani da parte di chi tali diritti non li rispetta sistematicamente. Che è davvero sospetto, anche perché quanto accade non può essere disgiunto dal contesto che lo "scontro di civiltà" ha prodotto con le sue guerre infinite.

Nella serata che si svolge al Café de la Paix non a caso abbiamo come interlocutore sul campo proprio Alberto Tetta, giovane corrispondente dalla Turchia di OBC che da mesi ci offre uno sguardo su quel paese diventato strategico nell'area mediterranea. Ma non è facile disgiungere la solidarietà verso i manifestanti e la necessità di cogliere il significato degli avvenimenti, le contraddizioni di una democrazia che fatica a mettersi alle spalle un potere militare (e laico) filo atlantico (la Turchia fa parte della Nato dal 1952 e in quest'ambito rappresenta la seconda potenza militare) e che ha affidato qualche anno fa le istanze di cambiamento all'Islam politico.

Quell'Islam politico che della primavera araba è stato il fatto forse più significativo, proprio nel cercare di coniugare modernità e tradizione, fuori dagli schemi triti e ritriti del Novecento. Che invece rientrano dalla finestra nel riapparire dei simboli ideologici del passato. Con Adel Jabbar ho condiviso in questi mesi analisi e preoccupazioni ed anche in questa circostanza ritrovo uno sguardo comune che però, nel contesto drammatico della repressione poliziesca di queste ore, rischia di essere incompreso.

Quello sguardo diverso che dovrebbe avere la politica è al centro anche della serata successiva, questa volta al circolo del PD di Sardagna. Almeno questo è il tratto che provo ad imprimere ad una discussione altrimenti troppo condizionata dalle cronache giornalistiche, nazionali e locali. Ed infatti cerco di rispondere alle domande che il segretario del circolo Francesco Mazzeo mi pone, sulla coalizione che fatica ad indicare un nome per il dopo Dellai, sul PD dilaniato dai personalismi, sulle motivi della rinuncia di Alberto Pacher, sulle mancate primarie nella designazione del rappresentante del PD, sulla forma partito... cercando di indagare la natura della crisi della politica.

Che, provo a dire, non è il frutto solo e tanto degli errori compiuti da una classe dirigente, bensì espressione dell'incapacità di comprendere quel che accade, un contesto nuovo che chiamiamo impropriamente crisi e con questo la difficoltà di imparare dal Novecento, le cui categorie sopravvivono alla sua fine. E di come tutto questo richiederebbe da parte della politica (ma non solo) nuove chiavi di lettura.

Le persone mi ascoltano quasi stupite, come se si fossero aspetto da me una difesa delle scelte compiute dalla classe dirigente del PD, a livello nazionale come nella dimensione territoriale. E mi chiedo se questo mio volare alto non possa venire considerato come un modo per non dare risposte alle domande forse più semplici che nel venire qui ciascuno dei presenti si era posto. Riscontro al contrario un'attenzione particolare, quasi liberatoria nell'ascoltare questo mio racconto del nostro tempo.

Ci pensa Andrea Rudari che questa sera è qui con me a riportare sul terreno delle sfide più immediate la discussione e fa bene perché questa nostra complementarietà aiuta il confronto. Le domande sono a raffica, ma anche il loro profilo ha assunto in questa cornice una dimensione più profondamente politica. Ne esce una bella discussione che si protrae fin quasi a mezzanotte. Le persone, anche quelle che erano venuti qui con la determinazione di dirci con nettezza quel che covavano dentro in queste settimane sono soddisfatti della riunione, tanto da chiederci di ritornare a breve per parlare delle cose inerenti il programma e il loro territorio.

Sono stanco morto, ma misuriamo questa sera quanto sia forte la domanda di confronto collettivo, di buona politica, cioè. Vengo da due giorni di accompagnamento della delegazione palestinese sui temi dello sviluppo locale e dell'agroalimentare. E anche di questo parlo nella serata, nell'immaginare quanto la costruzione di relazioni sia fondamentale nel dare corpo ad una politica di internazionalizzazione rispettosa delle culture, delle vocazioni territoriali, della partecipazione.

E questa sarebbe la terza questione, lo sguardo incrociato fra la nostra agricoltura e quella della mezzaluna fertile del Mediterraneo, ma richiede una trattazione specifica che rimando ai prossimi giorni.

lunedì, 10 giugno 2013Sotto la pioggia...

L'esito del voto di Pergine Valsugana arriva con una telefonata di primo mattino: Oss Emer - candidato delle liste civiche - è il nuovo sindaco del terzo comune del Trentino. Marco Osler, il candidato della coalizione UpT, Patt, Socialisti e Stella, considerato come il candidato in continuità con l'amministrazione del dimissionario Corradi, subisce una pesante sconfitta.

Tutti parlano della "Lezione di Pergine", ma gli insegnamenti che ne traggono vanno in direzione opposta: chi dice che bisognava a tutti i costi mantenere unita la coalizione che governa la PAT, chi al contrario dice che il PD è l'ago della bilancia e che la vittoria di Oss Emer è un segnale della volontà di cambiamento che s'impone.

Provo a dire la mia. Il valore della coalizione provinciale è per me fuori discussione, ma di fronte all'ingloriosa fine della giunta Corradi, si rendeva necessaria una candidatura del centrosinistra autonomista di forte cambiamento. Invece ciascun partito a messo sul piatto le proprie bandiere e questo altro non ha prodotto se non una lacerazione ancora più profonda che si è manifestata nella campagna elettorale, nel primo turno come nel ballottaggio.

E qui si aprono una serie di questioni. In primo luogo è necessario guardare ai nodi programmatici con uno sguardo che non riproduca il vecchio schema politico ed ideologico. Un approccio diverso richiede uno sforzo di lettura condivisa dei processi di cambiamento con i quali abbiamo a che fare. In secondo luogo, occorre affermare la non autosufficienza di ciascuno, talvolta confusa con la pretesa vocazione maggioritaria di questo o quel partito. Infine, va detto senza reticenze che un corretto approccio coalizionale non significa "mettere via" le questioni  ma al contrario cercare un dialogo costruttivo verso gli alleati di giunta. Immaginare che l'UpT corrisponda al vecchio potere democristiano, fa il paio con chi considera il PD come ad un'emanazione del PCI.

Della necessità/opportunità di cambiare lo sguardo nella coalizione ne abbiamo una testimonianza nell'incontro di uno dei gruppi di lavoro che la coalizione ha attivato per la costruzione del programma elettorale del centrosinistra autonomista, quello su "ambiente e territorio". E prendo atto che un diverso approccio inizia a farsi largo, la cultura del limite come il concetto di sostenibilità investono il modello di sviluppo e la proposta di governo del territorio.

Arrivano i dati dei ballottaggi nei Comuni capoluogo e il quadro che già si era delineato quindici giorni fa si completa con il pieno di sindaci da parte del centrosinistra. Una rivincita, afferma Guglielmo Epifani. L'affermazione dei candidati del PD è un dato inequivocabile, ma attenzione all'euforia. Perché l'astensione crescente è un segnale che non possiamo sottovalutare e perché i nodi di fondo che investono i paradigmi di fondo della politica (non solo della sinistra) non sono stati non dico risolti ma nemmeno affrontati.  La mobilità del voto racconta di una solitudine sociale che probabilmente non ha precedenti. tanto da scambiare le primarie con la democrazia.

Il dibattito politico non registra alcunché di nuovo. E i talk show televisivi sono di una noia mortale. Nel sondaggio SWG sugli orientamenti degli italiani appare che vengono considerati "nemici" sono nell'ordine gli evasori fiscali, le mafie e i politici. Per capirci sono "più nemici" i politici delle banche, dei criminali, dei poteri forti, dei lobbisti e dei fannulloni. Chissà come i cittadini, in questa scala di inimicizia, vedrebbero loro stessi.

Mi chiama Fausto Raciti, il portavoce nazionale dei Giovani Democratici. Gli racconto del nostro incontro di venerdì scorso con Bonomi e Revelli, dell'apertura di un cantiere non in funzione delle elezioni dell'ottobre prossimo ma che guarda a tempi più distesi, ad un diverso assetto della politica, come abbiamo scritto, di natura "territoriale ed europea". Un'opzione congressuale (e trasversale) per la politica trentina ma, perché no?, anche per il congresso nazionale del PD. Proprio il cambio dei paradigmi della sinistra sarà al centro della Summer School che insieme stiamo progettando per la seconda metà di agosto in Trentino. Ci vedremo nel prossimo fine settimana per delineare con maggior precisione i contorni di questa iniziativa.

venerdì, 7 giugno 2013Insieme

Beh, direi che l'incontro di ieri sera "territoriali ed europei" con Aldo Bonomi e Marco Revelli è stato positivo. Accenti diversi, certamente, ma il comune bisogno di restituire alla politica la sua nobile funzione di raccontare i processi economici, sociali e culturali alla ricerca di nuovi paradigmi per comprendere ed interagire con il nostro tempo.

Ne nasce un "cantiere" fatto di idee, di percorsi formativi, di gruppi di studio e di proposta, che non elude il passaggio elettorale di ottobre ma che osa guardare oltre, verso quell'idea di partito territoriale (in rete europea e mediterranea, alpina e dolomitica, danubiana ed adriatica...) che potrebbe configurare finalmente un diverso schema di gioco. Il Trentino saprà essere ancora laboratorio politico originale?

 

giovedì, 6 giugno 2013Una rosa bianca

Due giorni così di Consiglio Provinciale mettono alla prova anche le persone più pacate e pazienti. Prima dover ascoltare gli sproloqui dell'opposizione sugli anarchici e sul Centro sociale Bruno per una mozione fuori dal tempo. Poi una discussione sulle pari opportunità segnata dall'ultraideologismo di una destra cattolica che non riesce nemmeno per un attimo ad uscire dalla propria parte, cui segue una non èproprio bella figura del consigliere Casna che, nella sua collocazione ondivaga di ex leghista approdato al Patt (ma che non fa parte della maggioranza), vorrebbe veder approvata una legge sui tempi di lavoro e di vita che invade il campo sindacale e alternado giudizi sulla PAT fra il disastroso e il lusinghiero. Che alla fine decide di ritirare. Infine la gazzarra leghista, prodotto di patologie che sono oltremodo preoccupanti quando investono le istituzioni, unite dell'avvicinarsi alle elezioni e all'effetto della diretta televisiva, per cui più grosse le spari, maggiore pensano possa essere l'effetto mediatico. Volano parole pesanti rivolte dal capogruppo della Lega alla consigliera Cogo, che ne provocano l'espulsione dall'aula. Ma non di meno accade fra un altro esponente della Lega (da otto che erano all'inizio della legislatura sono rimasti in tre) che inveisce contro la consigliera Dominici. Anche qui, parole da osteria. Nella speranza di ottenerne qualche voto.

Incontro la dottoressa Franca Dalvit per fare il punto sull'attuazione della LP. 16/2012 sul software libero e sul sistema informatico trentino. Se qualcuno pensa che fatta una legge tutto poi proceda in quella direzione, si sbaglia di grosso. Non è così, perché le leggi devono diventare cultura nell'apparato amministrativo e perché la politica non sempre è all'altezza di presidiare gli argomenti specie quando si tratta di materie complesse. Se poi chi ha provato ad opporsi in sede legislativa cerca di frenare le riforme cambiando le responsabilità nell'apparato, le cose vanno oltremodo a rilento. Nel colloquio ho la percezione che ad un anno e passa dall'approvazione della legge non ci sia solo il non rispetto dei tempi (che pure la legge indicava) ma che si fatichi ad arrivare entro la fine della legislatura con il Piano Generale di Sviluppo del Sinet (PGSS) che della legge rappresenta l'architrave. Non è sopportabile che si facciano importanti riforme e che poi si impantanino per effetto della conservazione burocratica. E questo vale anche per Informatica Trentina, società di sistema che allo spirito della legge si sarebbe dovuta uniformare ma che prosegue nella sua costosa agonia. Con Annalisa Tomasi decidiamo di rimettere intorno al tavolo il gruppo di lavoro che con me aveva elaborato la legge e di parlarne con il presidente Alberto Pacher.

Se ne è andata Novella, la mamma di Elio e di Fausto. Non l'ho più vista da chissà quanto tempo, dopo che le nostre storie hanno preso strade diverse e le stesse amicizie non sono state coltivate. Oppure compromesse da un mestiere, quello di vivere, che non s'impara mai abbastanza. Perché non si è amici comunque. Però verso Novella sento di avere un debito. Nei primi anni '70 la sua casa di San Martino era un porto di mare e la porta non era mai chiusa (anche perché non c'era). C'era invece un piccolo cancelletto di legno che dava direttamente sul giroscale e che ti introduceva nella cucina sempre in funzione per tutte le persone che richiedevano asilo, anche quando questo durava per qualche mese o qualche anno (sì, proprio qualche anno). Quella casa era una piccola spoon river e Novella ne era la custode, burbera e tenera ad un tempo. Per me, cresciuto in una famiglia piccolo borghese dove la forma era tutto, quel luogo e quelle persone (fra tutti lo zio Gianni, anima del consiglio di fabbrica della Michelin), rappresentavano un altro mondo, un altro modo di pensare le relazioni, la fatica e insieme la speranza di vivere in un tempo che, nonostante tutto, stava producendo cambiamenti radicali. Nell'angustia di quella casa povera ho imparato molte cose, ma una su tutte, la bellezza dell'altruismo. Grazie Novella.

Il Corriere del Trentino, quotidiano attento alle dinamiche culturali del territorio, mi chiama per un'intervista di bilancio dei primi sei mesi del Café de la Paix. Così ci vediamo con una giovane giornalista a parlare di questa scommessa, della fatica nel realizzarla, della maestria con cui è stato allestito, del clima culturale che vi si respira, del successo testimoniato dai 10.700 iscritti al Café. Ne esce un servizio molto bello che rende merito al lavoro di chi lo ha pensato come di chi ne cura la gestione. La città ha recuperato uno spazio unico e bello che fa presagire il prendere corpo di quel "quartiere latino" di cui vado parlando da qualche anno, anche se l'ottusità delle burocrazie anche qui non è certo di aiuto.

Infine la presentazione di un libro al quale ho dato un mio piccolissimo contributo. S'intitola Filìa ed è una raccolta di dipinti di Paola Grott e di pensieri sull'amicizia, quasi ad accompagnarne le opere. Impegnato in un Consiglio da cui pure vorrei fuggire, non riesco a partecipare al momento della presentazione. E mi spiace davvero, anche perché, questo libricino insieme elegante e profondo, è prezioso. Nella volgarità del tempo, testimonia il bisogno e la ricerca di bellezza.

lunedì, 3 giugno 2013Prijedor (BiH), 1992

Fine settimana dedicato al Festival dell'Economia. E' bello vedere la città di Trento così viva, attenta e colorata. Il Festival è diventato parte della città, gli vogliamo bene. Ed è per questo che - come ho già avuto modo di dire in questi giorni - il successo di partecipazione non dovrebbe esimerci dall'interrogarci sulla formula fin qui usata nella scelta degli interlocutori e su quel che chiediamo agli autorevoli ospiti del Festival. Se vogliamo che il Festival nelle sue edizioni - come dice Tito Boeri - lasci il segno, è necessario che da Trento escano non solo opinioni ma vere e proprie tesi che ci possano aiutare a stare al mondo, che ci indichino strade da percorrere nelle scelte della sfera pubblica come in quelle private, che possano dare una mano alle comunità locali e ai territori nel vivere il proprio tempo sfuggendo alle mode o all'omologazione, come ho ripetuto in questi giorni per "essere presenti al tempo presente". Avrei qualche idea...

Mi spingo a dire che ne ho piene le tasche dei guru che arrivano a Trento, che non dicono nulla di nuovo o che per far parlare di sé cercano la frase ad effetto. Prendo atto di non essere solo a pensarla così. Spero che se ne possa discutere senza pregiudizio per le prossime edizioni. Credo che il Trentino ne potrebbe beneficiare nella capacità del suo Festival di immaginare scenari, forse farebbe risparmiare un po' di denaro e magari anche qualche brutta figura.

Arriva la sentenza di appello sulla tragedia di Casale Monferrato, ancora più severa di quella di primo grado contro i proprietari svizzeri della multinazionale Eternit responsabile della morte di migliaia di lavoratori e cittadini. Una sentenza che rischia però di essere solo simbolica perché costoro non andranno né in galera, né probabilmente risarciranno nulla perché i loro forzieri sono al sicuro in qualche paradiso fiscale. E, ciò nonostante, si tratta di una sentenza storica. Eppure c'è qualche commentatore, come ad esempio quel losco figuro di Edward Luttwak, che ha il coraggio di affermare che "... a colpi di sentenze si criminalizzano attività economiche e incidenti che altrove sono soggetti alla giustizia civile. Pensi al caso Thyssen Krupp o alla vicenda Eternit". Andrebbe considerato persona indesiderata in questo paese. La sentenza è importante anche per rafforzare l'attenzione nei confronti di questa pesantissima eredità e, per quel che mi riguarda, nell'intraprendere nei prossimi mesi una vera e propeia campagna per "un Trentino free amianto".

Mi vedo con Maurizio Camin, da qualche mese coordinatore dell'"Associazione Trenino con i Balcani", per parlare delle attività in corso e del programma di iniziative previste a Trento a fine giugno a conclusione del programma Seenet 2 sullo sviluppo locale nei Balcani. Per introdurre la nostra conversazione parlo però di quel che è avvenuto a Prijedor lo scorso 31 maggio quando si è svolta nella cittadina bosniaca una manifestazione che aveva per titolo "Jer se mene tiče", "Perché mi riguarda". Nella primavera del 1992, dopo mezzo secolo dalla fine della seconda guerra mondiale, ricomparve in  quella città lo spettro dei campi di concentramento. I cittadini non serbi obbligati a segnare le proprie case con uno straccio bianco e a portare al braccio una fascia dello stesso colore. In quei campi vennero rinchiusi 31.000 civili, 3.173 uccisi e 53.000 persone furono vittime di persecuzione e deportazione.

"Ventuno anni dopo, alle vittime di Prijedor non è ancora riconosciuto il diritto alla memoria. I loro diritti riguardano tutti noi", è la scritta che campeggia nel video-messaggio di Miroslav Živanović, come di molti altri giovani che hanno aderito all'iniziativa "Jer se mene tiče". Su questa tragedia abbiamo lavorato per anni a Prijedor, in una delle rare esperienze di elaborazione del conflitto che quel paese abbia conosciuto. Un lavoro difficile, doloroso, duro... che oggi nei fatti è stato lasciato cadere per effetto del prevalere di un'idea di cooperazione incentrata sulla "banalità del bene".

Ho speso un pezzo della mia vita per cercare strade diverse dalla logica degli aiuti e devo ringraziare tutti gli amici e le amiche di Prijedor con i quali abbiamo lavorato per far nascere un'altra idea di cooperazione internazionale, mettendosi in gioco e mettendo in gioco il proprio stesso dolore. Ora non posso nascondere la rabbia per non aver saputo continuare quello straordinario lavoro che aveva al centro l'impegno per elaborare quel che era accaduto in quel paese e in quella città. Maurizio condivide questo mio rammarico e così proviamo insieme a capire come ritessere quel filo rosso andato spezzandosi.

A sera faccio un salto all'assemblea del PD del Trentino a Piedicastello. Come consigliere provinciale sono solo invitato senza diritto di voto e anche per questo ho cercato di interpretare questa opportunità senza alcuna invasività, partecipandovi solo nei momenti più significativi e astenendomi dall'intervenire. La sala è piena, come nelle grandi occasioni. Questa sera Alessandro Olivi viene indicato unanimemente dall'assemblea come candidato del PD del Trentino alla presidenza della PAT e, con un breve intervento, illustra la sua idea di Trentino e la volontà di rappresentare in maniera unitaria tutte le sensibilità che si sono espresse in questi mesi nel partito. Non inganni il voto unitario, le posizioni distanti rimangono tali. Ma il voto unitario è importante e il 30 giugno Alessandro sarà l'unico candidato del PD del Trentino alle primarie della coalizione. Rivendica continuità con il governo di questi anni ma anche la necessità di cambiare l'approccio verso un contesto profondamente cambiato. E su questo ci sarà molto da lavorare.