"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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venerdì, 8 luglio 2016il restoran Kibe a Sarajevo

Il mio sessantaduesimo compleanno è stato un bel giorno. Per l'amicizia che ho avvertito nei tanti messaggi ricevuti, per le persone care che ho sentito vicino, per la serata alle Camalghe, ma soprattutto per la presentazione che abbiamo fatto di un libro che mi ero ripromesso di organizzare, senza riuscirci, quando Luca era ancora con noi.

Parlo de “I buoni” di Luca Rastello. Cerco nel mio archivio la cartella con gli appunti della presentazione che facemmo insieme a Roma il 18 giugno del 2014 nella libreria Arion Monti di via Cavour. Scarabocchi che, riletti due anni dopo, mi sembrano banali. E allora mi metto a rileggerlo d'un fiato e mi accorgo che la forza narrativa mi prende ancora di più di quando lo lessi per la prima volta, come se gli occhi fossero un po' cambiati, come se il testo producesse esiti diversi a seconda del proprio stato d'animo. Mi accade per i libri che amo...

Come aveva ragione Luca nell'arrabbiarsi per l'accostamento di don Silvano con don Ciotti. Certo, di lui parla e della sua holding del bene. Ma il suo messaggio riguardava ciascuno di noi, le nostre associazioni, i nostri rituali e le dinamiche di potere, piccole o grandi non fa differenza, l'accondiscendenza verso le meschinità e la cattiveria, il cinismo con cui facciamo finta di nulla in nome del bene.

Da anni parlo nei momenti formativi sull'elaborazione del conflitto non solo di “banalità del male” ma anche di “banalità del bene”. Che ho imparato a riconoscere come un veleno non meno potente e che tutto giustifica nel nome di finalità superiori. Che temiamo, che ci mette a nudo, che ci fa girare lo sguardo o fare spallucce di fronte alle miserie intorno a noi.

Quante volte con Luca, nelle conferenze come nei dialoghi privati, nei nostri lunghi viaggi balcanici in auto o davanti ad un piatto al Rostoran Kibe di Sarajevo, abbiamo parlato di questo. Ironizzando sulle figure degli “internazionali”, ignoranti come capre ma che facevano sfoggio del loro biglietto da visita con scritto “projekt manager” e della loro land rover, sul cinismo e sui rituali dell'industria dell'emergenza, sulla perdita di visione di ong diventate – pur di sopravvivere – progettifici.

Il romanzo “I buoni” nasce ovviamente nel vissuto di Luca ma, nella sua lunghissima gestazione, il libro prende corpo qui, nelle conversazioni di una piccola comunità di persone che non sopportava il mondo artificiale degli aiuti e nell'amara ironia che ci faceva sentire vivi dove invece tutto era già scritto, anche noi “embedded”, un popolo della pace messo in conto dai signori della guerra.

Ed ora nel rileggere le pagine che Luca ci ha lasciato, l'ipocrisia degli intoccabili in odore di santità, il sacro fuoco del bene o la frusta dell'oltre – espressioni usate per giustificare la separazione fra fini e mezzi e nascondere un mondo che stritola – avverto oltremodo quanto sia importante questo libro.

Che presentiamo del tutto casualmente nel giorno del mio compleanno, ad un anno da quando la bestiaccia che Luca aveva cercato di addomesticare per anni ha preso il sopravvento. Come ha detto Andrea nella sua testimonianza di partecipe a questa piccola comunità di persone che non si sono rassegnate al cinismo e alla cattiveria, è bello che ciò avvenga nella presentazione di un libro piuttosto che nella celebrazione di un triste anniversario. Così che lo sguardo esigente di Luca continui ad aiutarci ad abitare il nostro tempo.

Grazie Luca. E grazie davvero per i vostri auguri e per questa bella giornata.

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