"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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venerdì, 30 luglio 2010Hotel Kozara

"Mirijana" ti lascia senza parole. Provo a scriverne ma la penna stenta a trovarle, le parole. Per quante volte possa aver posto - nell'elaborazione del conflitto - la necessità di calarsi nei panni dell'altro, alla fine questo "altro" lo costruiamo a nostra immagine e somiglianza. Così il perdono, troppe volte banalizzato nel perdonabile, che portava Vladimir Jankelevitch ad affermare che "il perdono, se ce n'è, comincia quando inizia l'imperdonabile". Nell'altro non è sempre facile calarsi, nemmeno desideri di farlo quando l'altro è quello che ti stupra davanti ai tuoi figli, che ti ferisce nell'animo o nella carne fino a farti desiderare di morire, che ammazza le persone a te care facendosene scherno.

Ho per la testa questi pensieri, oltre a qualcosa di fisico nello stomaco, quando finisce "Mirijana". Penso a quanta fatica e dolore vero abbia provato Michela Embrìaco nel prendere i panni di questa donna, non l'eroina nel rogo, ma una delle tante donne che la guerra se la porta dentro per sempre. Penso alle persone che ho conosciuto e che mi hanno detto di essere passate dai campi di concentramento e alle ferite insanabili che sentono sulla loro pelle. Penso ai luoghi dove venivano seviziate, a quell'hotel sul monte Kozara dove le "tigri" portavano le loro giovani vittime poi destinate a sparire in qualche fossa comune.

Non siamo in un teatro e il palcoscenico è una stanza di una casa di Madrano, analoga alle stanze disadorne che mi hanno tante volte ospitato nel mio dopoguerra bosniaco. Quel colore rosso un po' stinto dal tempo, quei muri privi di intonaco, quelle scritte come segno animalesco del territorio, hanno l'effetto voluto di farti entrare in quella storia. Una storia non raccontabile da chi l'ha subita, ma fin troppo conosciuta e perfino esibita da chi l'ha voluta, tanto da avere il coraggio di filmarla o di rivendicarla nel cameratismo maschile. O da chi, per caso, s'è trovato nel branco e non ha avuto il coraggio di tirarsene fuori, fino a ritrovarsi in quel cerchio magico nel quale alla fine impari a stare, dove cadono le inibizioni e vien fuori il peggio che hai dentro di te, in un delirio di onnipotenza che ti riempie di adrenalina e ti dà potere di vita o di morte. Dove pure puoi autoassolverti, perché hai fatto il tuo dovere, hai difeso la tua civiltà, magari vendicato l'amico morto sgozzato.

Dall'altra parte il dolore, la sensazione di vuoto, l'odore che non sai toglierti di dosso, il paradosso di sentirti colpevole per quel figlio che odi ma che è anche tuo, del quale ti vorresti liberare ma non ne sei capace. Fra quelle mura, il teatro e la realtà si confondono.

Mi viene in mente Silvia. Quando in un lavoro di simulazione del conflitto, avendo avuto a che fare più di altri con i criminali e la loro narrazione, mi toccò di prendere i panni di uno di loro, dire le sue parole. La cosa mi riuscì così vera da fargli venire il voltastomaco.

Quei personaggi non rappresentano mostri. Sono persone normali, invece. Ed è per questo che quel senso di oppressione che si avverte finito lo spettacolo fa bene. Perché educare alla pace è saper fare i conti con la felicità della guerra. Che non è altro da noi.

Mettersi in gioco su questo terreno non è facile. Per questo il lavoro di Marzia Todero, Mirko Artuso, Michela Embrìaco, Dennis Montanari, Enrico Merlin e Pierluigi Faggion è particolarmente prezioso.

 

giovedì, 29 luglio 2010immagine

Partenza di buon mattino per Milano, dove alle 11.00 è previsto il momento costitutivo di una nuova associazione nazionale per la cultura e la pace in Medio Oriente. Si chiamerà "Mezzaluna fertile del Mediterraneo". L'idea nasce attorno all'appello che venne lanciato nel gennaio 2009 mentre l'esercito israeliano assediava la striscia di Gaza e che vedeva come primi firmatari Moni Ovadia e Ali Rashid. Quell'appello aveva in sé qualcosa di diverso, diceva in buona sostanza che alle nuove guerre che si accaniscono contro i luoghi e i simboli della cultura e del dialogo la risposta è proprio la cultura e il dialogo. Insomma, all'imbarbarimento si deve rispondere con il racconto delle storie che si sono intrecciate in quel pezzo di mare e di terra che un tempo veniva chiamato "fertile crescent", mezzaluna fertile. Il racconto della fertilità, che vorremmo contrapporre alle pietre, alla terra privata dell'acqua, ai fiumi prosciugati, ai villaggi distrutti e alle macerie ricoperte di pini che non centrano nulla.

A quell'appello avevano risposto in migliaia. Ci siamo chiesti come avremmo potuto dare continuità e senso a quelle parole. Così, qualche mese fa, alla Cascina Cuccagna sempre a Milano, si sono incontrati una ventina di amici, per capire se quelle parole potevano tradursi in un progetto associativo.

Ed ora eccoci qui, con Ali Rashid e Moni Ovadia, per dar vita a "Mezzaluna fertile del Mediterraneo". Non vedevo Ali dalla sventura dell'infarto, per fortuna preso in tempo senza lasciare tracce apparenti se non che la sua figura si è fatta più esile e ai miei occhi più indifesa. L'abbraccio fra noi è quello di fratelli che si rivedono dopo uno scampato pericolo. Anche Moni ha l'aria stanca, dall'ultima volta che ci siamo visti qui a Milano si è lasciato dietro venti chili. Nello studio dell'amico Rino Messina, alla faccia delle difficoltà della vita e di una realtà fatta di rappresentazioni mediatiche piuttosto che di pensiero, decidiamo di fondare qualcosa di nuovo.

Non un'associazione pro-palestinese o pro-israeliana, ma un'associazione che ha a cuore l'incontro e il dialogo delle genti che di quella fertilità sono il prodotto lungo la storia. E che guarda a quella storia come alla nostra storia, a quel Mediterraneo che ne è stato la culla, a quel mare che dell'attraversamento delle culture e dei saperi è stato testimone.

Approfitto dell'incontro con Ali per farlo partecipe del programma annuale del Forum sulla "cittadinanza euromediterranea". Lui sarà in Palestina nelle prossime settimane e gli chiedo di farsi portavoce degli inviti che abbiamo previsto, primo fra tutti quello di Wajeeh Nuseibeh, Custode del Santo Sepolcro e simbolo del concetto di terzietà considerato che la sua famiglia, palestinese e musulmana, è da trecento anni la tutrice del luogo più importante al mondo della cristianità. Anche questo è il Mediterraneo. Con Ali e Moni parliamo del comune amico Gabriel Mandel, che un mese fa ha lasciato questo mondo. Un uomo dalla cultura sterminata, studioso ed interprete del sufismo in Italia e lungo i suoi straordinari intrecci di vita e di passaggio. Gli dedicheremo una serata di ricordo a Sanzeno, dove ci siamo conosciuti lo scorso anno e dove insieme parlammo dell'Editto di Blagaj, una delle più antiche carte di tolleranza religiosa nel tempo in cui si cacciavano i musulmani e gli ebrei sefarditi dalla Spagna.

Con Moni parliamo anche di Osip Emilyevich Mandelstam, un ebreo polacco cresciuto a San Pietroburgo, poeta e viaggiatore che nel 1930 attraversa il Caucaso dall'Abkhazia all'Armenia. Percorre la regione nella quale gli Argonauti, aiutati da Medea, si erano impadroniti del vello d'oro. Arriva alle pendici dell'Ararat, culla della civiltà secondo una leggenda persiana, monte che custodisce il segreto dell'Arca secondo gli esegeti delle Sacre Scritture. Finirà la sua vita nel gulag staliniano. Osservatorio Balcani e Caucaso ha proposto la realizzazione di un film dedicato a quel viaggio di Mandelstam alla ricerca delle radici profonde dell'identità europea ed il protagonista di questo moderno viaggiatore sulle tracce della storia si è proposto sia proprio Moni Ovadia. Un film non è uno scherzo, dobbiamo mettere insieme tutti i tasselli, non solo l'idea. Quella c'è, ci ha lavorato in questi mesi Andrea Rossini andando a vedere luoghi e situazioni di un mondo oggi più lacerato che mai, ed è di grande fascino.

Leggiamo insieme lo Statuto di "Mezzaluna fertile del Mediterraneo", lo approviamo, firmiamo e così inizia una nuova avventura. Chissà dove ci porterà.

Prima di metterci sulla strada del ritorno andiamo a prendere qualcosa insieme sotto lo studio di Rino. Il centro di Milano, nei pressi della stazione, dà ancora quell'immagine di sé forgiata negli anni '80. Giovani vestiti da manager, signore e signori abbronzati, un mondo finto dove tutti sembrano al top. In realtà questa città mi appare vuota. Com'è lontana la Milano del "Ti te sé no" o della "Banda dell'ortica" di cui ci ha raccontato Enzo Jannacci, dei Gufi, di Dario Fo, della Vanoni. Del "Piccolo Teatro" e di Strehler. Della classe operaia e dei Consigli di fabbrica. La capitale economica dell'Italia non butta granché, non ha più alcuna spinta propulsiva.

La giornata finirà a Madrano, vicino a Pergine Valsugana, con la storia di Mirijana. Della quale vi parlerò domani.

mercoledì, 28 luglio 2010chaplin

Vi racconto di un incontro di martedì scorso, non volevo metterlo insieme ad altre cose. Perché ho avuto la sensazione di entrare in un dialogo vero con le cinquanta persone che avevo davanti a me, venute  in visita da Mori alle istituzioni provinciali. Andare insieme da qualche parte, magari a visitare realtà sconosciute del nostro Trentino, è sempre un'opportunità che vale la pena di accogliere anche quando ad invitarti è il Consiglio Provinciale. Realtà istituzionale con una sua autorevolezza, certo, ma spesso considerata piuttosto lontana e fors'anche noiosa, specie in quella frangente che consiste nell'incontro con un consigliere provinciale che a turno viene  invitato per un saluto formale.

L'incontro avviene nell'emiciclo del Consiglio Regionale, luogo che può incutere una certa soggezione ma mi accorgo subito che così non è affatto. Quando entro nell'aula Mauro Larentis, il funzionario del Consiglio addetto a questo servizio, sta spiegando ai presenti le vicende dell'autonomia regionale. Sono le 13.15, forse qualcuno di loro sta già pensando all'appuntamento successivo, in qualche bella località prevista dal programma, considerato che l'incontro con il consigliere dovrebbe durare solo una decina di minuti, mezz'ora al massimo.

Così non sarà. L'incontro si protrae fino alle 14.30, spaziando sui vari temi. Parliamo dell'autonomia, di come questa prerogativa sia sempre più attuale in un contesto segnato dalla globalizzazione. Provo a spiegarlo con l'esempio della privatizzazione dell'acqua decisa dal governo Berlusconi e di come le nostre competenze di autogoverno possano aiutarci ad impedire che nella nostra regione queste scelte sciagurate possano trovare applicazione. Un uso intelligente dell'autonomia non come chiusura, ma come capacità di stare nei processi globali senza subirli, attenuando lo spaesamento che la perdita di identità sociale produce, affrontando le sfide del presente con l'assunzione di responsabilità piuttosto che nella logica dello spostare altrove i problemi, facendosene carico piuttosto che scaricarli su qualcun altro.

La cosa che più mi colpisce è che pur affrontando problemi anche molto spinosi, penso alla tematica dei rifiuti e dell'inceneritore, dire le cose come stanno senza rincorrere il facile consenso ma anzi sostenendo cose impopolari, risulti efficace. Le persone presenti mi seguono, le domande che ne vengono sono tutt'altro che banali e la discussione proficua. Devo dire che questa opzione a favore del rigore sulle cose, ammettendo ritardi ed approcci sbagliati ma anche evitando di rincorrere la facile demagogia sembra essere molto apprezzata.

Spazio sui temi della pace e dell'interdipendenza, sulle visioni generali e sulla necessità che la politica riacquisti quella capacità di prospettiva andata perdendosi in un pragmatismo senza idee e in una riduzione della politica ad interesse privato. La cosa interessante è che il tempo trascorre velocissimo e l'attenzione non cala. Tanto che dopo un'ora e un quarto siamo ancora lì, a rispondere di domande tutt'altro che banali ce investono la politica, la classe dirigente. Avverto che le persone starebbero a conversare con me, tanto che alla fine in diversi mi chiedono se sono disponibile ad andare a Mori a proseguire la nostra conversazione. Oppure l'indirizzo del mio blog e del mio indirizzo di posta elettronica.

C'è una signora che mi viene vicino e mi dice che è stata consigliera comunale della DC e che vuole complimentarsi con me. Una coppia di anziani si palesa come del PD del Trentino, orgogliosi di quel che ho proposto alla loro attenzione. Altri ancora mi chiedono come si fa ad iscrivere la propria associazione al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. Qualcuno mi dice che è la prima volta che ascolta un "politico" con interesse. Ho la sensazione che la crisi della politica stia tutta qui, nella capacità di narrazione della realtà che si è andata smarrendo. Nella pigrizia del non rinnovare consuetudini, conservatorismi, idee diventate obsolete.

Forse, se uscissimo dai rituali e da una politica solo gridata, in fondo non ci vorrebbe poi tanto a riconciliare la gente con le istituzioni e i partiti. Purché si abbia qualcosa da dire.
martedì, 27 luglio 2010pascolo

Con la riunione della Terza Commissione di ieri si è conclusa l'attività istituzionale prima della pausa di agosto. Ma questo non significa che si fermi il nostro lavoro. Ovviamente un rallentamento ci sarà, ma non in questi ultimi giorni di luglio e anche nella prima settimana di agosto l'agenda è pressoché piena.

Alle 8.30 incontriamo Angelo Pecile, responsabile dell'Unità risorse foraggere e produzioni animali dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige. L'oggetto della riunione sono i coefficienti UBA, ovvero il rapporto fra gli animali allevati nelle stalle e il territorio a disposizione. La questione è meno tecnica di quel che si pensa, perché tale rapporto ha a che vedere con il modello di sviluppo in alcune aree del Trentino, con la qualità della zootecnia e delle produzioni zootecniche della nostra provincia. Settore in grave difficoltà tanto per le dinamiche del mercato mondiale, quanto per le vicende che sono emerse in questi mesi attorno al Caseificio di Fiavé. E che ci deve far riflettere sulle scelte sbagliate del passato, quando si è puntato più sulla quantità (allevamenti intensivi) che sulla qualità dei prodotti, che oggi si rivela l'unica possibilità di avere qualche chance sul mercato, locale e globale.

Dopo una serie di sopraluoghi nelle Giudicarie esteriori, uno dei temi emersi con forza è proprio quello del rispetto dei limiti da parte degli allevatori fra numero di capi e il territorio disponibile, perché le stalle sono grandi e il territorio è limitato e diviso in mille appezzamenti, spesso lontani dalle stalle. Questa cosa dovrebbe riguardare la possibilità di pascolo degli animali, ma in realtà più che il pascolo (che in Trentino c'è solo per le piccole e medie aziende) la questione investe la deiezione degli animali e la dispersione dei reflui. Cosa che ha generato molti problemi, primo fra tutti quello degli odori.

Ci hanno segnalato che per stare nei limiti previsti per usufruire dei contributi pubblici, alcune aziende avrebbero messo in conto anche territori al di fuori dei confini provinciali e vogliamo capirne di più. In altre parole se esiste la possibilità di regolare questa cosa, che come è facile immaginare porterebbe ad una evidente alterazione dell'equilibrio, visto che nessuno pensa di trasportare i reflui da una regione all'altra, con la conseguenza di caricare un territorio peraltro limitato con quantità insopportabili di stallatico. Lo stesso potremmo dire anche per l'alpeggio, la cui esistenza permette alle aziende di avere coefficienti UBA più larghi, ma che non sempre avviene e comunque per un periodo limitato di tempo.

La conversazione con il dott. Pecile è molto interessante, conosce la situazione e la problematicità. Emerge come il passaggio da un modello fondato sulla quantità ad un altro che invece punta sulla qualità, indirizzo più volte affermato dalla Giunta provinciale e ribadito nel Piano di Sviluppo Rurale della Provincia Autonoma di Trento (PSR) 2007 - 2013, sia tutt'altro che scontato ed indolore, considerato che si ha a che fare con aziende e persone che hanno investito in una direzione e che ora si trovano a dover prendere atto che quel modello va radicalmente messo in discussione. Questo processo di accompagnamento la PAT lo sta facendo, ma come in ogni passaggio fra il vecchio e il nuovo, s'incontrano resistenze, talvolta connivenze, qualcuno prosegue con i grandi insediamenti che nel Bleggio sono stati realizzati anche nella fase più recente.

La cosa non è davvero di poco conto. Noi non possiamo fare le leggi sulla filiera corta e poi dover prendere atto che tale filiera è di scarsa qualità. E' questa un'area tematica che ho assunto in prima persona nell'attività consiliare, con il disegno di legge poi approvato (e ancora in attesa del visto europeo) sulle filiere di prossimità e l'educazione al consumo, con quello sui "fondi rurali" (il cui iter è in corso), con la legge sull'economia solidale (da parte del gruppo del PD del Trentino e dell'UPT). Ora l'intenzione è quella di mettere un po' d'ordine su questa tematica e quindi, dopo l'incontro di stamane, decidiamo con Michele Ghezzer (che nel gruppo consiliare sta seguendo con me questo insieme di temi legati all'agroalimentare) di approfondire e seguire ulteriormente la materia, vedremo se con un ordine del giorno nella prossima finanziaria o con un disegno di legge vero e proprio.

Il tema della qualità non riguarda solo il comparto zootecnico. E' la chiave per stare nei processi globali, tant'è vero che un analogo ragionamento lo potremmo fare per l'agricoltura e per il settore vitivinicolo in particolare. Le vicende di queste ore che investono il presidente della Cantina sociale Mezzacorona Rizzoli e la sua cantina privata in Sicilia, la crisi della Cantina sociale di Nomi, la situazione di grave difficoltà in cui si trova la Cantina LaVis, sono solo le punte di un iceberg che deve farci riflettere sul gigantismo, su una cooperazione che - pagando più del dovuto - ha talvolta indotto i produttori alla mediocrità, sul fatto che la differenza oggi la fanno lo studio, l'innovazione, l'ingegno, la dedizione, la capacità di mettersi in relazione, di costruire un legame virtuoso fra i luoghi e i flussi.

Poco dopo le 13.00 sono nell'aula del Consiglio Regionale. Rimarrà vuota fino a settembre ma oggi, ad aspettarmi con Mauro Larentis c'è un folto gruppo di anziani di Mori. Sarà un incontro molto intenso, ve ne parlerò nel diario di domani. Poi vedo Mauro Cereghini, compagno di scrittura, di impegno balcanico e amico. Parliamo del prossimo viaggio in Kosovo e di cooperazione. Di seguito incontro l'assessora Lia Giovanazzi Beltrami, voglio presentarle in anteprima il percorso di "Cittadinanza Euromediterranea" e provare a connettere le iniziative della PAT e quelle del Forum che possono rientrare in questo orizzonte. Per evitare sovrapposizioni ma anche di procedere con attività estemporanee come l'organizzazione di eventi che con lo slogan di Aldo Capitini "Se vuoi la pace, prepara la pace" non hanno proprio niente a che fare. Mi riferisco, tanto per essere chiari, alle iniziative che la Provincia ha promosso in questi mesi invitando in Trentino "grandi testimoni" di un tempo che non esiste più e di pensieri che la storia ha giustamente messo in soffitta. "El pueblo non sta unido" e quanto al "jamas sera vencido" ci sarebbe molto da discutere.

 

lunedì, 26 luglio 2010lavori in corso

Finisco di scrivere un commento per il sito di Osservatorio Balcani Caucaso sul parere della Corte di Giustizia de L'Aja a proposito della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. Come sapete seguo da anni le vicende balcaniche e di fronte alla matassa sempre più ingarbugliata del Kosovo trovo che la politica sia proprio incapace di uscire dagli schemi angusti degli stati nazionali. Qualche anno fa, lanciammo come OBC la proposta di fare del Kosovo la prima regione europea, uno status del tutto innovativo a fronte di un impegno di pacificazione della regione nella prospettiva ravvicinata di inclusione dei Balcani occidentali nell'Unione Europea. Una proposta che implicava un salto culturale che purtroppo non c'è stato allora e che ancora non c'è, nella regione come nelle cancellerie europee. La cui necessità rimane intatta se non accresciuta dal blocco di interessi contrapposti che si manifestano nella regione.

Ci andrò in Kosovo questo prossimo fine settimana, per i dieci anni di cooperazione trentina con la regione di Pec/Peja. Nella delegazione ci sarà anche il vicepresidente della PAT Alberto Pacher, per la prima volta in Kosovo. Dopo la riunione della terza commissione legislativa provinciale, provo a raccontargli in pochi minuti questi dieci anni di relazioni. Praticamente impossibile e così ci viene in aiuto il libro, edito dalla casa editrice "Il Margine", che racconta questa storia. Si tratta di "Kosovo, tutto oK", della giovane scrittrice trentina Astrid Mazzola, che bene testimonia di un grande ponte costruito in questo tempo. Ne parlerò, come ho fatto altre volte, nel diario di viaggio che non mancherà di allietarvi.

Chiedo anche al vicepresidente Pacher se in questa Giunta si sia mai parlato della vicenda del collegamento sciistico fra il Trentino e il Veneto sulle montagne attorno all'altipiano di Folgaria. La risposta è quella che immaginavo e che avevo ipotizzato nel corso dell'audizione del Comitato che si oppone al collegamento da parte della Terza Commissione: no, non se ne è mai parlato. Se ne era parlato nell'ultima riunione di Giunta nella passata legislatura, il 18 ottobre 2008, con l'esecutivo con le valigie in mano. Pratica non nuova, se penso a quel che accadde nella prima riunione di Giunta di questa legislatura, quando venne fatta passare la scelta degli impianti sul Colbricon. Scelta che poi, grazie ad una mirabile azione di convergenza fra soggetti diversi, riuscimmo a bloccare.

Il fatto che le ruspe siano al lavoro nonostante l'unanime pronunciamento contrario del Consiglio provinciale pone un problema che va oltre la scelta sbagliata sul piano ambientale ed economico che questi impianti implicano, che tira in ballo il funzionamento della democrazia a fronte di potenti lobby che provano ad aggirare la volontà espressa dalla massima rappresentanza istituzionale dell'autonomia. La vicenda s'intorpidisce ulteriormente esaminando l'intreccio societario che sta dietro ed attorno alla società "Carosello Ski" che gestisce tutta l'operazione. Poteri forti, i soliti noti a cominciare da Dalle Nogare per arrivare a Marangoni.

Finita la riunione ne parlo con Pacher (che dell'ambiente ha la competenza in Provincia) che mi dice di condividere le mie perplessità e, di seguito, con il capogruppo del PD in Consiglio provinciale Luca Zeni, la cui posizione è di esplicita contrarietà al collegamento. E allora si tratta di riprendere in mano la questione, prima che sia troppo tardi e prima che la PAT s'impegni finanziariamente in un'impresa che già naviga in un mare di debiti.

Intanto come Commissione decidiamo di realizzare un sopraluogo sull'area interessata. E poi vedremo se qualche margine per fermare questa operazione ci sarà.

Mi sposto al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani dove mi attende una riunione con il gruppo di lavoro operativo con il quale stiamo portando a conclusione il programma di "Cittadinanza Euromediterranea", iniziativa della quale avremo modo di parlare diffusamente. Anticipo solo che gli itinerari che metteremo in campo attorno ai temi della storia, dei pensieri, dei saperi e delle geografie fra il continente ed il suo mare sono davvero di grande suggestione.
venerdì, 23 luglio 2010venezia immagine

Il giovedì trascorre nell'aula del Consiglio. Si conclude il voto sulla riforma del commercio, finisce pure la discussione su una leggina che riguarda la scuola, per mettere mano ai concorsi nelle scuole professionali e in quelle dell'infanzia. Non pensate che mentre scorrono i lavori consiliari non si faccia altro. E' un continuo andirivieni di persone, incontri, riunioni. Poi si lavora ad altro, in una normale divisione del lavoro e anche delle competenze. Anche la pausa pranzo diviene un occasione per un aggiornamento delle cose da fare, in questo caso con Francesca, Luisa, Martina del Forum.

Arrivano le prime notizie rispetto al parere della Corte di Giustizia de L'Aja sul ricorso presentato dalla Serbia attorno alla legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Chiamo in Osservatorio per sentire i primi commenti. Sento Barbara Gruden, giornalista di Radio Rai, parliamo della sentenza e la invito a venire a Pec/Peja ai primi di agosto, in occasione delle manifestazioni per il decennale delle relazioni fra il Trentino e quella municipalità. Parlo con Luka Zanoni, caporedattore di OBC (http://www.balcanicaucaso.org/) e ci accordiamo per un commento per il sito.

Nelle stesse ore il governo italiano decide di attivare i suoi "poteri sostitutivi" in ordine al tema della toponomastica lungo i sentieri di montagna dell'Alto Adige - Sud Tirolo. E' la prima volta che accade e questi "apprendisti stregoni" sono degli irresponsabili, che giocano col fuoco. E questo a prescindere dalla sensibilità "di pietra" dell'Alpenverein, l'organizzazione degli alpinisti di lingua tedesca del Sud Tirolo che ha in gestione la sentieristica locale, nella discutibile scelta di indicare sui cartelli la sola toponomastica di lingua tedesca. Tema delicatissimo e complesso, che andrebbe affrontato in punta di fioretto e sul quale invece s'interviene con la mannaia. Quando non s'impara nulla dalla storia...

Venerdì riprendiamo la maratona consiliare con un nuovo Disegno di Legge, questa volta sul tema dell'educazione e la prevenzione al consumo e all'abuso di sostanze alcoliche. Tema che sprigiona banalità e isterismi. E una legge che servirà a ben poco. Finiamo intorno alle 14.00. Salgo in auto e con Armando Stefani, amico e presidente della Circoscrizione dell'Argentario, partiamo in direzione di Mogliano Veneto dove si svolge "Verso Nord", incontro promosso da un gruppo trasversale di intellettuali, amministratori ed esponenti politici allo scopo di movimentare lo scenario politico italiano ingessato dal bipolarismo.

Avevo ricevuto nei giorni precedenti l'invito a partecipare a questa iniziativa da parte di uno dei promotori, Diego Bottacin, consigliere regionale del PD che ho conosciuto quando era sindaco di Mogliano. Con Armando non siamo i soli trentini presenti. C'è anche Lorenzo Dellai, ovviamente attento a quel che si muove in Italia nella direzione di costruire reti di esperienze territoriali, anche alla luce del parto infelice dell'Alleanza per l'Italia. Il caso trentino è del resto evocato come punto di riferimento tanto nell'introduzione di Alessio Vianello, già assessore veneziano della giunta Cacciari, come in altri interventi che offrono a Dellai l'assist per un messaggio che non è semplicemente di saluto, ma di interesse affinché dai territori nascano esperienze capaci di mettersi in rete fra loro e costituire un fattore nuovo nel panorama politico italiano, quella "nuova offerta politica" che oggi non c'è.

L'elegante tenda di Villa Braida è affollata di gente. Ma non è affatto un salotto, i volti che osservo danno l'idea di un Veneto che ne ha piene le tasche dell'angusta rappresentazione politica che esprime. Devo dire però che dagli interventi che si susseguono fatica ad emergere un profilo politico culturale diverso. Mi fa piacere che Mario Bertolissi citi Silvio Trentin, ispiratore fin dagli anni '80 della nostra stessa ricerca federalista quando della Lega ancora nemmeno si sentiva parlare. Così come è sempre interessante ascoltare Massimo Cacciari, mai banale in quel che dice, quando parla delle culture politiche novecentesche incapaci di interpretare il nostro tempo e della necessità di avviare un processo di natura costituente, per uscire dall'impasse di un bipolarismo che condanna il paese alla deriva (e il PD alla sconfitta). Una seconda repubblica che, secondo Cacciari non è mai iniziata e che richiede di rivedere "i fondamentali". E va proprio al PD l'appello di Cacciari affinché in quel che rimane di questa legislatura s'impegni a mettere mano ad una legge elettorale insopportabile, da tutti definita una porcata, nella direzione di un sistema proporzionale alla tedesca, con sbarramento al 5%. Ma è sul piano della narrazione di una interdipendenza che cambia radicalmente gli scenari e dell'elaborazione di proposte per non esserne travolti che si avverte, qui come altrove, l'assenza. 

Mi aspettavo anche di vedere qualche faccia conosciuta lungo i percorsi della ricerca politica più radicale, ma di amici come Gianfranco Bettin qui a Mogliano Veneto non c'è traccia. Perché non è detto che la radicalità non possa trovare cittadinanza nell'alveo della territorialità.

"Verso Nord" (www.versonord.eu) ha preso così il cammino, se e dove approderà difficile dirlo. E comunque è di rimescolare le carte e cambiare lo schema di gioco che c'è bisogno. Se il Veneto fosse capace di esprimere una soggettività politica in grado di raccogliere energie che il PD non sa attrarre e di scompaginare il centrodestra (la presenza e l'adesione all'iniziativa di Franco Miracco, portavoce dell'ex presidente regionale veneto e ora ministro Galan), non sarebbe affatto insignificante.

Con Armando ci diciamo che è stato utile esserci, mantenere deste le antenne verso quel che si muove, nella convinzione che i processi di scomposizione e ricomposizione della politica italiana sono tutt'altro che conclusi.

 

mercoledì, 21 luglio 2010coca cola in cina

La legge di riforma del commercio entra nella fase del voto. Gli articoli della legge sono 74, gli emendamenti presentati superano i 150, cinquantanove dei quali verranno approvati. Questo comporta un giorno e mezzo di lavoro consiliare, nonostante il tempo a disposizione dei gruppi consiliari sia contingentato. Ne uscirà una legge utile, anche se non mi nascondo i limiti di fondo di cui peraltro ho parlato nel diario di ieri.

Non possiamo non riconoscere che in talune aree della nostra provincia lo scenario della proliferazione dei centri commerciali non è poi molto diverso da quello che s'incontra in Veneto o in Lombardia. Insomma, ci siamo un po' "padanizzati" anche noi e non sempre la nostra diversità riesce ad emergere. Le aree di confine del Trentino hanno talvolta assorbito il clima politico culturale d'oltre confine e, d'altro canto, gli elementi che hanno fatto la nostra diversità, penso all'autonomia o alla cooperazione, non hanno sempre costituito un antidoto culturale. Insomma, la nostra autonomia va coltivata, deve diventare cultura diffusa fra gli amministratori locali, nelle comunità. Non c'è dubbio poi che l'ambito dei consumi è uno dei più contaminanti, specie quando i soggetti sociali si riducono a consumatori.

Sento parlare di contrapposizione fra piccoli negozi e supermarket, di orari di apertura, di aperture domenicali... oppure di questioni sindacali. E non ci si rende conto che il problema sta a monte, negli stili di vita, nella sobrietà che non c'è, nel tempo libero ridotto a consumo. Compulsioni del nostro tempo. Tant'è che a cadere nella trappola sono i poveri cristi, quelli che non hanno strumenti culturali e molto spesso anche difficoltà materiali.

In questo senso la riforma che votiamo a maggioranza poteva osare di più. Non è la questione di Lavis, dove il ricorso al Tar ha vanificato il provvedimento amministrativo della Pat e sul quale ben poco può fare retroattivamente la nuova legge. La questione è che i centri commerciali sono pieni di gente, che i prodotti che vi si vendono sono tendenzialmente "senza qualità", che le filiere corte sono un'altra cosa, così come l'educazione al consumo consapevole.

Per questo nel mio intervento ho parlato di questa riforma solo come un primo passo, che richiede un impegno di ordine strategico verso scelte diverse, in sintonia con il Sud Tirolo e l'Euroregione alpina, armonizzandosi con altri provvedimenti legislativi che hanno fatto della qualità il punto di forza. Ne parlo con Olivi, mi dice di condividere. Lo metterò alla prova.

Nell'intervallo della maratona consiliare, ci riuniamo come gruppo per parlare della Regione. Trovo insperate sintonie nella direzione di andare al superamento della Regione come luogo che si legittima a partire dalle sue competenze per quanto residuali. La strada maestra è quella dell'Euroregione e dunque di una Regione che finalmente si svincola dall'equivoco che ci stiamo trascinando da sempre in una dialettica conflittuale sulle competenze, che giustamente devono essere in capo alle due Province, punto e basta. In altre parole un ruolo di indirizzo di fondo nella prospettiva europea, da rilanciare come progetto territoriale e sovranazionale. Decidiamo di mettere in campo un gruppo di lavoro e di portare la discussione nel coordinamento del PD del Trentino.

Poi ci ributtiamo nel voto sulla riforma del commercio. Arriviamo alle 19.50 che siamo ancora all'articolo 28.

 

martedì, 20 luglio 2010botero

Riprende oggi e continuerà per tutta la settimana la sessione del Consiglio provinciale. In discussione la riforma sul commercio presentata dall'assessore Olivi, che raccoglie anche le proposte di legge presentate dal gruppo consiliare del PD del Trentino (distribuzione gas metano per autotrazione) e del Patt (valorizzazione e tutela dei locali storici). La materia è piuttosto complessa e si pone l'obiettivo di mettere un po' d'ordine rispetto al caos esistente. La discussione si fa viva e sono sollecitato ad intervenire.

Il tema che stiamo affrontando non è un passaggio amministrativo di poco rilievo. Dopo gli interventi dei miei compagni di gruppo Civico e Dorigatti, il primo che illustra gli articoli relativi alla distribuzione del metano, il secondo che affronta la partita relativa alle condizioni di lavoro nel settore, propongo all'aula un contributo sul profilo culturale della riforma. Non si può ragionare di commercio a prescindere da come la globalizzazione sta cambiando l'economia e la società, da come il lavoro abbia smesso di essere motivo di identità aprendo la porta ad un mondo di consumatori, in balia della pubblicità che - in assenza di strumenti critici - diventa autismo e compulsione.  Senza dimenticare che la solitudine sociale è forse l'ingrediente principale dello spaesamento. E su come a tutto questo corrisponda la proliferazione di un commercio senza qualità.

Una dimensione culturale che avrei voluto più presente nella riforma proposta, così come mancano le connessioni fra questa proposta di legge e quelle da poco approvate sul'economia solidale e sulle filiere corte. Il nodo di fondo è il seguente: come attrezziamo le nostre comunità, tanto i consumatori quanto gli operatori o i produttori, ad abitare le trasformazioni in atto. Tanto per cominciare, i giovani. Non possiamo nasconderci che una parte consistente degli utenti abituali dei centri commerciali sono giovani e giovanissimi. Il consigliere Casna chiede all'aula se conosciamo quale sia il popolo dei centri commerciali... la mia risposta è che ci vado apposta per comprendere un mondo di cui spesso nemmeno ci accorgiamo e che ho ben presente quali siano i soggetti più vulnerabili sul piano del consumismo. Perché il problema non sono i centri commerciali in quanto tali, ma il consumismo del nostro tempo, l'incapacità di gestire in maniera oculata le proprie risorse, l'immaginario culturale dei bambini e dei ragazzi che passano il week end (con famiglia o senza) in quei luoghi. Anzi, in quei "non-luoghi", perché questo sono i centri commerciali, visto che sono spazi fisici privi di identità, uguali ovunque, in ogni parte del mondo. Nei giorni scorsi a Sofija, gli stessi loghi, le stesse insegne commerciali, gli stessi prodotti...

A questa omologazione "a sottrazione di qualità" è necessario provare a dare qualche risposta, tanto sul piano urbanistico, sul piano del modello economico, affrontando la dimensione finanziaria (riciclaggio) che spesso s'annidano dietro la nascita di mega strutture commerciali, ma soprattutto sul piano culturale. Il che significa educazione e orientamento al consumo, approccio alla sobrietà, riflettere sulla qualità delle nostre esistenze.

Qualcuno nel dibattito afferma che questa legge interviene quando i buoi sono ormai scappati. Affermo nel mio intervento che un po' di vero in questa affermazione c'è. Basta andare nel tratto Fra Arco e Riva, fra Rovereto e Mori, fra Trento e Lavis per comprendere che scelte sbagliate sono state fatte e che richiedono una svolta.  Senza dimenticare che se dobbiamo avere l'onestà intellettuale di riconoscere gli errori compiuti anche dalle giunte (comunali o provinciali) del centrosinistra, dobbiamo anche aver la consapevolezza di quel che c'è in giro, in altre regioni italiane oppure in altri paesi.

E comunque questa riforma un certo riequilibro prova a metterlo in campo. Attraverso un riordino delle competenze, mettendo limiti, definendo obiettivi di qualità, evitando l'insorgere di nuovi mostri, incentivando mercati diretti, filiere corte e mercati tipici, riducendo le giornate e gli orari di apertura dei centri commerciali. Provando infine ad affrontare il tema della mobilità delle merci anche per l'indotto che questo determina e così trovo anche l'occasione per un momento di pensiero verso Karol Baczek, giovane trasportatore polacco vittima della Bolkenstein e di un'idea di sviluppo insostenibile.

Il confronto prosegue e in serata si conclude il dibattito generale. In gioco ci sono visioni generali.

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lunedì, 19 luglio 2010Stava, luglio 1985

Il 19 luglio 1985 era un venerdì di sole. Ma alle 12.22 divenne improvvisamente buio. 160.000 m3 di fango si riversarono sull'abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, spazzando via ogni cosa e provocando la morte di 268 persone. Ricordo di aver ricevuto la notizia della tragedia di Stava nel pomeriggio, mentre rientravo a Trento da Roma. In un primo momento non c'era ancora l'esatta dimensione di ciò che la furia del fango (e l'irresponsabilità della ricerca esasperata del profitto) aveva provocato. Poi, con il passare delle ore, la percezione di trovarsi di fronte alla più grande tragedia che avesse colpito il Trentino nel secondo dopoguerra fu sempre più nitida. Il mattino dopo, la scena che si presentava davanti ai miei occhi era a dir poco agghiacciante. Fu uno spartiacque, anche per la politica.

A Tesero oggi si celebra il venticinquennale di quella tragedia. Vorrei essere presente, ma proprio non ce la faccio. Nonostante sia rientrato alle tre del mattino da Sofija alle 9.30 iniziano gli impegni. Ma il mio pensiero va a quel giorno di venticinque anni fa, allo sgomento di quelle ore, al salto di paradigma in ordine alla sostenibilità delle scelte di sviluppo di cui avemmo immediatamente la percezione dell'urgenza.

Poi il tempo diluisce e banalizza. E la storia tende a ripresentarsi con le stesse insostenibilità. Così, sui temi ambientali come su altri profili, la memoria svanisce. E' proprio di questa smemoratezza che parliamo a Salorno, nel tardo pomeriggio, nell'incontro promosso da SolisUrna insieme al Progetto Prijedor. Un gruppo di ragazzi partiranno a breve per un viaggio di studio e insieme ai loro genitori ed accompagnatori mi chiedono di portare qualche spunto di riflessione.

Amo raccontare storie, così parlo di una principessa che si chiamava Europa, di antiche scritture tradotte dal greco all'arabo e dall'arabo al latino finite al rogo cinquecento anni più tardi in una biblioteca nell'indifferenza dei più, di guerre moderne e di ancor più moderne interdipendenze, di una cooperazione che ti aiuta a stare al mondo e a guardare con altri occhi la tua terra, di conflitti che si specchiano in altri conflitti che fatichiamo ad elaborare, alla ricerca come siamo di colpevoli e di visioni in bianco e nero.

Fioccano le domande, c'è anche una certa curiosità verso le suggestioni proposte ma anche verso un approccio che colgono nella sua originalità. E nel suo essere patrimonio di un percorso di vita e di riflessione tutt'altro che astratto.

Due ore e mezza volano via, almeno così mi dicono nell'accomiatarci, e alla fine la voglia di andare, di mettere il naso fuori di sé, è quasi più degli adulti che non degli stessi ragazzi. Tant'è che mi chiedono di rivederci a proseguire questa nostra conversazione. Il fatto di essere sul confine (in questo caso fra il Trentino e il Sud Tirolo) fa parte del mio habitat ormai naturale e allora aderisco con gioia alla loro richiesta. Sono così rare le occasioni per oltrepassare questa "vicina lontananza"... 

La giornata non è ancora finita, ma quel che accade in seguito mi sembra davvero irrilevante. E poi, piano piano, la stanchezza prende il sopravvento.

 

domenica, 18 luglio 2010l\'incontro della Sava con il Danubio

Uno dei paesi emergenti nel triste primato del turismo sessuale è la Bulgaria. Ci sono città come Sandanski, nella parte sud occidentale del paese, considerate veri e propri "paradisi del turismo sessuale". Ma basta girare anche solo qualche minuto nella vita notturna di Sofija per rendersi conto di come questo fenomeno stia dilagando. La cosa non ci riguarda solo come persone sensibili ma anche come cittadini italiani, essendo il nostro paese in testa alla graduatoria degli squallidi praticanti di questa forma di turismo.

Ecco perché parlare di un altro turismo in occasione di Terra Madre Balcani è importante, tant'è vero che una delle quattro sessioni in cui si articola l'evento è dedicata proprio al tema del turismo responsabile. Un turismo che non sorvola i territori, che evita i "non luoghi" del turismo di massa, che cerca invece un contatto vero con le culture locali e le persone, curioso ed attento all'impatto del turismo sull'economia e sull'ambiente, che sa adattarsi ma anche esigente sul piano della qualità.

Sviluppiamo questo argomento anche nell'incontro con Paolo Di Croce, segretario generale di Slow Food Internazionale. Con Slow Food si è avviata in questi anni una proficua collaborazione nella cooperazione del sistema trentino con la regione balcanica e, più in generale, con le relazioni che la nostra comunità ha avviato in varie aree del mondo. Relazioni che saranno al centro di "Terra Madre Trentino" in programma a fine ottobre, lungo le rotte delle comunità del cibo della nostra provincia. Ma il focus del nostro confronto è un progetto comune che coltiviamo da qualche mese: un viaggio alla scoperta dei sapori danubiani, una nave che attraversi l'Europa lungo il suo grande fiume che ne rappresenta le speranze e il disincanto.

Un viaggio che dia il senso di quell'Europa di mezzo "tedesca-magiara-slava-romanza-ebraica" che Johannes Urzidil definiva "un mondo dietro le nazioni". Perché è proprio oltre le nazioni, in una prospettiva di tipo sovranazionale qual è l'Europa, che siamo destinati e di cui al tempo stesso abbiamo paura. Mettere in connessione i territori, le culture locali, le unicità che si sono realizzate nel tempo attraverso mille sincretismi: questa è l'Europa delle minoranze, pensata nel manifesto di Ventotene del federalismo europeo come antidoto al ripetersi di nuove tragedie nella disputa di improbabili egemonie da parte degli Stati nazionali.

Un viaggio di "cittadini europei", nella straordinaria prospettiva che regala la navigazione del Danubio, facendo tappa nei luoghi delle "Comunità del cibo" danubiane, per scoprire saperi e sapori che i territori sanno proporre, come altrettante chiavi di sviluppo locale ma, prima ancora, di costruzione di una cultura europea e mediterranea che degli "attraversamenti" sia capace di fare tesoro. Di questo parliamo a Sofija con i responsabili di Slow Food, in un assurdo albergo che non ha faticato per niente a passare dalle mafie di prima a quelle di oggi. Un viaggio che vorremmo realizzare nel giugno del 2011, in omaggio di chi settant'anni fa ci propose un sogno ancora da realizzare e di un fiume, il Danubio, che dell'Europa è lo specchio.

Una suggestione che tocchiamo con mano sulla strada del ritorno, quando ci fermiamo per una breve sosta a Belgrado. Lì, sulla fortezza di Kalemegdan, si assiste allo spettacolo quotidiano dell'incontro fra la Sava e il Danubio. Se mi chiedete un'immagine capace di descrivere l'Europa, oltre la mitologia che la vede figlia di Agenore, la mia risposta è tutta lì, in quella straordinaria visione.

PS. Vorrei ringraziare i miei compagni di viaggio Sergio Valentini (presidente Slow Food Trentino Alto Adige), Francesca Doff Sotta (responsabile Comunità del Cibo del Trentino Alto Adige), Massimiliano Arer (cuoco della Locanda 3 chiavi), Eugenio Berra (Viaggiare i Balcani) con i quali ho condiviso le immagini di questo "diario".

sabato, 17 luglio 2010la pecora Karakachan

L'Università di Sofija è un edificio monumentale dell'inizio del Novecento e descrive bene lo splendore di un tempo di questa città. Nel 1911 Lev Trotsky, allora giornalista inviato del Kievskaja Mysl sul fronte delle guerre balcaniche, racconta di come fosse brusco il passaggio dal fango belgradese ai fasti di Sofija, paragonabile alle più moderne città europee. Grandi scalinate di marmo, le aule e i grandi spazi interni rivestiti di legno massiccio... sembra di entrare in uno spazio fuori dal tempo.

E' in una modernissima sala ricavata nella ristrutturazione in corso che prende il via la prima edizione di "Terra Madre Balcani", l'incontro delle quaranta "Comunità del cibo" della regione. Sono reti locali che si prendono cura della produzione, della trasformazione, dell'educazione e della promozione del cibo di qualità in una visione di sostenibilità e di valorizzazione delle culture e dei saperi dei territori. Sono quindi agricoltori, allevatori, raccoglitori, artigiani del cibo, cuochi o anche semplicemente persone che conoscono ed amano la terra dove vivono e lavorano. Ogni rete è una storia a parte. Sono qui per raccontarle queste storie, che ci parlano del piacere e della bellezza di fare le cose per bene, secondo la tradizione e nella speranza che non vadano perdute. E anche della fatica che ne viene, dei pregiudizi da superare, delle difficoltà che s'incontrano, delle ottusità di poteri che amano più il profitto personale piuttosto che la loro terra.

E' la storia che ci racconta George, animatore della comunità del prosciutto Helenski But, nella regione di Veliko Trnovo. Il prosciutto che lui propone è il primo prodotto riconosciuto da Slow Food in Bulgaria ma prima ancora della qualità del suo prodotto (peraltro davvero eccezionale) quel che preme a George è quello di mantenere coesa una comunità che rischia di perdersi nella banalizzazione del gusto e nell'omologazione dei centri commerciali. Tanto che di questo prosciutto già si sono perse le tracce. E non viene ufficialmente riconosciuto. Così quando un anno fa Slow Food Bulgaria organizza l'incontro con il Ministro dell'agricoltura e del cibo di quel paese, nel piccolo ricevimento che viene organizzato nell'occasione il Ministro rimane incantato da un prosciutto che formalmente è considerato fuorilegge.   

Le storie si sovrappongono. Quella di Katarina che si occupa di "aroma-terapia", oppure quella di Rozalia che viene dai villaggi sassoni della Transilvania e che prepara con le sue mani ogni tipo di confettura e marmellata. O, ancora, quella di Atila che produce il "sirene bianco" ovvero un formaggio di una pecora di origini antichissime (la Karakachan, dal pelo lungo e che cambia colore con l'età) della quale resistono soltanto quattrocento esemplari.

Una giornata fitta d'incontri e racconti che si conclude con una cena dove si sovrappongono i sapori trentini e quelli locali, la polenta di Spin della comunità del cibo della Valsuagana e il formaggio verde di Tcherni vit, la "carne salada" della comunità del cibo dell'Alto Garda con i fagioli della regione di Smilyan... C'è anche l'ambasciatore italiano a Sofjia, un po' disturbato dal fatto che le relazioni fra i territori arrivino là dove la diplomazia degli stati non sa volare.
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venerdì, 16 luglio 2010espositrice rumena

Milletrecentoquarantotto chilometri. E' lo spazio che ci siamo messi alle spalle, in una giornata di luglio, per arrivare a Sofija dove si svolge la prima edizione di "Terra Madre Balcani". File interminabili di automobili sotto un sole cocente, provenienti da ogni parte d'Europa tanto da poterne ricostruire una dolorosa geografia dell'esilio, un popolo di migranti che ritorna a casa portandosi con sé la forza di qualche risparmio, la speranza di un futuro migliore, una lingua imparata, il bisogno di mantenere vive le proprie radici. Osservo questa umanità mentre aspettiamo pazientemente in fila che le frontiere compiano il loro sopruso quotidiano.

Potevamo sorvolarlo questo spazio di vita, il low cost ormai ti permette di raggiungere le mete più lontane in poche ore. Non però i prodotti trentini riconosciuti come "presidi" Slow Food, ingredienti di qualità per la cena che Max e Valery (cuochi rispettivamente italiano e bulgaro) prepareranno per le delegazioni provenienti da tutti i paesi della regione e per gli ospiti di Sofija.

Qui sono riuniti 160 delegati in rappresentanza delle quaranta "comunità del cibo" di Slow Food provenienti dall'Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Kosovo, Macedonia, Romania, Serbia e, ovviamente, Bulgaria. Negli stand allestiti in un tendone nel centro di Sofija portano i loro prodotti, dal formaggio nel sacco agli ortaggi biologici, dal miele alle erbe officinali e ai prodotti del bosco, dal prosciutto stagionato secondo le antiche tradizioni alla proposta di un turismo attento al territorio e per questo responsabile. Insieme portano le culture materiali e i saperi dei luoghi, di cui sono orgogliosi, indicando forse inconsapevolmente una risposta possibile all'omologazione che la globalizzazione porta con sé.

Sono una piccola comunità, un segno di civiltà e di resistenza in un contesto che sembra invece non dare speranza. Nel centro della capitale bulgara, ogni cento metri un casinò, prostituzione, centri commerciali con le insegne che trovi ormai ovunque, banche dai nomi conosciuti e agenzie che prestano denaro e comprano oro. Nei negozietti le merci senza qualità che puoi trovare ormai in ogni luogo del mondo mentre nei bar persino il caffè turco è scomparso lasciando il passo al Nescafé.

Le persone che s'incontrano all'Università di Sofija testimoniano che c'è dell'altro, un'umanità che non si rassegna all'imbarbarimento e che prova a ricominciare dal messaggio che "Terra Madre" porta con sé: buono, pulito e giusto.

 

giovedì, 15 luglio 2010mela e chiocciola

In Consiglio prosegue la discussione sulla Legge di riforma sanitaria. Sul testo unificato uscito dalla Quarta Commissione legislativa "Tutela della salute in provincia di Trento" c'è un ampio consenso, ad esclusione dei consiglieri leghisti. Devo dire che i loro interventi esprimono posizioni di una povertà culturale davvero imbarazzante, tanto sull'assenza di qualsiasi approccio preventivo ("una legge per il malato", si dice), quanto sul dover ascoltare ancora le solite volgarità ("prima vengono i trentini"), odiose in genere ma oltremodo quanto in ballo c'è la salute delle persone.

Altri consiglieri del nostro Gruppo consiliare hanno seguito da vicino l'iter legislativo, ivi compresi emendamenti e ordini del giorno. La politica dovrebbe avere sempre una dimensione interdisciplinare ma ciò non significa che ciascuno di noi debba seguire tutto. Ci si è dati così una sorta di divisione delle competenze, che grosso modo corrispondono alle Commissioni legislative oppure ai saperi e alle sensibilità di ciascun consigliere. In questo caso ho seguito a distanza l'iter legislativo, affidandomi ai momenti di confronto che ci sono stati nel gruppo di lavoro del partito e alla sensibilità dei compagni di gruppo.

Un'occhiata ai giornali. L'Adige riporta il mio pezzo sul ragazzo polacco morto in un non-luogo del bergamasco sotto il tir arcense che guidava con un contratto di un altro paese. Ma riporta anche un pezzo di cronaca consiliare a dir poco scandaloso, dal quale sembrerebbe che a fronte del no al completamento della Valdastico del vicepresidente Pacher, gran parte del gruppo del PD del Trentino avrebbe avuto una posizione diversa, lasciando intendere una dialettica interna con delle aperture alla sua realizzazione. Non che il gruppo non abbia avuto su molte questioni posizioni diverse, ma non in questo caso, al di là dell'espressione di voto sulla versione finale della mozione. Con il capogruppo buttiamo giù una lettera di protesta, ma intanto mi chiedo cosa possano aver pensato i lettori e i nostri elettori. Gli altri quotidiani, per la verità, danno una versione corretta del dibattito in aula e delle posizioni espresse.

Il confronto in aula sulla sanità prosegue, si conclude la discussione generale, si votano gli ordini del giorno e inizia il voto sugli articoli e gli emendamenti. Senza sorprese. Domani non potrò seguire i lavori perché l'impegno assunto con Slow Food mi porta a "Terra Madre Balcani" in Bulgaria. Del resto il calendario ufficioso non prevedeva il proseguimento del Consiglio anche nella giornata di venerdì. Non parteciperò quindi al voto conclusivo, ma in questa occasione non ci sono problemi, il voto favorevole sarà molto ampio.

Finiamo alle 20.00. La serata vola via e la notte sarà ancora più breve. Prima di provare a dormire scrivo questo diario, che nei prossimi giorni avrà un registro diverso, quello della cronaca di viaggio da Sofija, non lontano da quei monti Balkan che danno il nome ad una delle cinque grandi penisole del Mediterraneo.  

 

mercoledì, 14 luglio 2010vignetta Rudi Patauner

Prosegue la sessione del Consiglio provinciale. C'è una mozione sul completamento della Valdastico presentata dal centrodestra. Sono anni che ne fa una sua bandiera e sono anni che le mozioni a favore di quest'opera vengono respinte. Esattamente 33 fra mozioni e ordini del giorno, dal 1993 ad oggi. Per la verità, alcuni di questi sono stati approvati ma perché ne prevedevano l'archiviazione. E poi non meno di quattro campagne elettorali nel corso delle quali il completamento della PiRuBi è diventato il simbolo di un discrimine nel modello di sviluppo. Negli ultimi anni ci si è messo anche il governo Berlusconi nel cercare di fare della Valdastico una sorta di "cavallo di Troia" nel cuore della nostra autonomia, intuendone la portata culturale e politica prima ancora che viabilistica. Il Governo ha rivendicato a sé la programmazione autostradale, mettendo così in discussione le nostre competenze di autogoverno in materia, partita sulla quale pende un ricorso al Consiglio di Stato da parte della PAT.

Forti del loro assedio al Trentino e alla sua ribadita volontà di non omologarsi alla "Padania", i consiglieri del centrodestra ci provano di nuovo. La mozione sarebbe destinata ad essere respinta, se non che qualche crepa nella maggioranza viene fuori (in casa UpT e nel Patt, ma anche nell'atteggiamento dei consiglieri Chiocchetti e Firmani) e allora viene cercata una mediazione. Ne esce un documento che non dice assolutamente niente, la premessa bocciata e nel dispositivo di Valdastico nemmeno si parla. Ciò nonostante si tratta a mio avviso di un mezzo passo falso, così da permettere al centrodestra di dire che sulla Valdastico qualcosa si è mosso. Su questo documento gran parte del nostro gruppo si astiene.

Prende poi il via la maratona sulla riforma sanitaria. Il titolo della legge indica di una riforma della salute in Trentino, ma a ragion del vero questo approccio è ancora là da venire perché la comunità nel suo complesso, il territorio, gli enti locali, non sono coinvolti in maniera strutturale. Ci troviamo di fronte ad una buona legge ma ancora nel solco della sanità, che investe più l'apparato e le strutture piuttosto che il coinvolgimento di tutti gli attori sociali attorno alla cultura della salute. Non so se ci sarà modo e tempo di ritornarci in questa legislatura. Condivide questo giudizio anche Mattia Civico che per il nostro gruppo ha seguito più di altri tutto l'iter della riforma anche come presidente della quarta Commissione legislativa provinciale. E ne parla nel suo stesso intervento. La discussione è destinata a proseguire, anche se sul testo che arriva in aula c'è un accordo quasi bi-partisan. Intanto l'aula è desolatamente deserta.

Negli interstizi del lavoro consiliare, trovo il tempo per scrivere un pezzo che viene pubblicato oggi su "L'Adige" a proposito dell'assurda morte del giovane camionista polacco di cui ho parlato nel diario di ieri e di ciò che svela. I giornali locali danno spazio al "Manifesto per una comunità responsabile" e Giuseppe Ferrandi che l'ha presentato mi chiede di far interloquire questa iniziativa con il sito di "Politica è responsabilità". Tutte le iniziative atte a costruire ponti di dialogo e di confronto nel centrosinistra sono benvenute e quindi bene così, anche se devo dire che il testo del manifesto non mette a fuoco le cose che ritengo cruciali sulle quali si chiede alla politica di fare un salto di pensiero. Alberto Faustini, direttore del "Trentino", mi chiede di interloquire con il "manifesto" ed accetto volentieri di farlo. L'unico problema è trovare un momento di concentrazione, fra le mille cose in ballo, non ultimo il fatto che venerdì prima dell'alba si parte per Sofija. Nel fine settimana saranno 2.696 chilometri in auto. Alla faccia del "Lento, profondo e soave" di cui ci parlava Alex Langer. Ma la leggerezza del passo non mancherà.

 

martedì, 13 luglio 2010Nembro, il luogo della tragedia

 

Prima giornata di una lunga tornata consiliare che ci occuperà per tutta questa settimana e per alcuni giorni della prossima. Il mattino se ne va con le interrogazioni a risposta immediata, occasione di visibilità per i consiglieri nel porre quesiti che prevedono una risposta immediata da parte della Giunta. Nulla di particolare da segnalare. Nel pomeriggio discutiamo di nulla. Così si può definire la proposta di legge del consigliere Giovanazzi che propone nuove indennità per i membri della Giunta provinciale, senza nemmeno sapere che nel corso della passata legislatura la Giunta e il presidente si erano già ridotti gli emolumenti nelle dimensioni auspicate e fors'anche oltre. Discussione inutile, proposta respinta. Arriva la mozione di Firmani (Italia dei Valori) sulla riduzione dei Comuni del Trentino, irricevibile mi verrebbe da dire, ma comunque testimonianza di un approccio tipico di chi si pone verso questa terra senza conoscerne nulla. La mozione fatica a prendere il voto del suo proponente. Un disegno di legge proposto dalla giunta sulla legge urbanistica provinciale di natura prevalentemente tecnica e poi tutti a casa.

Di buono c'è che nelle pieghe dei lavori qualcosa si riesce a fare. Vedo i giovani volontari di "Cinama Jenin Italy", un gruppo di universitari che il 25 aprile di quest'anno hanno dato vita ad una nuova associazione italiana legata alla realizzazione di un progetto culturale nella città palestinese dedicato alla cultura cinematografica e teatrale. E' l'occasione per parlare di cooperazione internazionale, di medio oriente, del conflitto israelo-palestinese. Vedo attenzione ed anche curiosità per le mie parole, gli propongo di vederci con il loro collettivo per un confronto su questi temi. Leggo di un fatto di cronaca nel bergamasco, un giovane camionista polacco morto dissanguato per un banale taglio ed incapace di chiedere soccorso. Prova a chiamare il 112 ma non riesce a dare indicazioni precise di dove si trova. Lo troveranno il mattino successivo, senza vita. La cosa mi colpisce e allora viene fuori che pur essendo su un tir della Eurotrama di Arco in realtà il titolare della società di Arco afferma che il giovane non era un loro dipendente. Così da una vicenda che appare un banale per quanto tragico fatto di cronaca, emerge la realtà di come sta cambiando il lavoro in Italia e in Trentino. Sì perché Karol Baczek era dipendente di un'azienda italiana delocalizzata nel'est europeo, probabilmente con un contratto di lavoro della Polonia, ovvero con uno stipendio intorno ai 400 euro al mese. Insomma, effetto Bolkenstein, meccanismo che sta devastando il mercato del lavoro e le relazioni industriali. Decido di scriverne.

Telefonate e incontri si susseguono. Sento Michele Rumiz per accordarmi sul meeting che si svolgerà nel fine settimana a Sofia: ho assunto infatti con Slow Food l'impegno di intervenire alla prima edizione di Terra Madre Balcani. Mi vedo con Francesca Zeni e Martina Camatta per concordare le questioni che verranno trattate l'indomani sul nuovo protocollo per il Centro interculturale Millevoci.

lunedì, 12 luglio 2010Lago di Caldonazzo

In questa calda giornata estiva ci riuniamo sin dal primo mattino sulle rive del Lago di Caldonazzo, in località Valcanover. C'è il Coordinamento del PD del Trentino, il Gruppo consiliare, gli assessori provinciali, i parlamentari trentini del PD: un incontro informale, che corrisponde al bisogno di capire sin d'ora quale dovrebbe essere l'approccio verso il 2013.

Che senso ha discutere della fine di una legislatura praticamente appena iniziata? Domanda più che legittima, ma non possiamo far finta di non vedere o sapere che se ne parla, che sono iniziate le grandi manovre, che all'ordine del giorno dell'assemblea di Vezzano dell'UpT c'era anche questo, che oggettivamente costruire il "dopo Dellai" non sarà semplicissimo. E che l'impronta che assumeranno sin d'ora i rapporti nel centrosinistra autonomista segneranno anche l'approdo al 2013.

Questo tanto per essere chiari non riguarda solo la "contesa" su chi sarà il presidente della Provincia Autonoma di Trento o sul metodo della sua individuazione (primarie?) ma significa discutere attorno ai temi che ci hanno fatto fibrillare nei mesi scorsi (le acciaierie e il futuro della Valsugana, la scuola, ecc.) e, più in generale, di quale modello di sviluppo vogliamo per il Trentino, delle risorse dell'autonomia e delle grandi opere che richiederanno investimenti decennali (Metroland tanto per cominciare), l'idea di un Trentino europeo (che investe il ruolo della Regione e la questione del terzo Statuto di autonomia).

Di questo parliamo in un dibattito intenso, che rileva come gli approcci alle questioni siano quanto meno articolati e del fatto che richiederebbero spazi specifici di approfondimento. Se penso al vuoto di confronto collettivo che caratterizza il gruppo consiliare... E' proprio questo approccio collettivo a venir posto con forza dal segretario Michele Nicoletti, un'idea partecipata della politica che condivido. I temi toccati richiedono una certa delicatezza e per questo ci viene richiesta giustamente una sorta di consegna del silenzio. Anche questo corrisponderebbe ad una dimensione collettiva, che oggi fatica a venir praticata.

Così anch'io nel mio "diario di bordo" mi limito a parlare dei titoli, più che del merito. Il confronto è certamente utile, pone la necessità di avere più occasioni come questa di confronto, ma ho l'impressione che via sia uno iato fra questa dimensione e una pratica politica che segue linee più sotterranee. Le idee diverse non sono un problema, purché se ne discuta apertamente e con la volontà di costruire sintesi condivise. Il problema è che se la politica non è gridata non ha ascolto, tant'è che nell'articolo domenicale di Piergiorgio Cattani sul "Trentino" dedicato al gruppo consiliare provinciale del PD nelle sue pagelle (non lusinghiere, per la verità) omette di parlare di due consiglieri, fra i quali il sottoscritto. Non so se considerarlo un complimento o una considerazione di insignificanza...

Il ristorante Ciolda ci propone anche un pranzo dai sapori di mare e di lago. Non male, devo dire. Così come l'idea di riprendere confidenza con questo luogo del Trentino, un lago che nella mia gioventù rappresentava l'estate e che oggi vivo come luogo estraneo.

Il tempo è tiranno. Alle tre del pomeriggio mi aspetta Armando in ufficio, successivamente vedo Nino e poi preparo gli appunti per l'incontro sul tema dei diritti umani che ho alle 18.00 alla sala di rappresentanza della Fondazione Caritro. A proporlo un'associazione di amicizia con il Tibet che fa parte del Forum, dove mi si richiede l'intervento di apertura. Cerco di evitare ogni sorta di ritualità, portando un contributo nel merito di come il tema dei diritti umani vada cambiando in virtù delle trasformazioni del tempo. E di come i diritti umani ci riguardino in prima persona non solo perché siamo persone sensibili e cittadini del mondo, ma investono prossimità sempre più diffuse. I diritti umani bussano alla porta accanto, sono le forme di esclusione dietro l'angolo di casa, sono la deregolazione (la cifra del tempo) che si riverbera in tempo reale sulle nostre vite. I diritti umani investono anche i nostri stili di vita, i nostri consumi quotidiani, il nostro abitare in modo responsabile un mondo sempre più interdipendente. I rappresentanti di Amnesty International raccontano l'evoluzione che ha avuto il loro stesso approccio verso i diritti umani, cosa che avverto in sintonia con le mie parole. Il monaco tibetano Geshe Gyatso e l'amica Khando Zhetsa, da poco nominata rappresentante delle donne tibetane in Italia, mi invitano ad andare in India, nei luoghi del loro esilio, a fine agosto. Cosa che vorrei riuscire a fare e che ho messo in agenda. Vedremo.

La giornata non sarebbe ancora finita. L'assemblea del PD del Trentino discute di regolamenti, ma l'estate si fa sentire e manca il numero legale.

 

sabato, 10 luglio 2010la frana di Ancona

Venerdì mattina parto in auto per Ancona. Letizia De Torre (deputata trentina eletta nelle Marche) e il PD di Ancona mi hanno invitato a tenere un incontro sui temi dell'Europa e dell'interdipendenza nella città marchigiana. Essendo un venerdì di luglio, oltretutto di sciopero nel servizio ferroviario, temo code in autostrada. Ed in effetti il traffico è un po' rallentato.

Una breve sosta alla EMI (Edizioni Missionarie Italiane) a Bologna, la casa editrice di "Darsi il tempo", per ritirare un centinaio di copie del libro che continua a "vendere", e poi verso il mare. Così intorno alle 18.00 mi ritrovo su una collina che sovrasta la città, un balcone sul mare che un tempo ospitava l'ospedale di Ancona e diverse palazzine di edilizia privata. Poi, all'inizio degli anni '80, il terreno comincia a franare verso valle, evacuazione generale (la foto dell'epoca descrive il centro oncologico abbandonato) e l'amministrazione s'inventa la realizzazione di una grande area verde sul mare, il Parco Belvedere di Posatora.

Lì nei pressi, al Circolo Belvedere, si tiene l'incontro del PD. Il preliminare della riunione è dedicato al rapporto su un anno di attività parlamentare di Letizia, il suo impegno sulla scuola, il tema dei diritti umani lungo le rotte dell'immigrazione, l'uso della sua indennità parlamentare. Cosa non scontata e da quanto capisco piuttosto apprezzata (cosa che i parlamentari indigeni non sempre fanno, mi dice qualcuno). Ma il cuore dell'incontro è quello che Letizia definisce "uno spazio di pensiero libero". E quindi tocca a me.

Mi piace questa situazione. Le persone che sono davanti a me rappresentano uno spaccato di questa città, diverse generazioni, il segretario cittadino del PD, qualche amministratore, il sindaco di Ancona Fiorello Gramillano. Ascoltano le mie parole con molto interesse, ho come la sensazione che i presenti siano abituati ad un'altra musica e che una volta tanto i discorsi politici, anche quelli più impegnativi e di respiro, possano aver a che fare con il vissuto delle persone. Oppure con immagini mai raccontate, proprio qui ad Ancona, dall'altra parte di quel mare che li separava dall'inferno degli anni novanta, di cui peraltro non si è capito un fico secco.

Parlo della necessità di uno spazio di pensiero capace di dialogare con la politica, della capacità di quest'ultima di leggere il nostro tempo e di comprenderne le paure che generano le trasformazioni, del territorio e dell'Europa come dimensioni chiave della politica, di come nei Balcani la post modernità si sia rappresentata e di come lo sguardo autistico - della società come della politica - non l'abbia saputa vedere.

In diversi dei presenti mi chiedono di rimanere in contatto, per approfondire gli argomenti stasera solo toccati, di scrivere per il loro foglio di informazione. Una opportunità di dialogo che mi sembra importante coltivare, anche se mi porto a casa l'immagine di luoghi della politica che nei loro rituali sono a rischio di asfissia.

La serata è fresca, lo stoccafisso eccellente, la conversazione con Letizia piacevole. L'appuntamento per l'indomani mattina è alle 6.30 per la partenza. Passiamo da Marotta Mondolfo, piccolo centro sulla costa adriatica dove abita la mia amica "attora", Roberta Biagiarelli. Le diamo un passaggio fino all'aeroporto di Bologna dove s'invola per Vienna. Domani, 11 luglio, rappresenterà "Souvenir Srebrenica" davanti a più di mille delegati provenienti da ogni parte d'Europa.

Vorrei essere presto a Trento per andare a mettere il naso nell'assemblea dell'UpT che oggi si svolge a Vezzano. Ma il traffico è inesorabile. Ne approfitto per scambiare con Letizia un po' di idee su quel che passa la politica, a Roma e in Trentino. Provo a condividere con lei la mia sensazione di "non riformabilità" dei partiti nazionali e la necessità di cambiare per davvero lo schema di gioco. Mi sembra attenta e sensibile. Arriviamo a Trento che è ormai mezzogiorno. Proverò a capire quel che bolle nel corpo sociale del nostro principale partner di governo provinciale affidandomi, con beneficio d'inventario, alle cronache dei giornali. In serata mi chiama Lorenzo Dellai. Lo avevo cercato proprio per capire dal principale attore dello scenario trentino quali fossero le linee di lavoro proposte all'assemblea. Mi dice con soddisfazione di quattrocento persone che in una calda giornata di luglio si sono riunite per rilanciare l'idea del partito territoriale. Avremo modo di parlarne nei prossimi giorni.

 

giovedì, 8 luglio 2010intrecci

Lo scandire degli anni, oltre al senso del limite, ti mette di fronte anche il bisogno di selezionare le cose interessanti dalle perdite di tempo. Il che non è semplicissimo, specie se ti trovi a dover fare i conti non solo con le cose che desideri fare ma anche con gli impegni che ti sei preso con altri e, peggio ancora, con una comunità. Approfitto del fatto che mi sono tenuto il giorno del mio compleanno sostanzialmente libero da impegni per cercare di mettere un po' d'ordine nelle mie cose. Quel che devo fare nei prossimi giorni, la scaletta delle cose da scrivere, lo zaino. Non so voi, ma per quel che mi riguarda faccio così. La tavola di casa è piuttosto grande e così svuoto le mie borse e la riempio di cartelle, di fogli, di appunti... Il mio bloc notes è lo strumento d'ordine. Pensate che conservo i notes dal 1972, quasi quarant'anni di appunti che potrebbero ricostruire passaggi, incontri, riunioni... chi c'era, vite perse di vista, chi non c'è più. Certo è che mi capita sempre più frequentemente di attingervi qualcosa, magari anche solo una parola, espressione di uno stato d'animo. Immagino che anche questo dipenda dallo scorrere del tempo e dal bisogno di fare qualche bilancio.

Sento qualche amico, oggi non festeggiamo nulla, ma nei prossimi giorni perché no? Fra una telefonata e l'altra, provo a scrivere qualcosa. Intanto gli appunti per l'incontro di Ancona di venerdì sera, seguendo questa scansione: uno spazio di libero pensiero, Europa, Mediterraneo, Balcani, interdipendenza, la necessità di uno sguardo nuovo sul mondo. Staremo a vedere l'effetto che fa. A seguire la posta, l'aggiornamento dei sito, lo studio della documentazione per il Consiglio della prossima settimana...

Preparo il pranzo, riciclaggio brutale ma efficace. In cucina basta un po' d'olio, aglio e ... il piacere di combinare sapori. L'orto di Gabriella comincia a dare i suoi frutti ed anche questo è una risorsa tutt'altro che banale. E poi, filiera cortissima.

Un paio di appuntamenti per la verità ci sono anche oggi, al Forum. Con Francesca e Martina stiamo perfezionando il programma sulla "cittadinanza euromediterranea" che mano a mano si va completando di spunti, idee e date e che ci occuperà per un anno intero. Con Mirco definiamo le iniziative intorno al tema del nucleare e dell'incontro che il primo ottobre ("Scienza, fra guerra e pace") organizzeremo insieme all'Unione degli Scienziati per il disarmo.

Passo al gruppo consiliare, così tanto per ricevere gli auguri e i dolcetti che Lidia non fa mai mancare. E poi me ne torno a casa. Avrei voglia di concedermi un giro nel bosco, ma in serata abbiamo ospite Paola, la figlia di Marina Pivetta e di Stefano Semenzato, vecchi e cari amici. Non vediamo Paola da quando era una bimba, ora la ritroviamo una giovane donna con qualche filo bianco nei capelli nerissimi. E' da qualche giorno all'Istituto agrario per la sua tesi di laurea e così passiamo la serata insieme a lei. Anche Nina la prende in simpatia.

 

mercoledì, 7 luglio 2010brochure

La giornata si svolge così. Al mattino sbrigo un po' di posta elettronica e poi alle 10.00 inizia la riunione della prima Commissione legislativa provinciale. Non vi faccio parte, ma la seduta di oggi è dedicata all'aggiornamento sulla manovra "anticongiunturale" e quindi è utile parteciparvi. A mezzogiorno ci vediamo con Fabio per vedere un po' di cose di "Politica è responsabilità", progetto di comunicazione per la qualità della politica in continua crescita di visitatori. Di seguito vado alla sede dei "Tavoli" di cooperazione nei Balcani per una riunione con il coordinamento di "Viaggiare i Balcani", un po' per fare il punto sui viaggi dell'estate, un po' per delineare le linee del programma per il 2011, sul quale ci si intende muovere per tempo anche in relazione all'ambiziosa idea di realizzare con Slow Food un viaggio in battello lungo i sapori danubiani. Nemmeno il tempo di finire l'incontro che mi attende la riunione della terza Commissione legislativa provinciale, in questo caso quella di cui faccio parte. Qualche audizione su un disegno di legge che vorrebbe estendere la navigazione a motore per i pescatori del tratto trentino del Lago di Garda. Proposta destinata, giustamente, ad essere respinta. Ed infine alle 18.00, presso il Centro di formazione alla solidarietà internazionale, l'ultimo appuntamento, ovvero un supplemento all'incontro formativo che avevo svolto qualche settimana fa. In quella occasione me n'ero dovuto scappar via subito dopo il mio intervento, cosa che detesto fare. E quindi nei giorni successivi ho dato a Giovanna Dell'Amore, la responsabile del corso "Si parte dai territori", la mia disponibilità ad un momento d'incontro "fuori programma" per approfondire gli argomenti che avevo proposto ai corsisti.

Devo dire che l'impegno formativo mi preme molto, trasmettere esperienze, stimoli di riflessione, sguardi sul tempo è forse la cosa che vorrei saper fare. La risposta che viene dai corsisti è positiva e allora cominciamo subito con le domande, i chiarimenti, gli approfondimenti. Riguardano la necessità di mettere mano alle parole, ovvero la nostra cassetta degli attrezzi per descrivere un mondo in continuo cambiamento. Oppure il ruolo delle superpotenze nelle aree di conflitto, laddove un tempo si giocavano le aree di influenza ed oggi i processi globali della finanziarizzazione o il controllo delle risorse fatto passare per "scontro di civiltà". O, ancora, il senso dell'agire individuale in contesti tanto interdipendenti quanto vasti. Le domande sono stimolanti, e spero anche il mio argomentare. Così due ore passano in un lampo. Provo ad offrire loro uno sguardo disincantato sulla cooperazione, ma anche curioso verso il desiderio di scavare nella storia e nelle vicende, capace di meraviglia per la bellezza di quel che sapremmo fare e delle relazioni, consapevole insieme dei lati oscuri della natura umana. Il loro corso di formazione finisce qui, ma ho un po' la sensazione di aver aperto in loro qualche finestra che forse va oltre la ragione per la quale avevano scelto di iscriversi a questo percorso formativo. O, almeno, spero che sia così.
La Spagna prevale piuttosto nettamente sulla Germania. Se la giocherà con l'Olanda e saprò per chi fare il tifo. Sarebbe davvero increscioso che a vincere i primi mondiali del Sudafrica fosse quel paese che nel suo passato coloniale soggiogò l'antica Azania attraverso la dominazione boera (in olandese, contadino) che portò all'apartheid.

 

martedì, 6 luglio 2010L\'incontro in sala Aurora

In una giornata interamente dedicata al Consiglio Regionale, l'unico momento utile e interessante è l'incontro, nella pausa pranzo, con il Gruppo anziani di Lardaro in visita al Consiglio Provinciale. Lardaro è un piccolo Comune della Valle del Chiese, poco più di duecento abitanti. Ma nella Sala Aurora di Palazzo Trentini ci sono almeno una cinquantina di persone.

Periodicamente i consiglieri sono chiamati ad incontrare i gruppi e circoli delle nostre comunità per illustrare loro l'attività del Consiglio provinciale ed oggi tocca a me. Sono cose che faccio volentieri, perché si tratta di un incontro diretto, non mediato dall'appartenenza politica o culturale, come quasi sempre accade quando si va sul territorio. Dove senti il polso di quel che si dice e si pensa fra la gente qualsiasi. Ovviamente dipende anche da te, dalle cose che racconti, da quanto ti spingi a provocare le reazioni di chi ti ascolta.

Cerco di evitare, in buona sostanza, di parlare dei meccanismi di funzionamento delle istituzioni, per cercare invece - ogni volta che mi si presenta questa opportunità - di proporre argomenti diversi e che immagino possano destare una qualche attenzione. E così questa volta parlo con loro di una cosa che mi preoccupa e che immagino possa toccare nel vivo queste persone un po' avanti con l'età. Gli parlo della solitudine, del fatto che si vive in un presente privo di memoria del passato e di visione per il futuro. Per esempio di quanto ci siamo dimenticati in fretta che il Trentino fino all'inizio degli anni '70 era terra di emigrazione, che la nostra è una storia di migranti perché in Trentino non c'era di che vivere.

Questo mi permette di parlare di molte altre cose. Del tema dell'autonomia, di una Regione che ha ormai esaurito il proprio ruolo e del fatto che il secondo statuto di autonomia è stata la chiave di volta della ricchezza di questa terra. Dell'educazione permanente, perché senza la capacità di meditare sul passato non saremo nemmeno in grado di costruirci futuro, ma soprattutto perché in un contesto di profondi cambiamenti, solo una comunità consapevole è in grado di affrontare le nuove sfide che il tempo ci pone. Dei temi dell'interdipendenza e della necessità di mettere a fuoco quel che accade, che non corrisponde esattamente all'informazione gridata dei giornali. Di che cosa significa occuparsi di ambiente e di pace. E infine del significato di fare politica, ovvero quella dimensione che dovrebbe far sentire meno sole le persone. Della partecipazione nelle nostre comunità, in tutte le loro forme.

Vedo che le persone mi seguono con molta attenzione, in molti annuire alle mie argomentazioni, altri intervenire o fare domande. Così parliamo delle mozzarelle blu, della legge sulle filiere corte e sull'educazione al consumo, oppure dei tentativi di privatizzazione dell'acqua, del referendum nazionale e delle nostre prerogative autonomistiche sulle quali stiamo lavorando.

Mauro Larentis, il funzionario del Consiglio provinciale incaricato delle visite guidate, è visibilmente soddisfatto. Non so come si svolgono gli incontri con gli altri consiglieri, ma credo che questo lavoro di avvicinamento dei cittadini alle istituzioni sia tutt'altro che banale. L'incontro si conclude con un forte applauso e con molte persone che si avvicinano per complimentarsi, il che ovviamente non può che far piacere, soprattutto se penso a quanta avversità verso politica ed istituzioni c'è in giro.

Ritorno in Consiglio regionale. Si trattano una serie di mozioni, ma la sensazione è di essere di fronte ad un rituale stanco ed inutile, al di là del merito di ciascun argomento. Che poi viene trattato con la superficialità dell'improvvisazione e spesso della demagogia, come nella discussione sulla mozione dei Verdi contro la realizzazione della terza corsia sull'A22. Cosa giusta, sia chiaro, ma che scatena una discussione che porta la Lega e la destra italiana a sostenere insieme alla terza corsia anche il completamento della Valdastico. Si discute, ma in realtà il confronto non c'è, semplicemente perché uno può dire le cose che vuole e non c'è un barlume di onestà intellettuale. La mozione per dire no alla terza corsia viene approvata, ribadendo così un orientamento che già nelle passate legislature è stato affermato.

Nelle mie considerazioni non vuole esserci alcun intento contro le nostre istituzioni, ma l'urgenza di mettere mano all'assemblea regionale e a quel che ne discende è davvero inderogabile.

 

lunedì, 5 luglio 2010Elisabetta Vindimian

Giungo a Lavis un po' prima dell'orario di inizio della riunione del Circolo del PD. Ne approfitto per fare due passi nel centro storico del borgo che, da questo angolo visuale, appare in una luce diversa in tutto il suo fascino. Passo a salutare un tiglio, è in buona salute. Non sono andato di testa, quell'albero nel cuore di Lavis ricorda Elisabetta Vindimian, amica scomparsa l'8 febbraio 2004 ad Asmara mentre partecipava ad un periodo di conoscenza e di volontariato dedicato allo sviluppo locale di quel paese. Elisabetta era una persona di scienza che lavorava all'Istituto Agrario di San Michele, un'amministratrice della sua comunità, una volontaria in terre lontane e tante altre cose ancora. Ricordo come fosse ieri la telefonata che arrivò a casa in tarda serata per avvertirmi che una strana malattia s'era portata via da un giorno all'altro Elisabetta. Lo sgomento di quelle ore era grande come negli anni successivi il vuoto che la sua morte ha lasciato nelle persone che gli volevano bene e nella sua comunità.  

Nella piccola sede del Circolo del PD intitolato alla sua memoria, una foto testimonia il suo sguardo vivace che ci accompagna nella riunione dedicata ai temi ambientali. Ricordo le discussioni con Elisabetta proprio sul tema del ciclo dei rifiuti e dell'inceneritore, della sua competenza scientifica che ci aiutava a capire ragioni e limiti di una scelta controversa di cui ancora oggi continuiamo a discutere con sofferenza. Divisi fra il senso di responsabilità di cui dobbiamo farci carico e il ritrovarci a rincorrere l'emergenza con scelte tecnologiche invasive e che rischiano di indurre alla deresponsabilizzazione delle comunità verso il tema della prevenzione e del riciclo.

Della necessità di un approccio ai temi ambientali che non sia quello emergenziale discutiamo nella riunione del circolo. Ne sanno qualcosa a Lavis e nella Piana Rotaliana, dove il tema dell'inceneritore è stato agitato all'inverosimile durante la recente campagna elettorale da parte del centrodestra, giocando sulla paura. Questo significa parlare di modello di sviluppo del Trentino, delle scelte urbanistiche e della dislocazione delle funzioni, di un approccio moderno sulle questioni della mobilità da intendere in primo luogo come investimento sulle autostrade informatiche piuttosto che su quelle d'asfalto, di prevenzione dei rifiuti... E di un diverso approccio culturale che ha a che vedere con il senso del limite, con il concetto di sostenibilità (ma anche con la sua progressiva banalizzazione), con il tema della sobrietà.

E' un bel circolo quello del PD di Lavis, con voci e sensibilità diverse fra loro, ma esigente e stimolante. E così sono da un bel po' passate le 11 di sera che siamo ancora lì a discutere. Nei fatti è già iniziato il confronto che ci porterà il 24 di ottobre prossimo alle prime elezioni dirette delle Comunità di Valle. Ed è questa infatti la cornice nella quale iscrivere anche la discussione di stasera, un confronto che anticipa i temi che dovranno caratterizzare la costruzione dei programmi delle Comunità. Sui temi ambientali dovremmo smetterla di rincorrere gli avvenimenti, piuttosto organizzare un'offensiva ponendo con forza le questioni in un'ottica di responsabilità e di prospettiva. Quel che dovremo fare anche per quanto riguarda la vicenda delle acciaierie di Borgo Valsugana.

 

sabato, 3 luglio 2010immagini africa

Trentasette gradi all'ombra, niente male. Il parco dove si svolge la Festa multiculturale di Parma, intitolato al combattente di Spagna Fortunato Nevicati, attenua un attimo la calura estiva. Sono qui per un incontro di presentazione di "Darsi il tempo" con gli attivisti di Tulime, una rete di esperienze di diverse regioni italiane che operano in Tanzania. Penso ad una piccola realtà e mi ritrovo in un sabato pomeriggio di luglio, mentre si gioca nei mondiali sudafricani "Argentina vs Germania", una quarantina di persone, prevalentemente giovani e con tanti bambini appresso, a discutere con me sul significato di fare cooperazione oggi.

Solo qualcuno di loro ha avuto la possibilità di leggere il nostro libro, Francesco Picciotto (che viene da Palermo e che di Tulime è il presidente) dice di averlo trovato per caso in uno degli stand di "Terra Futura" a Firenze e di avervi trovato immediatamente una forte empatia con le cose che da tempo andava pensando. E' la stessa cosa che mi dice alla fine dell'incontro Cesare Boldrini, referente per la Lombardia, che mi ringrazia per aver dato voce alle cose che aveva dentro. Lui il libro lo acquista ora, ma nelle mie parole si è ritrovato pienamente.

Piovono molte domande. Vi si legge la preoccupazione che di fronte alla complessità del nostro tempo e che cerco di mettere a fuoco non possa prevalere lo sconforto, l'impotenza. Insisto molto con loro sulla necessità di non rincorrere gli avvenimenti, di dotarsi di una capacità di sguardo piuttosto che farsi travolgere dal fare. Nel loro confronto di questi giorni stanno ragionando se e come dare struttura alla rete di volontariato che rappresentano, insomma se fare il salto verso una dimensione più organizzata o se invece mantenere la loro attuale leggerezza. Ma per tutti loro il concetto di "cooperazione di comunità" corrispondente esattamente all'idea che hanno maturato di costruire relazioni fra territori e forse più vicino alla sostenibilità del "piccolo è bello", di cui pure intuiscono il limite.

Qualcuno di loro mi chiede se quel che proponiamo non sia un modello più adattabile in paesi storicamente dotati di una maggior articolazione politica ed istituzionale come potrebbero essere i Balcani piuttosto che in realtà ai margini dello sviluppo come la Tanzania o il continente africano. Provo a rispondere con un chiarimento e una domanda. Il chiarimento è che noi non abbiamo affatto proposto un modello di cooperazione ma semplicemente un diverso approccio, rispettoso di ogni diversità, attento verso ciò che è accaduto, curioso verso le culture e i saperi locali. Che prima di proporre sa darsi il tempo per ascoltare. La domanda parte dal fatto che non sono mai stato in Tanzania. Ma conoscendo i rapporti che questo paese ha con la Cina, chiedo loro quel che si vende nei centri commerciali che sorgono come i funghi anche in Africa. Viene fuori che le dinamiche dell'economia mondo attraversano anche quel paese, distruggendo le culture e le produzioni locali. Viene fuori il tema dei giacimenti di uranio di cui è ricco quel paese, esponendolo così alla guerra per il controllo di tale risorsa. Insomma, sono le loro testimonianze a far emergere l'interdipendenza di cui andiamo parlando, la modernità dei processi che attraversano il mondo intero rendendo vecchie e inservibili le categorie con le quali abbiamo letto sin qui la realtà e che ancora vorrebbero che dal nord si trasferissero aiuti al sud. Secondo una logica neocoloniale e senza mai interrogarsi sulla sostenibilità del nostro modello di vita.

Sono le stesse domande che proprio ieri mi poneva Roberto Paolazzi, giovane trentino ma con alle spalle già qualche anno di lavoro con le Brigate Internazionali di Pace in Colombia. Esperienza che ora vorrebbe mettere a frutto nella sua comunità. Ma anche in Trentino, nonostante le nostre idee abbiano avuto una qualche cittadinanza, pensare alla cooperazione come strumento delle comunità per attrezzarsi ai processi dell'interdipendenza non è niente affatto scontato. Anche negli enti locali che abbiamo coinvolto in questi anni, prevale ancora l'approccio dell'aiuto materiale e del buon cuore. E dell'immagine che ne può venire. Si possono elaborare le leggi più avanzate, ma poi se non cambia la cultura, siamo sempre lì, all'esibizione della santa povertà. Avremo invece bisogno di accompagnare le nostre comunità nei percorsi della conoscenza e della complessità, per imparare ad abitare il nostro presente. Occorrerebbero figure di animatori di comunità, costruttori di relazioni in ognuno dei nostri comuni, per aprire gli occhi sulle trasformazioni che cambiano le nostre vite, ma ancora si preferisce mettere qualcosa in bilancio per i poveri. In realtà è una forma di ipocrisia che avverto sempre più insopportabile. Ne parlo perché penso che quello sarebbe un modo per mettere a frutto persone ed esperienze come quelle di Roberto. A cui faccio dono di una copia del nostro libro sulla cooperazione (che non conosce) e restiamo che ci rivedremo a breve proprio per un rimando sulle cose che io e Mauro abbiamo scritto.

Di cooperazione e di Balcani, nella mattinata di venerdì, ho parlato anche con Damir Šalov, vicepresidente di "Autonomia dalmata", di Split (Spalato). Una piccola formazione politica della Dalmazia, che ha deciso di rivolgersi al PD del Trentino per avere una qualche forma di aiuto, proprio a partire dalla nostra esperienza autonomistica. Il giorno precedente si era incontrato con il Coordinamento del PD del Trentino e, non avendo fatto in tempo a parteciparvi, gli avevo proposto un incontro supplementare. Gli fa ovviamente piacere trovare finalmente qualcuno che della vicenda jugoslava ne sa qualcosa. Con Damir ci intendiamo velocemente e sorride ogni volta che entro nei dettagli della loro storia, aggiungendo aneddoti - lui che ha una certa età - sul suo paese di un tempo. Mi sembra una bella persona e gli dico che andrò a trovarlo a Spalato alla prima occasione. Anche se la mia libertà di movimento oggi è un po' limitata. Come mi mancano i miei viaggi balcanici...

A Parma l'incontro si conclude verso le diciannove. Esaurisco le copie del libro che mi sono portato, molte strette di mano e ringraziamenti per lo sguardo proposto e la richiesta di tenersi in contatto. Chiedo a qualcuno di loro se si hanno notizie dai mondiali di calcio e non posso credere che la Germania abbia umiliato in questo modo l'Argentina di Maradona. Può sembrare strano ma tifo per il Napoli da quando ero un ragazzino, ai tempi di Sivori e Altafini. Quando arrivò Diego, lo scudetto accompagnò il riscatto di quella città. Una stagione indimenticabile. E Maradona ne era il simbolo, in tutta la sua contraddittorietà.

 

giovedì, 1 luglio 2010Prijedor 1992, campo di concentramento di Trnopolje

Rientro a Trento e sul traghetto che ci porta a Piombino mi metto a scrivere una nuova "Lettera agli amici", il terzo rapporto semestrale sulla mia attività di consigliere e dintorni (se non avete ricevuto quelle precedenti e intendete riceverla non avete che da segnalarlo indicando il vostro indirizzo mail nel commento). Intanto sono solo degli appunti, per una successiva stesura più completa. Un esercizio che in qualche modo cerca di ricostruire una sintesi ragionata di questo stesso diario quotidiano, per cercare di mettere a fuoco il significato di un lavoro politico ed istituzionale che, nel rincorrersi degli avvenimenti e nel clamore di una politica sempre più gridata, rischia di sfumare.

Quando l'autonomia del pc portatile comincia a scarseggiare (e per non perdere del tutto il piacere di stare al sole), mi prendo un tavolino sul ponte della nave e un libro, Un terribile amore per la guerra di James Hillman. Il vecchio saggista, psicanalista e filosofo statunitense, in quello che - come lui stesso scrive - «suppongo sarà il mio ultimo libro», ci propone un testo che tocca il mio sentire più profondo in ordine ad un tema - la normalità della guerra - sul quale nei mesi scorsi ho iniziato a lavorare. Ma nel marasma di cose che attraversano la mia vita e il mio impegno avrei bisogno di un tempo supplementare. Che spero prima o poi possa arrivare.

In ogni caso è un campo di indagine di questo mio stesso impegno. Non a caso, la citazione che ho posto in apertura del programma del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani è una frase dello scrittore colombiano Estanislao Zuleta che affronta esattamente questo tema, tanto complesso, quanto doloroso, la "felicità della guerra". Quel che i pacifismi sono soliti tacere, che rappresenta invece il nodo cruciale che accompagna l'umanità da quando se ne ha memoria. E che ci siamo riproposti di indagare, serenamente e severamente, perché - come scrive Zuleta - «solo un popolo scettico sulla festa della guerra, maturo per il conflitto, è un popolo maturo per la pace».

Che Hilmann affronti, infine, questo tema lo considero davvero un regalo. Almeno per me è così. Ogni volta che ho provato ad affrontare pubblicamente questo argomento, ho visto facce stupite, talvolta indispettite. Come a dire "Dov'è lo scontro fra il bene e il male?" O anche "Dove stanno le colpe?". Indagare sulla "felicità della guerra", sulla sua "normalità" per restare a Hilmann, vuol dire indagare su di noi, sul "criminale che è in ciascuno di noi", oppure sulla "banalità del male" o, ancora, sull'incapacità di elaborare i nostri conflitti. Limitandosi ad affrontare - come fanno i Tribunali penali internazionali - la dimensione della colpa criminale, dimenticandosi che così lasciamo inevitabilmente sullo sfondo - per usare l'espressione di Karl Jaspers - la colpa politica e quella morale. La colpa collettiva, cioè, quella che talvolta va sotto il nome di falsa coscienza oppure di indifferenza, ma anche di complicità o di aperto sostegno. O pensiamo che le dittature che abbiamo conosciuto nel Novecento siano state il prodotto del fato e non invece dell'ampio consenso che godevano fra la gente comune?

Divoro le pagine del libro, ma siamo già a Piombino. Il mostro metallico che ci accoglie mi riporta, per così dire, a casa. Sono i simboli di un'idea dello sviluppo nel quale nemmeno si poneva il senso del limite, essendo tutto possibile e nelle nostre disponibilità. Eppure quei simboli sono stati l'emblema del lavoro, della forza dell'uomo che dominava la natura, di un'emancipazione che veniva intesa come liberazione e che si è disvelata nel suo esatto contrario, ovvero la subordinazione dell'uomo alla cosa. Ne dovremo parlare nei prossimi giorni quando affronteremo il tema delle acciaierie di Borgo Valsugana e del futuro sviluppo di quella valle. E non sarà facile, perché anche in questo caso la realtà non è affatto in bianco e nero.

Quando dopo qualche ora arrivo a Trento, faccio un salto a casa e poi corro in ospedale, dov'è ricoverata Maria Pia Ciresa. Una cara e vecchia amica, compagna di tante battaglie, che nei primi anni novanta non aveva esitato a mettersi insieme a tanti altri compagni di viaggio su un pullman fino ad arrivare nel cuore della Sarajevo assediata dalla guerra. Maria Pia, che pure in questi ultimi anni ha saputo dar prova di che fibra speciale era fatta, ora si sta spegnendo. Ma quando entro nella sua stanzetta, il suo sorriso mi accoglie, come sempre è accaduto in questi anni nei quali pure si è silenziosamente accomiatata dal mondo degli umani. Ed è per me il migliore dei regali. Ora che ci penso, il secondo di questa afosa giornata di luglio.