"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

15/09/2011 -
Il diario di Michele Nardelli
il manifesto per il riconoscimento alle NU
I colori dell'alba mi trovano già sveglio. I primi chiarori del mattino dipingono prima di giallo chiaro e poi di rosa la roccia delle colline intorno a Betlemme. Quelle, s'intende, che ancora non hanno conosciuto il folle e disperato inurbamento che in pochi anni ha cambiato il volto di questa terra.

Finisco di scrivere qualche appunto per la giornata, una doccia e via. Quel che però non faccio sono i conti con l'imprevisto e la fragilità. Evito per miracolo di spezzarmi l'osso del collo scivolando nel piccolo bagno dell'albergo e me la cavo con una forte contusione all'alluce che in breve diventa bluastro. Durante la giornata il dolore si farà sentire.

Ad ogni modo alle otto in punto partiamo per Ramallah. Con Micaela abbiamo deciso di non accompagnare la carovana, per partecipare invece ad un evento inusuale: il dibattimento che vede coinvolti i nostri amici del Park (la principale Ong palestinese che si occupa di agricoltura e microcredito) e il ministro Ismail Daiq. Il taxi che ci porta da Beit Sahur a Ramallah sfreccia fra barriere di ogni tipo, posti di blocco, muri e filo spinato. Quando arriviamo nella città diventata capitale palestinese pur essendo fino a vent'anni fa poco più che un villaggio, l'accoglienza è calorosa, perché in un momento così delicato la vicinanza umana non è scontata e vale più di ogni altra cosa.

Quel che appare chiaro è che ci si trova di fronte ad un processo che con la corruzione non ha nulla a che fare. Potrei volgere lo sguardo altrove, tanti sono i problemi di cui la popolazione palestinese soffre. Credo invece che sia bene parlarne, perché sentirsi vicini ad un popolo non significa nascondere sotto il tappeto tutte le magagne che lo attraversano. Quasi che la solidarietà dovesse farci chiudere gli occhi sulle dinamiche di potere che troviamo qui come altrove e forse ancora più dure perché accentuate dal contesto conflittuale e violento che ne fa da sfondo. Avere consapevolezza di quel che accade nell'aspra dialettica politica palestinese non è affatto banale.

E poi l'idea che "i panni sporchi si debbano lavare in casa" è vecchia come il mondo, ma sempre sbagliata. Non c'è un prima e un dopo, ora che tutto l'impegno è concentrato sul riconoscimento della Palestina come stato "non membro" (l'opzione più probabile su cui sta lavorando la diplomazia palestinese) all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Se non vogliamo che la scelta di dar vita ad uno Stato palestinese - di per sé controversa, ma questo è un altro tema di confronto ancora - diventi un incubo è bene che questo "stato" sia di diritto, dove cioè la cittadinanza prescinda dalla nazionalità e dal credo religioso di chi vi risiede, e dove i diritti della persona siano tutelati.

E' la prima volta che mi trovo in un tribunale di un paese che ancora non c'è e devo dire che l'esperienza è davvero interessante. Nonostante abbiano invitato la gente a starsene a casa, almeno un centinaio di persone affollano la sala del tribunale: mi colpiscono i volti di questi vecchi palestinesi che hanno qualcosa in comune con gli ulivi che coltivano.

La città di Ramallah è tappezzata di grandi manifesti che richiamano la richiesta di riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite, pur nella consapevolezza di tutti che questo non comporterà necessariamente una migliore situazione. La scelta di un "riconoscimento minore", l'opzione di stato non membro, parte dal fatto che gli Stati Uniti, nonostante le dichiarazioni iniziali di Obama andassero in direzione opposta, nel Consiglio di sicurezza dell'ONU porranno il veto. E' il peso della lobby ebraica che nei giorni scorsi ha mandato ai democratici un segnale molto chiaro con il voto che a New York ha assegnato ai repubblicani un seggio considerato tradizionalmente democratico.

La partita che si gioca in questa parte del vicino oriente è davvero complessa. Richiederebbe una classe dirigente capace di mettere in campo idee nuove, visto che le opzioni fin qui seguite non hanno portato che ad un progressivo peggioramento della situazione. Ne parliamo in un incontro con il ministro Daiq e i suoi collaboratori, persone con il volto scolpito dalla storia di questo paese, dopo che l'udienza è stata sospesa per la ricusazione della corte.

Mentre penso al ruolo che la primavera araba sta svolgendo nel ricambio politico dei paesi della regione, sono loro ad introdurre questo argomento. Come avessero la percezione che per uscire da questa situazione occorra anche qui una grande primavera nonviolenta.

Ci accordiamo sui prossimi passi nelle relazioni fra i mondi agricoli, ad ottobre arriverà in Palestina una nuova delegazione composta da soggetti economici del nostro territorio per consolidare rapporti e verificare le condizioni per implementare iniziative economiche che implichino sviluppo locale e valorizzazione dei prodotti del territorio. In questo quadro, incontro un gruppo di agricoltori di Gaza che producono fragole nella stagione invernale e che chiedono di venire a farci visita.

Ci lasciamo alle spalle Ramallah e ci spostiamo verso Gerusalemme, dove dobbiamo incontrare il responsabile della cooperazione italiana e i suoi collaboratori. Nel tragitto ci attende la dolorosa esperienza di passare da Calandia, la barriera interposta fra Israele e territori dell'ANP. Un labirinto di lamiere sotto un sole cocente, da attraversare con un'ora di fila con donne, uomini e bambini che quotidianamente devono fare questa umiliante trafila. Penso fra me che solo l'uomo sa costruire questi orrori, per se stesso e per gli altri esseri viventi.

Abbiamo solo un'ora di tempo prima del nostro appuntamento, iI tempo per due passi in una città vecchia ormai famigliari. Passiamo davanti a Zalatimo, non c'è il tempo per assaggiare una delle sue famose sfoglie alle noci o al formaggio. Scorgo all'entrata dell'antico locale padre e figlio con le mani in mano, un'immagine del tempo che scorre e del loro esserne inesorabilmente fuori.

Alla cooperazione italiana illustro al direttore dell'ufficio Silvano Tabbò le attività della comunità trentina in Palestina. Con lui c'eravamo visti qualche mese fa, dopo la visita del presidente Dellai ed ora facciamo un aggiornamento generale del programma di relazioni della PAT, della collaborazione con la cantina di Cremisan e della realizzazione di una piccola cantina ad Aboud, delle attività di "Pace per Gerusalemme" che proprio in questi giorni vede insediarsi sul territorio di Beit Jala Giulia Schirò. Si delinea una positiva collaborazione, anche se c'è la comune consapevolezza di quanto male sia ridotta la cooperazione governativa.

Lo sguardo incrociato con la situazione italiana viene fuori di continuo... la sproporzione fra quel che sarebbe necessario e il vuoto della politica italiana è davvero desolante.

 

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