"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

01/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Papavero rosso
Partecipo alla festa del primo maggio che si svolge alle gallerie di Piedicastello a Trento e al dibattito che ne segue sul tema della pace e del lavoro. Temi che possono sembrare scontati ma che non lo sono affatto, perché pace e lavoro, tranne qualche eccezione, non si sono affatto incontrati. Nel Novecento il paradigma dello sviluppo ha inglobato il PIL della produzione bellica, senza per nulla interrogarsi di come quello sviluppo avesse a che fare non solo con la guerra (e la distruzione che porta con sé) ma anche con modelli di sviluppo che avevano come presupposto una distribuzione delle risorse globali profondamente iniqua.

Quante volte l'impegno per la pace si è scontrato con i lavoratori e le loro rappresentanze sulla produzione bellica. Ed anche oggi, di fronte al programma di dotare l'esercito italiano di 131 cacciabombardieri di ultima generazione F35 (poi ridotto a 90 dal governo Monti), siamo sempre lì: il sostegno all'industria (Finmeccanica), all'occupazione e al lavoro (lo stabilimento per l'assemblaggio in provincia di Novara, l'indotto...), alla crescita e al PIL che ne vengono. Lo sviluppo delle forze produttive... erano e sono le armi pesanti della Oto Melara, i sofisticati strumenti elettronici della Selenia, gli armamenti leggeri della Beretta, le mine antiuomo di cui l'Italia era fra i paesi maggiormente esportatori. E, lo dico con rammarico, non mi pare che il sindacato sia stato in prima fila per dire no ai cacciabombardieri, e nemmeno in seconda. Che oggi se ne parli insieme alla Cgil in questo primo maggio trentino è già qualcosa.

Sono tornato dall'Abruzzo con la netta sensazione della solitudine. Lì, certo, ho trovato delle persone splendide con le quali è stato semplice entrare in sintonia, come se fossimo in dialogo da chissà quanto tempo. Ma queste persone sono prive di rappresentazione e la politica appare loro lontana, molto lontana. Anche quella di una sinistra che non sa o non vuole ripensare le proprie categorie di pensiero, né le forme del proprio agire. Difficile immaginare in queste regioni una politica che nasca dal territorio invece che essere emanazione di partiti nazionali, del tutto incapaci di pensarsi territoriali ed europei.

Una solitudine che avverto anche qui, non certo perché sono l'unico consigliere provinciale ad essere presente. Mi sento solo anche rispetto ai compagni che affollano le gallerie e con i quali mi trovo a discutere nei capannelli a conclusione della presentazione della mostra fotografica "L'odore della guerra". Rituali della nostalgia, che diventano archeologia politica come le canzoni del Coro Bella Ciao che pure ho cantato mille volte ed oggi fatico a sentire mie.

Il fatto è che dal Novecento non si vuole uscire, che si preferisce il rito alla riflessione, specie quella più esigente che chiede di indagare sulle sue tragedie. Come quel sistema concentrazionario che aveva come luogo centrale la città di Arkhangelsk, i cui esponenti vengono invitati in pompa magna proprio in questi giorni dalle nostre istituzioni senza neppure sapere quel che ha rappresentato quella città nel più grande genocidio che la storia abbia mai conosciuto. Possibile che nessuno dei nostri consiglieri abbia mai letto Arcipelago Gulag o i Racconti di Kolyma, Aleksandr Solzenicyn o Varlam Salamov? Ci tornerò su questa cosa, perché davvero m'indigna profondamente.

Pur sotto la pioggia battente la città di Trento è affollata di gente che partecipa agli incontri promossi nell'ambito del Filmfestival internazionale della Montagna. Uno di questi racconta la "transumanza della pace" che gli amici Roberta Biagiarelli e Gianni Rigoni Stern, la Federazione degli Allevatori del Trentino e la Provincia Autonoma di Trento, hanno reso possibile con l'incontro fra la  Valle Rendena, l'Altipiano di Asiago e le colline intorno a Srebrenica, in Bosnia Erzegovina. Anche questa città, che Roberta si stupisce di vedere così attenta e sensibile, è il primo maggio.  

 

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