"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

02/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Ugo Dalla Pellegrina (Ughetto)
Com'è bella e ricca di colori oggi la città di Trento. Il Filmfestival internazionale della Montagna affolla le strade e le sale cittadine fin dal primo mattino, tanto che accostandosi ad una qualsiasi piazzetta del centro puoi sentire parlare una moltitudine di linguaggi. Non è un caso che il turismo trentino cresce nelle città mentre va maluccio nei luoghi tradizionalmente vocati, il che dovrebbe far riflettere operatori e amministratori nel considerare come, in ogni campo, la differenza risieda nella qualità della proposta.

Al teatro Cuminetti, in quella che un tempo era la grande soffitta di un ex convento e poi ospedale abbandonato, vengono proiettati cortometraggi di ragazzi che parlano del loro rapporto con l'ambiente ed il limite. In questo caso gli idiomi sono quelli delle regioni italiane da dove provengono le scuole che  partecipano al filmfestival e raccontano storie che hanno a che fare con il loro quotidiano smarrimento.

In piazza del Duomo duemila bambini delle scuole elementari disegnano con un grande arcobaleno la loro città della pace. Il Tavolo Tuttopace ci lavora da mesi e il colpo d'occhio che ne viene è davvero molto bello. Provo ad immaginare quel che possono pensare gli ospiti di questa nostra città nell'ascoltare i suoni e nel vedere le danze che riempiono piazza del Duomo. O via Belenzani ornata con i disegni appesi  come altrettanti messaggi di pace.

E' tale l'animazione della piazza che quasi passa inosservato l'arrivo a Trento della Carovana antimafia, che fa tappa nella nostra città per portare il suo messaggio di impegno. Vedo dopo tanto tempo Riccardo Orioles, giornalista che non conosce padroni e che ho conosciuto a Roma venticinque anni fa quando a via Farini nacque la rivista Avvenimenti sulle ceneri di Paese Sera. Pezzi di storia di una sinistra naufragata.

E' da poco passato mezzogiorno quando le vie del centro sono ancora animate dal vociare dei bambini che fanno ritorno alle loro scuole. Non è affatto gazzarra, oggi si sentono protagonisti e responsabili di una città che li ha accolti con il suo Sindaco e anche se la festa si è conclusa distribuiscono ai passanti i loro messaggi a forma di cartolina.

Sono orgoglioso di questa città.

Nel pomeriggio vado a dare un ultimo saluto a Ughetto che alla tenera età di 96 anni ha concluso il suo cammino. Ugo Dalla Pellegrina era il principe dei camerieri e poi gestore del bar di via Roggia Grande che negli anni '70 era diventato il luogo di ritrovo di una generazione che voleva cambiare il mondo. Come spesso accadeva in quegli anni, il bar era una piccola spoon river di una variegata umanità, in questo caso fatta di giovani rivoluzionari e di vecchi balordi. Che si mischiavano, per la verità, senza neanche troppa fatica. Ughetto, impeccabile e gentile, aveva sempre una parola per gli uni e gli altri. Canzonava tutti con le sue filastrocche, ma non era mai sopra le righe e la sua umanità di vecchio socialista lo portava a sorridere delle cose della vita. Quando lo incontravo negli ultimi anni il suo sorriso era diventato amaro, ma lo stile era lo stesso e il papillon non mancava mai.

La storia del bar "da Ughetto" è finita da un pezzo e oggi di quell'umanità rimane ben poco, "ognuno a rincorrere i suoi guai" direbbe il Vasco nazionale.  Malgrado ciò il "Trentino" gli ha dedicato un'intera pagina ed è giusto così perché con Ughetto se ne va davvero un po' della storia di questa nostra città. Grazie, anche da parte di quelli che oggi non c'erano.

Ormai mi sono perso la conferenza di Transcrime, ma l'omaggio ad un uomo gentile era dovuto. Me ne torno in ufficio, dove rimango fino a tardi, fra telefonate, messaggi e incontri. L'ultimo per raccogliere l'indignazione degli esponenti di Pax Christi verso un'Officina (quella che si vorrebbe all'insegna del dialogo in Medio Oriente) che pone veti insopportabili verso chi del dialogo ha fatto ragione di vita. La convivenza, in Palestina come altrove, non ha bisogno di ipocrisia, nemmeno se questa abita i panni della pace e della solidarietà.

 

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