"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

12/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Tradimenti
Non posso nascondere la mia preoccupazione per quel che si sta preparando nel vicino oriente. L'accordo fra il Likud e Kadima che nei giorni scorsi ha portato alla formazione in Israele di un governo di unità nazionale e scongiurato le elezioni anticipate ha una sola spiegazione: l'imminente attacco all'Iran. Che cosa questo potrebbe comportare per la regione ed il mondo intero è difficilmente immaginabile.

In molti confidano che senza un via libera degli Stati Uniti, un'azione del governo israeliano sia piuttosto improbabile, sottovalutando in questo il particolare contesto nordamericano e il peso elettorale della lobby ebraica negli Stati Uniti. Si sa che Barack Obama avversa una soluzione militare nella questione iraniana, ma il suo peso sarebbe certamente maggiore dopo una sua eventuale (probabile) rielezione. E quindi se l'intenzione è quella di sferrare un attacco per distruggere gli impianti (presunti o reali) di arricchimento dell'uranio in Iran hanno tre/quattro mesi per farlo.

L'attenzione in Europa è decisamente rivolta altrove. Crisi economica e finanziaria, tensioni sociali, politica allo sbando, derive terroristiche... fanno sì che nel vecchio continente in crisi le gatte da pelare siano altre e che quel che accade dall'altra parte del mare possa passare in secondo piano. Raccolgo sul web quel che si dice nel mondo, ma questo non fa che confermare il mio stato d'ansia. Tanto per il clima di mobilitazione generale in corso in Israele (il Washington Post paragona questo momento al 1967), quanto per il farsi largo anche nell'amministrazione Usa di posizioni non ostili ad un intervento come quella della signora Clinton o del vicepresidente Biden.

Risulta paradossale che di tutto questo non ci sia traccia nell'Officina Medio Oriente che si aprirà la settimana prossima a Trento. Quasi che non se ne dovesse parlare. Troveremo il modo di farlo, con buona pace delle anime belle. Come dicevamo nell'incontro di giovedì sera, non possiamo ingannarci pensando che quelle rare esperienze di dialogo possano avere chissà quale capacità di contaminazione. Fra elaborazione del conflitto ed euforia della guerra dobbiamo aver il coraggio di ammettere che oggi prevale quest'ultima. E quando si scalderanno i motori e si sentirà lo sferragliare dei carri, sarà ancora peggio. E lo sarà ancora di più quando ci sarà il blocco dello stretto di Hormuz da dove transita ogni giorno un terzo del fabbisogno di greggio del mondo.

Questo ovviamente non significa smettere di lavorare per il dialogo, della cooperazione come terreno di elaborazione dei conflitti credo di essere stato fra i primi a parlarne.... ma oggi è solo la politica che può fermare questa nuova guerra. Sì, la politica, quella vera che si propone di trovare soluzioni per attenuare quel diritto naturale alla supremazia del più forte che costituisce il retroterra culturale del neoliberismo. La politica come ricerca di compromessi, sì di compromessi. La politica, sì quella cosa che schifa gli italiani e questo tempo immaginando che se ne possa fare a meno. Forse avendo in testa il mercato che autoregola la società o lo stato etico che le teste le taglia.

In queste ore mi chiedo che cosa vi sia nei pensieri delle migliaia di alpini che affollano Bolzano. In quel tripudio di bandiere italiane non posso non ringraziare il presidente Durnwalder per l'esempio di accoglienza e di saggezza di cui la comunità sudtirolese sta dando prova.

 

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