"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

24/05/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Nella Vjesnica, la biblioteca nazionale di Sarajevo
Il Castello del Buonconsiglio, ci racconta il suo direttore Franco Marzatico, venne in parte costruito anche con i soldi sottratti alla piccola comunità ebraica di Trento. La pulizia etnica rappresenta dunque un tratto della storia di questa stessa terra e riflettere oggi, a vent'anni dall'inizio di quella tragedia, dell'assedio di Sarajevo non ha affatto i tratti della commemorazione, ma del guardarci dentro, per cercare di comprendere quanto abbiamo saputo imparare dal Novecento e non ultimo dagli sconvolgimenti che hanno investito l'Europa negli anni '90.

La vicenda del "Simonino" e il pogrom che ne seguì (e di cui ho parlato nei giorni scorsi) anticipa e costituisce parte di quello "scontro di civiltà" che porterà alla profonda rottura del Mediterraneo che fino a quel punto rappresentava le tante possibili rotte del sapere e del pensiero prima ancora che degli scambi commerciali. L'anno chiave di questa rottura fu il 1492, con la cacciata degli ebrei e dei mussulmani dalla Spagna. Così gli ebrei "sefarditi" (Sefarad era il nome che gli ebrei avevano dato alla Spagna) si ritrovarono nei luoghi chiave di queste rotte, fra Alessandria, Costantinopoli e Sarajevo.

Quando, nell'agosto del 1992 (esattamente cinquecento anni dopo) andò in fumo la Vijesnica (la biblioteca nazionale di Sarajevo) non bruciarono solo due milioni di volumi (alcuni dei quali testimoniavano questa storia europea), bruciava l'Europa, quell'Europa che "si fa o si disfa a Sarajevo". E' di questo che parliamo nella serata dedicata alla presentazione del "Libro dell'assedio" con uno dei maggiori scrittori di quella città, Dževan Karahasan. La sua testimonianza è un soffio di cultura, quando racconta che la sua strategia di difesa della città non erano le armi ma... la commedia. Non è un caso che abbiamo voluto la foto di un matrimonio scattata negli anni dell'assedio nel cuore della città come sfondo del manifesto della serata. Quella foto di Kristanović (reporter scomparso nei giorni scorsi) ci narra di un particolare che solo un osservatore attento riesce a cogliere: un telo posto al limite della via per impedire ai cecchini di avere facili bersagli. Perché era la vita la risposta di civiltà alla guerra e all'assedio.

Come a Gaza. Come i giovani di Gaza che gridano "vogliamo vivere" nel loro manifesto. Che non l'abbia compreso proprio il popolo vittima della Shoah, ci dice di un cortocircuito della storia. Ma ne abbiamo già parlato nei giorni scorsi.

La sala del Castello è affollata, nonostante la concomitanza di altre manifestazioni. Prima di Karahasan intervengono Andrea Rossini, giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso che presenta un filmato sulla Bosnia vent'anni dopo, e Piero Del Giudice che questo libro ha curato. Le domande che vengono rivolte allo scrittore sarajevese e agli altri relatori sono in piena sintonia con il significato dell'incontro, su quanto ha saputo opporsi le città all'imbarbarimento e alle mafie, sul censimento etnico, sullo scenario europeo per la regione balcanica (e per noi). Provo a dire che dovremmo finalmente imparare dalla storia e che la strada non può che essere l'elaborazione dei conflitti, senza la quale le guerre non finiscono mai. Finiamo che è quasi mezzanotte e la sensazione che mi porto via è che un piccolo contributo ad uno sguardo non banale e non emergenziale, sul presente lo abbiamo dato.

Siamo un po' tutti sfiniti ma decidiamo di andare a mangiare qualcosa. E' l'occasione per una bella conversazione con Karahasan visto che da prima non ci conoscevamo. Ed è stupito di come io conosca il suo paese, la sua storia, la sua letteratura. Quando arrivo a casa sono le una e mezza del mattino. Giornate infinite.

Già, perché mi dimenticavo di dire che fin dal mattino e per tutto il giorno c'è stata riunione del Consiglio provinciale. Niente da segnalare se non una leggina sulla caccia che la lobby dei cacciatori è riuscita a fare passare, quand'anche mitigata dalla riscrittura dell'articolato da parte del Presidente Dellai. L'oggetto è l'addestramento dei cani da caccia e la possibilità di avvalersi di accompagnatori, ovvero una forma surrettizia per allargare le maglie dell'attuale legge provinciale. Annuncio il mio voto contrario e la libertà di voto per il gruppo consiliare del PD del Trentino. Ha ben voglia il consigliere Eccher, cacciatore, a dire che questo provvedimento con la caccia non centra. Come se le prede per l'addestramento non fossero esseri viventi, quand'anche allevati in batteria. Oggi la caccia non ha nulla a che vedere con il primordiale bisogno dell'uomo di nutrirsi, è solo un divertimento con altre vite. Nemmeno se ne rendono conto, tanto è inossidabile il loro antropocentrismo. Alla fine saranno 4 i voti contrari (oltre al mio voto quello di Bombarda, ma anche Ferrari e Civico del PD) e qualche astensione (altri consiglieri del PD), ma le maggioranze intorno al tema della caccia sono ampie e trasversali.

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*

Link ad altri siti

  • link al sito Sifr - la solitudine della politica
  • osservatorio balcani
  • viaggiare i Balcani
  • link al sito Forum trentino per la pace e i diritti umani
  • Sito nazionale della associazione Sloow Food
  • link al sito dislivelli.eu
  • link al sito volerelaluna.it
  • ambiente trentino
  • pontidivista
  • Sito ufficiale della Comunità Europea