"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Mondo

Conferenza Internazionale sulla giustizia climatica
Claude Monet, Ninfee

Inaugurazione del nuovo centro di Eccellenza Jean Monnet sulla Giustizia Climatica all'Università di Padova. Martedì 1 giugno 2021, ore 11.30. I lavori si svolgeranno in remoto sulla piattaforma Zoom.

La conferenza oltre ad inaugurare il nuovo Centro Jean Monnet dell'Università di Padova (uno dei pochi centri al mondo su queste tematiche e l’unico in Italia) sarà soprattutto un momento per riflettere sulla giustizia climatica.

Nella sessione del mattino (ore 11.30 - 13.30) José-Lorenzo Valles, Head of Unit dell’EACEA presenterà le prospettive delle inziative Jean Monnet nel periodo 2021-2027.

Avremo la presenza di Vandana Shiva che affronterà la tematica delle relazioni tra giustizia climatica e territori e delle pratiche agricole svincolate dai combustibili fossili (terra non petrolio).

La sessione del pomeriggio (15.30 - 18.30) sarà dedicata alla costruzione del dialogo tra ricerca e società civile affrontando i luoghi e le sfide della giustizia climatica con la presenza di ricercatori e di organizzazioni della società civile italiane, europee dell’Africa dell’America Latina.

La conferenza sarà in inglese con interpretariato in lingua italiana e spagnola.

 

per partecipare compilare il form:

https://www.climate-justice.earth/2021/05/18/international-conference-on-climate-justice/

Rovesciamenti
Lifta, Gerusalemme

«Tempi interessanti» (114)

In queste ore mi chiedo come sia stato e sia possibile il capovolgimento della verità, tanto da far diventare aggressori gli aggrediti. Potremmo darci le solite risposte più o meno corrispondenti ai nostri schemi interpretativi, scomodando il ruolo delle grandi potenze piuttosto che l'azione degli apparati del consenso o dell'influenza delle lobbies economico-finanziarie. Che pure ci sono e non sono di certo estranee in quella che Nelson Mandela definiva la più grande questione morale del nostro tempo. Al tempo stesso credo che sulla tragedia che si consuma dal 1948 nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo si possa misurare oltre ogni immaginazione la falsa coscienza dell'Occidente. O forse pensiamo che quel che sta avvenendo in queste ore nel Vicino Oriente sia dovuto all'odio primordiale fra arabi ed ebrei? No, non c'è nulla di più falso di questa contrapposizione di comodo.

Perché arabi ed ebrei, di comune origine semita, sono state nella storia popolazioni culturalmente affini. Protagonisti, insieme, delle antiche civiltà orientali, alle quali dobbiamo le prime forme di urbanità e di architettura civile, la nascita delle religioni monoteiste, le magnificenze e i saperi dell'età dell'oro che creò i presupposti – grazie all'espansione araba nel Mediterraneo e al grande movimento delle traduzioni1 – dello stesso rinascimento europeo. Semmai lungo questa storia comune arabi ed ebrei sono state vittime degli stessi oppressori che hanno esercitato nei loro confronti logiche di dominio, crociate e guerre di religione, colonialismo e suprematismo razziale. ...

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Il Concerto di Baghdad. Un omaggio al maestro Franco Battiato
Concerto di Baghdad

Quello che qui potete vedere è il filmato del “Concerto di Baghdad” di Franco Battiato. Realizzato il 4 dicembre 1992 al Teatro nazionale di Baghdad, il concerto si svolse in prossimità della prima guerra del Golfo che fece precipitare quel paese in una condizione di profonda sofferenza. 

Il concerto era parte dell'iniziativa umanitaria per l'infanzia irachena promossa da Un ponte per Baghdad. La sua realizzazione fu possibile grazie alla mediazione di Ali Rashid, allora vice ambasciatore palestinese in Italia. Ad accompagnare Franco Battiato, l'Orchestra dei Virtuosi Italiani e dall'Orchestra Sinfonica Nazionale irachena, con la direzione di Mohammad Othman, Antonio Ballista e Giusto Pio.

https://youtu.be/otuDAwqOE20 

In nome del nostro albero di melograno
La posa del melograno nel parco delle Predare a Trento

di Razi e Soheila Mohebi


"A volte uno non si cura dei passeri e non sente quello che hanno da dire.

A volte non si cura di sentire il suono di flauto del pastore e non distingue le voci delle pecore e degli agnelli

e non si capisce cosa vogliono dire e poi arriva anche la volta in cui non sente più i sospiri e i gemiti delle altre persone.

L'esperienza della massimizzazione , sempre al suo apice, è possibile solo per l'uomo in guerra.

"Guerra significa massimizzare tutto."

Il nostro asino nero e altre Memorie di Jaghoori

Afghanistan

 

Mi viene da dire che tutto sia andato ad una velocità atroce, ma poi mi fermo sul mio pensiero: sapevamo fin dal lontano 2011, quando siamo partiti con una equipe della FilmWork sostenuta a sua volta dal Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani, per girare il primo episodio di "Afghanistan 2014 campo lungo".

Il film racconta la prospettiva della comunità internazionale dopo il loro ritiro delle truppe dall'Afghanistan. Abbiamo percorso le nostre inquietudini fino al 2014 realizzando il secondo episodio "Afghanistan 2014, Insert " e attraversando l'Europa, dalla Grecia all’Italia, dalla Germania alla Svezia, abbiamo domandato della diaspora afghana in esilio, per sapere cosa pensano possa accadere con il ritiro definitivo delle forze internazionali. 

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Incagliati
Il traffico navale nel mondo

«Tempi interessanti» (112)

C'è un'immagine satellitare che descrive meglio di ogni considerazione la follia di un modello di sviluppo e di consumi nel quale ci siamo incagliati. Quell'immagine ci descrive l'ingorgo che la signoria del mercato e del profitto ha prodotto nella circolazione globale delle merci e più in generale nel nostro modo di vivere. E di cui spesso nemmeno ci accorgiamo, tanto consideriamo naturale l'artificialità del mondo che abbiamo costruito in questa infinitesima frazione della storia del nostro pianeta.

Poi accade che una nave portacontainer lunga 399,94 metri e alta come un condominio, che a pieno carico ha una stazza di 220.940 tonnellate, sia investita da una tempesta di sabbia peraltro piuttosto normale nella regione e s'incagli nel Canale di Suez con il suo carico di 18.500 container. L'ingorgo blocca quattrocento navi nel Mar Rosso, nel Canale di Suez e nel Mediterraneo per almeno una settimana (un'altra settimana servirà a ripristinare il corso “normale”). Nel frattempo un numero ancor più considerevole di navi mercantili vengono dirottate verso la circumnavigazione dell'Africa...

Il cavallo di Santiago
Plaza Dignidad

 

Plaza Dignidad - lettere dal Cile. La newsletter sul processo costituente cileno

di Federico Nastasi

(28 marzo 2021) È stato dipinto, bruciato, coperto di bandiere, incappucciato. Ripulito. E poi di nuovo dipinto e bruciato. E infine rimosso. Salutato con onori militari da alcuni, con un grido di liberazione da altri. Questa è la storia del cavallo di Santiago, simbolo della transizione tra un vecchio ordine che resiste e un nuovo che stenta a nascere. E qui siamo a Plaza Dignidad – Lettere dal Cile.

Il 2020 è stato l’anno delle statue buttate in acqua, decapitate, dipinte: negli USA con Black Lives Matter contro le statue di Colombo e degli schiavisti, con Francisco Franco a Barcelona, con Indro Montanelli a Milano. E anche in Cile, il processo costituente in corso non si limita a superare la Magna Charta imposta dalla dittatura militare, ma punta a cambiare i nomi ai luoghi, ai titoli dei libri che si leggono nelle scuole, ai colori delle bandiere. Di questo - e delle elezioni costituenti che si terranno tra due settimane - ho parlato con Arelis Uribe, una «delle eccellenze della nuova generazione di scrittrici cilene» secondo El País.

Statue ed alberi

L’anno scorso, nel sud del paese, a Temuco, regione ad alta concentrazione mapuche - il popolo originario più grande del paese - è stata decapitata la statuta di Pedro de Valdivia, conquistatore spagnolo che guidò le campagne militari contro gli indigeni. La sua testa è stata poi messa in mano ad un’altra statua, quella di Caupolicán, capo militare mapuche, eroe della resistenza contro gli spagnoli.

Il Papa in Iraq
Foto da Avvenire

di Adel Jabbar

La decisione del Papa di compiere una visita in terra mesopotamica richiede un’analisi attenta vista la complessità delle dinamiche geopolitiche del Vicino e Medio Oriente.

Il Pontefice si è recato in un’area che è teatro di scontro geopolitico, in cui sono presenti eserciti di potenze straniere invisi alle popolazioni locali, in cui il terrorismo di matrice transnazionale è all’ordine del giorno, i duri scontri tra diverse fazioni sono spesso sostenuti da attori internazionali grandi, medi, piccoli e piccolissimi. Nonostante tutto ciò ilcapo dello Stato Vaticano ha compiuto questa visita importante.

Dopo l’euforia mediatica e dopo che sono state dette molte cose e sono stati fatti molti commenti riguardo al viaggio del Sommo Pontefice vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto relativo ai pronunciamenti del Papa durante le diverse tappe del suo viaggio.

Esso è di natura politica e riguarda la critica alla pratica della guerra, in quanto causa principale delle gravi condizioni in cui vivono molte delle popolazioni del mondo. Il Papa ha più volte sottolineato come la guerra sia un atto di sopraffazione. Ciò trova una dimostrazione chiara e drammatica in Iraq. Un paese strategico ricco non solo di materie prime bensì anche di risorse umane e di un immenso patrimonio storico culturale che ha subito due guerre scatenate in base a delle eclatanti e ignobili bugie quali la storia dei neonati nelle incubatrici gettati a terra dai soldati iracheni in Kuwait nel 1991. Episodio raccontato da una presunta infermiera, rivelatasi successivamente la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti, addestrata da un’agenzia americana di pubbliche relazioni. Anche per la guerra del 2003 si è fatto di nuovo ricorso ad una menzogna ovvero la storia delle armi di sterminio di massa, riportato con tanto di provetta tenuta in mano dall’allora segretario di stato Colin Powell. Queste sì che possono essere definite la madre delle fake-news. Tali bugie sono ormai ammesse perfino da diversi esponenti delle Nazioni Unite coinvolti nei fatti dell’epoca quali Denis Halliday, coordinatore degli aiuti umanitari ONU e Hans von Sponeck, coordinatore del piano sanitario ONU in Iraq. Il risultato di tale disinformazione è stato da un lato l’appoggio di alcuni settori dell’opinione pubblica mondiale all’intervento militare e dall’altra la popolazione irachena terrorizzata e brutalmente devastata. I responsabili di questi crimini di guerra, non solo rimangono fino ad oggi impuniti, bensì continuano a diffondere le loro menzogne e i loro successori proseguono perpetuando le medesime azioni distruttrici in altri contesti.

 

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