
... Eppure devo riconoscere a Matteo Renzi di aver saputo comprendere ed interpretare la paura, indicando una risposta diversa dal rancore. Se guardiamo all'esito delle elezioni nei paesi europei, nella colorazione simbolica così diversa da un paese all'altro, vediamo che si affermano proprio quelle proposte che hanno saputo interpretare in forme anche radicalmente diverse (Le Pen in Francia, Merkel in Germania, Tsipras in Grecia e Renzi in Italia...) questo sentimento che pervade l'Europa, la paura...
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di Michele Nardelli
Domenica 25 maggio si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo, un passaggio cruciale nel futuro dell'Europa politica.
Lo è a cominciare da quanti cittadini europei eserciteranno il loro diritto di voto. Nel 2009, negli allora 27 paesi dell'Unione Europea, votarono il 43% degli eventi diritto, una percentuale già piuttosto bassa che mostrava una disaffezione preoccupante. Se il 25 maggio 2014 il calo dovesse essere ancora maggiore, il grado di rappresentatività e di autorevolezza del Parlamento e delle istituzioni europee in generale potrebbe segnare un punto di crisi senza precedenti. E il progetto europeo subire un colpo mortale.
Lo è per il peso che i sondaggi assegnano ai partiti e movimenti antieuropei, già peraltro presenti anche nelle scorse elezioni. Se saranno rappresentativi del 30% del Parlamento Europeo come dicono le previsioni, i loro seggi andranno ad assommarsi a quelli di formazioni che a parole si dicono europeiste ma che in buona sostanza pensano ad un riequilibrio della sovranità a favore degli stati nazionali. E sarebbe comunque la paralisi del processo di costruzione dei un'Europa politica e federale.

di Ugo Morelli *
Caro Paul, ti ricordi? Era l’inizio degli anni sessanta del ventesimo secolo. Ti scrissi allora per invitarti a un dialogo tra ragazzini che, seppur nati in nazioni diverse e con lingue diverse, si ritrovavano a iniziare una nuova vita in una casa comune, la nascente Comunità Economica Europea.
Quel compito in classe alle medie inferiori invitava a parlare dell’Europa. Avevamo una carta geografica e i sei colori dei primi sei paesi erano in evidenza. Erano colori diversi e non capivamo bene cosa stesse accadendo. Ci sembrava comunque una bella cosa quella parola, comunità, che inventava una nuova prospettiva e ci invitava ad incontrarci.

di Michele Nardelli
(22 aprile 2014) Guardo i sondaggi che si susseguono come una sorta di polso quotidiano del paese. Hanno da tempo sostituito l'analisi dei processi economici, sociali e culturali, l'indagine sulla condizione delle classi sociali o del lavoro, dei processi di mobilità sociale così come dei rapporti fra le classi sociali. E di come tutto questo interagisca tanto con i territori nella loro diversità storica, culturale, geografica... quanto con i processi dell'interdipendenza nelle molteplici dimensioni europea, mediterranea, globale. I sondaggi spaziano sulle percezioni, gli umori, il sentire non solo nei confronti dei partiti e delle istituzioni... ti dicono quello che pensi, come consumi, come guardi al futuro.
D'altro canto, chi s'interroga più sul futuro? Chi si azzarda ad esprimere una visione del mondo? Quali pensieri si propongono come sistema di valori? Chi s'interroga sulle dinamiche dei poteri? Si sta nella propria solitudine e l'ambito spazio-temporale del nostro vivere sociale è un "qui ed ora" che misuriamo sulla quantità dei nostri consumi. Solo le religioni, vecchie e nuove, riescono ancora a comunicare con la condizione umana e il suo bisogno di spiritualità.

(13 aprile 2014) Con la presentazione delle liste dei candidati si apre anche formalmente la campagna elettorale per le elezioni del Parlamento Europeo. Ci si aspetterebbe che in un simile contesto si parlasse dell'Europa e delle grandi questioni che l'attraversano come il lavoro o le politiche energetiche, del vento di destra e xenofobo che la percorre dalla Francia all'Ungheria, delle spinte secessionistiche che accomunano la Spagna e l'Ucraina passando per il Regno Unito e l'Italia, del rapporto con la Turchia e il Mediterraneo...
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(14 aprile 2014) Leggo e rileggo il testo per trovare traccia di un'impostazione territoriale che avevamo cercato di dare nella scorsa legislatura ad un Trentino alle prese con una crisi di natura strutturale e per ciò stesso richiedente un cambio di paradigma che avevamo individuato nell'identità economica delle nostre valli e nell'“animazione territoriale” come forma di pianificazione strategica fondata sulle Comunità.
Prendo atto che di tutto questo non c'è traccia nelle “Misure per lo sviluppo economico e il lavoro”, il “Patto” siglato sabato scorso dalla Provincia Autonoma di Trento con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali. O, meglio, una traccia c'è ed è quella del Fondo strategico regionale per lo sviluppo locale, l'idea di una “finanza di territorio” che avevo proposto in una specifica mozione poi entrata nelle leggi finanziarie regionale e provinciale, la cui attuazione rappresenta uno dei pochi spunti di novità del documento.

di Federico Zappini
(9 marzo 2014) Da tempo mi ripropongo di scrivere dell'austerità. Negli ultimi mesi non c'è programma politico che non contenga - ancor più oggi in vista delle prossime elezioni europee - almeno uno slogan "CONTRO L'AUSTERITY". Mi rendo conto che si tratta di una parola scivolosa, e che dall'inizio della grande crisi del 2008 è stata associata a una serie di iniziative economiche a livello europeo e mondiale tutt'altro che popolari e ben volute, tra le quali le più tristemente famose quelle messe in campo in Grecia ad opera della Troika. Lacrime e sangue si diceva un tempo, ma forse questa espressione non è sufficiente per descrivere ciò che lascia dietro di sè la serie di tagli lineari previsti per sistemare i conti nelle casse greche, da tempo in profondo rosso. Basta leggere i dati riportati dal The Lancet rispetto alla situazione sanitaria del paese per rendersene conto.
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Non voglio esprimere un pre-giudizio sulla compagine governativa di Matteo Renzi. Tante donne, tanti giovani, numerosi volti nuovi: nel marketing politico non c'è che dire, una mossa efficace. Li misureremo nel loro lavoro. E però qualche pensiero s'impone.
Primo. Il governo di Enrico Letta era “di scopo”, non un'alleanza politica di legislatura bensì un governo d'emergenza per varare provvedimenti a tutela del difficile passaggio economico e una nuova legge elettorale per poi tornare al voto. Solo così si poteva giustificare un'inedita convergenza che, alla faccia del bipolarismo, metteva insieme schieramenti tanto diversi. Quello che si è proposto Matteo Renzi è al contrario un governo di legislatura, un governo politico che renda compatibili strategie (e dunque contenuti) fra loro alternative...

di Giuseppe De Rita
(27 dicembre 2013) Se mi è permesso per una volta dissentire dalla linea di opinione del Corriere vorrei segnalare il mio preoccupato sconcerto per la generalizzata voglia di spappolare ogni forma e struttura di rappresentazione sociale intermedia, sindacale, datoriale o associativa che sia.
Anche sul piano politico la tendenza è evidente (basta pensare all’accanimento sull’abolizione delle Province o sulla decomposizione dei partiti) ma è sul piano sociale che si concentra in queste settimane l’attacco: il sindacato è un fattore di irrigidimento e conservazione, la Confindustria è in crisi di incidenza e di lucidità su ogni politica di rigore e sviluppo; Rete imprese Italia non corrisponde alle speranze di quando nacque, tre anni fa; le associazioni professionali sono luoghi di bieco e centrale corporativismo; il cosiddetto terzo settore è inquinato da professionismo camuffato.

Sabato scorso era a Trento per la scuola di formazione delle Acli Marco Revelli, amico ed attento osservatore del nostro tempo. Riporto questa cronaca/commento tratto da "Pontidivista", il blog di Federico Zappini.
di Federico Zappini
Fa sempre piacere dialogare con Marco Revelli, così come ho potuto fare attorno al suo ultimo libro “Finale di partito”. E’ ancora più interessante se lo si può fare all’interno di un incontro che ragiona sul come la comunità (quella trentina nello specifico, ma vale per tutte) debba attrezzarsi per uscire dalle secche in cui sembra essersi arenata. Questo l’obiettivo – giustamente ambizioso – che si propone la scuola di formazione immaginata dalle Acli trentine che coinvolge una ventina di persone provenienti da ogni angolo del territorio.
di Michele Nardelli
Domenica prossima, in occasione delle primarie per la segreteria e l'assemblea del PD del Trentino, andrò a votare. E questo nonostante avverta una distanza crescente verso un partito, lo dico con rammarico, che non è riuscito nel suo intento costituente, quello di mettere in gioco le tradizioni culturali novecentesche da cui proviene in un disegno di nuovo umanesimo, capace cioè di offrire risposte originali alla condizione di un'umanità che ha oltrepassato il limite della sostenibilità. E, nel far questo, di re-immaginare le forme storiche dell'agire politico che, in un contesto sempre più interdipendente, fossero in grado di rapportarsi con le cifre – sovranazionali e territoriali – del presente.
Territoriali ed europei, questo doveva essere l'orizzonte di una nuova proposta politica. Ma ai miei occhi, oggi il PD è un partito incapace tanto di visione europea, come di partire dai territori. L'Europa è il luogo della trattativa degli interessi nazionali (il contrario di uno sguardo europeo), i territori sono i terminali della ricerca del consenso, nell'estenuante sondaggio demoscopico cui è ridotto il confronto politico.
Anche l'impronta che segna la nuova fase politica del governo Renzi contribuisce ad allargare questa distanza: nel patto per una pessima legge elettorale in cui il voto dei cittadini è diseguale, nella scelleratezza con cui si intende mettere mano al Titolo V della Costituzione svuotando le già misere competenze delle autonomie regionali, nella superficialità con cui si affronta una crisi strutturale che richiederebbe un profondo cambio di paradigma in nome della valorizzazione nell'unicità dei territori, dell'austerità e della riqualificazione dei consumi.

Un appello per l'Europa apparso oggi su la Repubblica, primo firmatario Ulrich Beck
(27 febbraio 2014) Il prossimo maggio le cittadine e i cittadini saranno per la prima volta chiamati alla scelta sul futuro dell’Europa. Quale Europa vogliamo? Dal momento dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona e per tutta la durata della crisi i cittadini non hanno mai avuto l’opportunità di esprimere il loro giudizio sul futuro dell’Unione Europea, in un processo di formazione democratica della volontà.
Questa volta, la novità è costituita dalla presenza di diversi candidati alla carica di presidente della Commissione europea, con la possibilità di scegliere tra diversi modelli d’Europa. È un salto quantico politico. Infatti, nel medesimo momento e in tutta l’Europa discuteremo in lingue diverse sugli stessi temi – cioè su persone e sui loro programmi. Vogliamo il “meno Europa” di un David Cameron, dettato dagli imperativi del mercato, oppure un’ “altra Europa”, che sottopone il mercato a regole democratiche, come ha in mente il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz?
I partiti anti-europei e i loro candidati vogliono essere eletti democraticamente per minare la democrazia in Europa.

(21 gennaio 2014) Leggo e rileggo la proposta di riforma del sistema elettorale che il segretario Matteo Renzi ha sottoposto alla direzione del Partito Democratico (vedi scheda in allegato).
Mentre continuo a pensare che il problema non abiti qui, ma piuttosto nel racconto che la politica riesce a fare del nostro tempo, non posso che prendere atto di come la cultura maggioritaria e centralistica sia diventata il tratto di omologazione di grande parte del sistema politico italiano.
A rischio di sembrare naïf, continuo a pensare che il sistema proporzionale sia il migliore fra quelli fin qui sperimentati, che il ruolo della politica sia quello di costruire le alleanze di governo anche sulla base dell'esito del voto, che l'elezione diretta del premier (e dei presidenti) comporti un pericoloso accentramento dei poteri in chiave plebiscitaria, che i premi di maggioranza falsino l'espressione del voto popolare, che le preferenze siano uno strumento tutto sommato utile (anche se non l'unico) nella selezione delle candidature, che le minoranze politiche (ma anche quelle nazionali) debbano trovare rappresentazione istituzionale, che il ruolo di elettore e di iscritto siano diversi e che, pertanto, le primarie siano le negazione del ruolo dei corpi intermedi e a guardar bene della politica.

... Se avessimo a che fare con l'“ambizione smisurata” di un personaggio politico si tratterebbe di aspettare che gli eventi facessero il loro corso (rapidissimo, se pensiamo che le primarie con cui Pierluigi Bersani venne candidato premier sono state poco più di un anno fa...). Ma qui in gioco c'è qualcosa di più, ovvero il futuro di una comunità politica che rappresenta milioni di persone.
Temo infatti che ci stiamo rapidamente avvicinando all'epilogo di un progetto nel quale abbiamo creduto potesse realizzarsi quell'originale sintesi politico-culturale in virtù del quale abbiamo scelto di archiviare i percorsi più significativi della cultura democratica di questo paese e, per quello che mi riguarda, anche quella piccola eresia politico-culturale che in Trentino era rappresentata da Solidarietà ...

di Michele Nardelli
Il 27 gennaio è il giorno della memoria. Molte le iniziative che in questi giorni si susseguono per ricordare il giorno in cui l'Armata Rossa entrò nel campo di Auschwitz mostrando al mondo intero le immagini del male assoluto.
L'industria della morte, lo sterminio organizzato di tutti coloro che non facevano parte del disegno che voleva la supremazia di un popolo sopra ogni altro. Sei milioni di donne, uomini e bambini passarono per il camino con la sola colpa di essere ebrei, rom, serbi, malati psichici, intellettuali, omosessuali, oppositori politici, comunisti... Mai nella storia dell'umanità l'uomo era arrivato a tanto.
Ricordare è un dovere, ma non basta. Se vogliamo davvero che la storia non si ripeta occorre interrogarsi su come tutto questo è potuto accadere, comprendere e cambiare. Senza elaborazione, il passato non passa e la storia è destinata a ripetersi.