Editoriali

Quel che la natura ci insegna e quel che vogliamo comprendere...
Verso il passo del Manghen

«Tempi interessanti» (97)

Un anno dopo. Osserviamo in tutta l'area colpita dalla tempesta Vaia un susseguirsi di eventi per ricordare la tragedia che in una notte ha spazzato via 18 milioni di alberi e cambiato il volto di intere vallate dolomitiche. Crediamo sia bene non dimenticare. Sarebbe altrettanto necessario riflettere sul messaggio che la natura ci ha consegnato. Se riteniamo che Vaia non sia stato un evento casuale, come possiamo farne tesoro ed evitarne il ripetersi? E poi, che cosa è cambiato nei nostri comportamenti come nelle nostre scelte collettive dopo quella tragedia? In questi mesi ci siamo spesso sentiti dire che c'è un tempo per l'emergenza e uno per la riflessione. Non è così. L'emergenza non è finita e non finirà a breve. Non abbiamo il tempo di attendere che finisca per incominciare a riflettere...

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L'improbabile di fronte a noi
Paul Klee

di Michele Nardelli

(12 settembre 2019) Non è facile esprimere una valutazione sul nuovo governo. In assenza di una visione comune, di fronte al carattere generico dei punti programmatici, preso atto di un profilo della squadra di governo che risponde più agli equilibri interni ai partiti che all'autorevolezza dei ministri designati, è il lungo ed articolato discorso di Giuseppe Conte in Parlamento ad indicare le linee d'azione per un governo che si vorrebbe di legislatura ma soprattutto di svolta. Un discorso che merita attenzione, al di là del suo segnare un argine – speriamo non momentaneo – alla deriva autoritaria, sovranista ed antieuropea verso la quale stava naufragando questo paese.

Quando indicavo la necessità di tentare l'improbabile1, avevo in cuor mio un'altra idea di ciò che immaginavo potesse significare imprimere un cambio di sguardo. Realisticamente, era difficile immaginare che da una politica in profonda crisi potesse emergere un diverso profilo, ma la storia non procede mai in maniera lineare, piuttosto invece per accelerazioni improvvise, come è stato negli anni '60 o nell'ultimo decennio del secolo scorso.

Devo riconoscere che il discorso del Presidente del Consiglio sembra proporre una di queste accelerazioni, aprendo – più di altri che l'hanno preceduto e che vedevano il sostegno della sinistra parlamentare – spazi di dialogo e di interlocuzione solo qualche mese fa inimmaginabili.

E' quindi con un atteggiamento aperto e costruttivo che provo ad indicare quello di cui a mio avviso avremmo bisogno per segnare effettivamente una svolta, tanto sul piano della visione come su quello programmatico. Uno scarto culturale e politico guardando sì a questo paese, ma in una prospettiva europea e mediterranea.

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Un nuovo cammino possibile? Un movimento di comunità da attivare…
Berlino, 1989

di Federico Zappini

 

Se incontri lungo il sentiero un altro viandante

chiedigli dove è diretto e non da dove proviene.

Se sarai fortunato percorrerai un pezzo di strada con lui.



Si può sintetizzare così la crisi politica appena ricomposta. Va riconosciuto a PD, M5s e Leu il coraggio di concentrarsi su ciò che potrà essere (se lo si vorrà davvero…) piuttosto che su ciò che è stato. Il futuro che ha il sopravvento sul passato, che pure non si può cancellare. Due solo esempi. Da un lato la cultura ambientalista del Partito Democratico è tutt’altro che monolitica, scontando spesso l’attrazione nei per il cosiddetto “partito del PIL”, rivendicando con orgoglio la categoria – ambigua – del progressismo. Dall’altra la recente esperienza governativa del M5s e del Presidente Conte non si può slegare dalla deriva cattivista che ha trovato il suo principale interprete in Matteo Salvini. Le responsabilità sono di chi la proponeva senza vergogna così come di chi faceva poco, o nulla, per opporvisi.

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Tentare l'improbabile. E, comunque, cambiare lo sguardo.
Fiore di Nopal

«Tempi interessanti» (96)

Alla richiesta che mi viene rivolta di esprimere un'opinione su quale soluzione sarebbe auspicabile di fronte alla crisi di governo, preferirei non rispondere perché fatico a riconoscermi in uno scenario dove tutto è riconducibile alla tattica dell'ultimo miglio. Come se mettere rimedio alla profonda sconfitta – culturale prima che politica – che anche le ultime elezioni europee hanno evidenziato riconoscendo ai partiti sovranisti quasi il 70% dei suffragi, fosse possibile attraverso un diverso gioco di alleanze. Capisco bene il desiderio (e l'urgenza) di liberarsi di un personaggio pericoloso come Matteo Salvini, ma non credo che questo sia possibile senza contestualmente porsi la questione di un'altra narrazione rispetto all'ingorgo che ci ha portati sin qui (di cui la cultura plebiscitaria implicita nel taglio dei parlamentari è parte del problema) e di una proposta di futuro capace di andare oltre l'attuale modello di sviluppo, drammaticamente ingiusto e insostenibile...

 

 

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I limiti della storia (occidentale) e l'avanzare delle altre storie
Schiavismo in America

di Simone Casalini

L’omicidio di George Floyd, soffocato a Minneapolis da un poliziotto bianco, grano di un rosario di violenza «statale» senza fine, ha ridestato il mondo (Trento e Bolzano comprese, con partecipate manifestazioni di piazza) al tema del razzismo quando questo sembrava ormai sdoganato nella forma proteiforme e ambigua della politica contemporanea. Otto minuti e 46 secondi di filmato, il tempo dell’agonia di Floyd pressato dal ginocchio dell’agente Derek Chavin (con un pedigree di 18 denunce per violenza in 19 anni di servizio), reo di aver pagato con una banconota contestata da 20 dollari un pacchetto di sigarette, hanno segnato un principio di smottamento nella coscienza di un Paese, gli Stati Uniti, a cui non sono serviti due mandati del primo presidente afro-americano (Barak Obama) per rimuovere il razzismo di Stato, e più in generale nell’Occidente che ha malcelato le ombre sanguinarie della sua storia, che poi è la Storia. Addirittura scatenando un’ondata iconoclasta e una revisione di giudizio (non revisionismo) su alcuni personaggi di questa Storia universale, ampiamente compromessi dal fenomeno coloniale.

Il problema, però, è proprio questo. Schiavismo e colonialismo — la cui eredità s’incunea fino ai nostri lidi sociali — sono dispositivi che non hanno lasciato colpe né giudizi storici né memoriali e nemmeno statue per le vittime.

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Per una Politica originaria, non solo originale
Trento, Muse

di Ugo Morelli e Federico Zappini

(19 agosto 2019) Da qualunque lato la si guardi quella che stiamo attraversando è una fase di grande disordine. L'entropia che satura questo tempo è insieme politica, sociale e culturale. Una confusione che crea spaesamento diffuso, che polarizza le posizioni ma allo stesso tempo le rimescola continuamente, ribaltando punti di vista, impedendo lo stabilizzarsi di un dibattito pubblico che si muove scompostamente. A questa generale sensazione di precarietà e insicurezza si è aggiunta nelle scorse ore anche l'apertura di una crisi che – se si prova a spostare la messa a fuoco oltre l'ingombrante volto di Matteo Salvini – non si può circoscrivere all'interno dei contorni dell'alleanza contrattizia tra Lega e M5s ma va allargata e fotografata a livello di sistema. È difficile, allora, cercare di trovare acqua potabile nel pozzo che abbiamo inquinato. Questo è quello che facciamo e si continua a fare, alla ricerca ansiogena di proposte originali, mestando e rimestando parole e slogan che durano un giorno, se va bene.

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Se non lasciamo futuri saremo passati per niente
Trento, via San Martino (particolare)

Consigli non richiesti per una nuova geografia e grammatica politica per Trento e il Trentino.

di Federico Zappini *



Sei vuoi andare veloce, corri da solo.
Se vuoi andare lontano, corri insieme a qualcuno.



Scrivo questo testo da una posizione di marginalità. Da solo. Una solitudine che non credo solo mia. Senza grandi elettori da spendere nella contesa elettorale.

Quella che sottopongo è una riflessione che nasce dalla fragilità e dai dubbi più che dalla forza e dalle certezze. È un pensiero frutto di un numero sufficientemente ampio di conversazioni a più voci. E’ il depositato di inquietudine e curiosità derivante dall’osservazione dell’evoluzione politica e sociale del territorio che vivo.

Non è un appello per costruire nuovi movimenti o soggetti politici. Non è la rivendicazione di un ruolo in quegli organi – penso al tavolo coalizionale che già in queste settimane comincia il suo lavoro di confronto – che avranno il compito di tirare le somme delle riflessioni all’interno delle forze politiche che esprimono una propria visione e organizzazione.

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Migrazioni e «cultura della legalità»
I segni dello scioglimento dell'Antartide

«Tempi interessanti» (94)

Ho lasciato trascorrere qualche giorno per condensare in un commento una serie di pensieri che, a partire dalla vicenda della Sea Watch, investono la questione migratoria. Ma in un tempo fatto di avvenimenti che si consumano in tempo reale, rimpiazzati di giorno in giorno da nuove emergenze (o presunte tali), sembra difficile trovare lo spazio (e l'attenzione) per una riflessione che guardi alla radice di quel che accade.

Si preferisce soffiare sul fuoco di un contesto ormai imbarbarito anziché affrontare i nodi di fondo che la questione migratoria pone, un iceberg che chiama in causa l'insostenibilità di uno sviluppo che sul piano globale produce naufraghi di ogni tipo.

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La crisi irreale nel paese che affonda
Da il Manifesto

di Marco Revelli

(21 luglio 2019) Un governo morto che non muore. Un’opposizione che si vorrebbe viva e rigenerata, che non riesce a opporsi a nulla. Un popolo che non è popolo ma coacervo di individui rancorosi e competitivi, che tuttavia ha prodotto uno dei peggiori populismi in circolazione oggi. E al fondo, paradosso baricentrico che spiega tutti gli altri, un Paese fallito che non fallisce.

È probabilmente il non detto di questa verità prima, mai dichiarata e però terribilmente incombente, ciò che rende così irreale la crisi italiana, come fluttuante nell’aria in un eterno tempo sospeso. Il fattore che le fa sfidare, ogni giorno, le leggi della fisica politica.

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Cambiare rotta. Senza eroi e capitani
Iceberg

Riprendo questa utile riflessione sul tema delle migrazioni dell'amico Andrea Segre

di Andrea Segre

Incredibile, Salvini ci aveva assicurato che i migranti erano scomparsi, e invece anche quest’estate ci risiamo. Continuano a succedersi senza sosta le notizie di navi di ONG che salvano migranti e vengono fermate da Salvini. E tutti i commenti e le tensioni mediatico-politiche sono calamitate da questi eventi.

Senza nulla togliere all’importanza etica del salvataggio e anche al valore politico della sua rivendicazione, la cosa che mi preoccupa di più è che siamo sempre fermi allo stesso punto, allo stesso ombelico che da ormai vent’anni ci impedisce di trovare una vera soluzione al dramma delle migrazioni illegali e troppo spesso mortali. Parliamo sempre e solo di sbarchi, dividendoci tra chi li vuole e chi no. Altro non interessa.

La complessità della gestione dei flussi migratori viene riportata sempre e solo alla gestione dell’ultimo pezzo di viaggio, quello via mare, che spesso è meno di un decimo dell’intero viaggio. Una miopia geografica e geopolitica che ci acceca da ormai vent’anni, ma che ora sembra diventata ancora più pesante con la trasformazione del dibattito da politico a quasi esclusivamente morale: è giusto salvare o no? Una domanda che fa slittare il tema su un piano di polarizzazione pregiudiziale: io sono per salvarli o io sono per fermarli. Altro spazio e direzione di discussione sembra non esserci. La discussione inizia e si ferma lì. La gran parte dello sforzo giornalistico è dedicato alla narrazione personalistica degli eroi dei salvataggi o dell’accoglienza e del loro scontro con il capitano irato e vincente.

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Il disegno di Trump contro l'Europa
Europa

«Tempi interessanti» (93)

«Trattare da pari a pari con l'Europa». Questo afferma Matteo Salvini reduce dagli Stati Uniti dove ha cercato (e trovato) legittimazione politica quale vero capo del governo italiano. Un via libera per scaricare i 5 Stelle e per andare ad elezioni anticipate – si è commentato – ma anche il prendere corpo di un disegno che punta a sgretolare l'Unione Europea...

... Per questo l'Europa deve diventare a pieno titolo lo spazio politico comune capace di includere, di garantire stato di diritto e di federare diffuse forme di autogoverno sovranazionali e regionali, di nuove relazioni di conoscenza, di scambio e di cooperazione con il Mediterraneo e il vicino Oriente da cui è inscindibile. Spazio politico cui adeguare le istituzioni, le forme dell'agire politico, i corpi intermedi.

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Come giardinieri
Joan Mirò, Il giardino

di Ugo Morelli *

“Io lavoro come un giardiniere”, diceva di sé Joan Mirò. Indicando che la passione per la natura parla della natura delle passioni umane. Quelle passioni possono essere generative e distruttive.

Il nostro rapporto con la natura di cui siamo parte ha visto prevalere fino ad oggi una posizione e azioni prevalentemente distruttive da parte di noi umani. Un libro postumo di Oliver Sacks, dal titolo emblematico, “Ogni cosa al posto giusto”, in corso di traduzione in italiano, evidenzia in modo magistrale il conforto esistenziale e vitale che da un punto di vista fisiologico e psicologico può venirci dalla natura. Denso di significato è anche il sottotitolo del libro: primi amori e ultimi racconti.

Una sintesi adeguata alla nostra condizione. Auspicando che il nostro amore e la nostra passione per la natura non si traducano in racconti finali delle bellezze e dei valori della natura stessa.

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Un'occasione perduta per parlare di Europa
Paul Klee, dal grigiore della notte (1918)

«Tempi interessanti» (92)

Le elezioni per il Parlamento Europeo sono state un'occasione persa per parlare di Europa. Chiedersene la ragione non farebbe male. L'Europa poteva rappresentare in sé un mutamento di paradigma, un'opportunità per cambiare il nostro sguardo spostandolo dall'orizzonte degli stati nazionali ad una visione insieme sovranazionale, macroregionale e mediterranea. Inchiodati invece agli schemi novecenteschi e ridotta la politica alla rincorsa emergenziale di nodi strutturali, il confronto elettorale è diventato un inguardabile referendum intorno e dentro al governo nazionale.

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Tempi interessanti da abitare con coraggio
vetro appannato

di Federico Zappini

(27 maggio 2019) Nelle settimane scorse mi è mancato il tempo, e la lucidità, per mettere insieme un ragionamento pre-voto. In realtà una traccia l'avevo abbozzata, sulla base di un percorso - non solo mio - lungo qualche anno che trova nel risultato elettorale odierno, tanto europeo quanto locale, una sedimentazione, una certa conferma.

La mia riflessione iniziava da Andrea Zanzotto e dal suo "progresso scorsoio, nel quale non so più se sono ingoiato o se ingoio". Aforisma perfetto per descrivere il vicolo cieco - economico e antropologico - nel quale si è infilato l'intero Occidente, e in particolare l'Europa. Uno senso di spaesamento che con maggiore nitidezza sanno interpretare i poeti, capaci di riconoscere ciò che tra le righe della realtà si sedimenta e non solamente ciò che agli occhi appare evidente, lampante.

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Far depositare la polvere. Aggiustare la bussola. Politicizzare la società.
dal blog di Federico Zappini

di Federico Zappini *

Un mattino di primavera. Il sole che taglia in due la stanza. Un tappeto sbattuto che rilascia un pulviscolo infinitesimale. Correnti invisibili che ne determinano andamenti confusi. Un movimento caotico di particelle.

Questo è lo stato dell’arte del mondo che ci circonda. Il tappeto è la società così come la conoscevamo, scossa da una serie di crisi che ne minano le certezze, mescolano le caratteristiche fondanti, disarticolano la composizione. La polvere siamo noi, cittadini/elettori spaesati. Le spinte che frullano questa realtà a grana sottilissima sono i fattori che generano l’entropia contenuta in quel limbo che Antonio Gramsci poneva tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Disintermediazione e comunicazione iper-accellerata. Frammentazione delle relazioni e apparente impossibilità di dare forma a ipotesi credibili per futuri desiderabili.

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