Libri

Frattempi moderni
La prima di copertina del libro

A cura di Elisabetta Tiveron e Cristiano Dorigo

Frattempi moderni

Il Margine, 2021


«Non si sapeva, allora, che il nuovo millennio avrebbe modificato, stravolto, cancellato il modo di stare al mondo di buona parte dell’umanità».

Contributi di Antonella Cilento, Massimo Cirri, Michela Fregona, Sandro Frizziero, Lala Hu, Ginevra Lamberti, Fabio Magnasciutti, Francesco Maino, Eleonora Molisani, Giovanni Montanaro, Emanuele Pettener, Federica Sgaggio e Ade Zeno.

 

«All'improvviso tutto è cambiato e, in un paio di decenni, il progresso tecnologico ha avuto un'accelerazione tale da far scomparire il mondo di prima, proiettando l'essere umano in un qui ed ora costante e al contempo sfuggente, in un quotidiano che, anche solo meno di mezzo secolo fa, sarebbe stato etichetttato come fantascienza. Il presente è impalpabile, velocissimo, sfugge di mano e si allontana dallo sguardo costringendo le persone ad un continuo fare, pensare, capire. Chi oggi ha più di trent’anni rappresenta l’anello di congiunzione, il ponte tra due mondi lontanissimi, il testimone di un passaggio epocale. Raccontarlo sembra agli autori di questa antologia un dovere generazionale, una sorta di libretto di istruzioni per gli umani che verranno.»

Roma può rifiorire
Roma può rifiorire

A cura di Pop, idee in movimento

Roma può rifiorire

Il volume è frutto di un processo di elaborazione collettiva che POP ha intrapreso a partire dall'incontro del 12 settembre 2020 svoltosi alla Tenuta della Mistica (Roma), con quattro gruppi di lavoro tematici per la sua redazione partecipata.

 

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Roma, primi giorni di luglio 2017. Difficile immaginare come un “Viaggio nella solitudine della politica” possa trovare cittadinanza in una città dove tutto sembra ruotare attorno ai palazzi del potere. Anzi, dei poteri, anche quelli piccoli piccoli ma non per questo meno insidiosi.

Cercheremo di starcene alla larga, non perché non possano essere interessanti e nemmeno per snobismo, ma perché chi ci ha vissuto per qualche anno già ne conosce le immutabili liturgie e l'aria stagnante. Percorriamo altre strade, per raccogliere parole e immagini di una Roma che non ti aspetti. Difficili persino da immaginare senza un moderno Caronte che ci aiuta ad accostarci a luoghi e personaggi che la cronaca ufficiale generalmente non sa vedere.

Occorre curiosità e un tempo disteso che puoi anche “perdere”, preferire la polvere piuttosto che i salotti buoni, le smentite alle conferme. Ne verranno fitte pagine di diario1.

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Perché il bambino cuoce nella polenta
La prima di copertina del libro

Aglaja Veteranyi

Perché il bambino cuoce nella polenta

Keller, 2019



Solo ora, dopo la lettura del libro di Aglaja Veteranyi, ho compreso il senso profondo di quelle parole con le quali l'amico Gheorghe, artista rumeno, qualche anno fa a fronte del mio quasi rimprovero verso le sue superstizioni e paure, aveva chiuso la discussione: “voi – mi disse Gheorghe – non potete capire”.

Ci voleva l'universo parallelo dei circensi rumeni. Ci volevano gli odori, la cucina greve, le file per il pane «che diventa professione», la paura che ti entra nella carne, per farmi comprendere per davvero quelle parole.

Perché il circo è l'immagine appena deformata della realtà, la rappresentazione tragicomica della condizione umana. Puoi fuggire, andartene altrove, ma non te la togli di dosso, ti impregna la vita... Puoi persino elaborarla, ma è sufficiente un poliziotto qualsiasi che esibisce il suo misero potere per riportarti giù, nell'abisso del sopruso.

Per abitare il quale il romanzo di Aglaja Veteranyi è una chiave potente. Un acquerello geniale che ci aiuta a capire la fatica del vivere, in Romania, in Svizzera o altrove, poco importa. «Il circo è sempre all'estero». Nel terrore quotidiano per la madre che volteggia appesa per i capelli esorcizzato dal racconto del bambino che cuoce nella polenta. O, per altro verso, nell'abbandono in collegio, terreno fertile di esercizio di violenza e potere da parte di una qualsiasi signora Hitz che ti ossessiona con i bambini poveri che in Africa muoiono di fame (senza mai essere stata né in Romania, né in Africa). O, ancora, nell'ordinario abisso della vita, dove «l'inferno è dietro il paradiso».

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La Guerra civile americana
La prima di copertina del libro

Bruce Levine

La Guerra civile americana

Una nuova storia

Einaudi, 2015


«Nel 2008 Barack Obama viene eletto presidente degli Stati Uniti d'America. Per la prima volta un uomo con la pelle del colore degli schiavi guida il più potente paese al mondo, dove pure vigevano fino agli anni '60 leggi segregazioniste. Cambio di scena e nel 2016 al suo posto sale alla Casa Bianca Donald Trump, espressione nemmeno troppo nascosta del white pride, l'orgoglio bianco. Com'è potuto accadere?

Guardando in quali Stati dell'Unione Trump ha avuto la maggioranza, emerge una geografia politica non dissimile a quella che nel 1861 portò alla Guerra di secessione americana. Alabama, Arkansas, Carolina del Nord e del Sud, Florida, Georgia, Louisiana, Mississipi, Texas e Virginia rappresentavano l'America profonda che si batteva contro l'abolizione dello schiavismo, molto diffuso proprio al sud.

Oggi questi stessi Stati hanno permesso l'elezione di Trump, esprimendo un orientamento politico-culturale conservatore quando non apertamente razzista. E' sempre in questi territori, tra l'altro, che il richiamo alla sicurezza personale si traduce nel maggior indice di diffusione delle armi da fuoco. Diverse possono essere le ragioni – dalla struttura economica a quella demografica – ma tra esse va tenuta in considerazione la mancata elaborazione delle vicende storiche, tanto della pulizia etnica verso le popolazioni native quanto della segregazione razziale».

Mauro Cereghini, Michele Nardelli

“Sicurezza” (Edizioni Messaggero, 2018)


Ora, con l'approssimarsi delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America e di fronte al clima di scontro senza esclusione di colpi che polarizza non solo la campagna elettorale ma anche l'elettorato nordamericano, ho cercato di approfondire una delle pagine più tragiche della pur breve storia di quel paese, considerato che quella più antica e profonda è stata praticamente cancellata dai coloni europei. Parlo della guerra di secessione o, come viene chiamata negli USA, della guerra civile americana che dal 12 aprile 1861 al 23 giugno 1865 provocò più di un milione di morti. Una guerra che anticipò – nel rapporto fra tecniche belliche e rivoluzione industriale (l'introduzione delle armi automatiche) – il secolo degli assassini.

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Beirut
copertina
Samir Kassir

Beirut

Storia di una città

Einaudi, 2009
 

Di fronte alle tragiche imamgini di queste ore, un piccolo omaggio alla città di Beirut raccontata magistralmente da Samir Kassir, uno degli intellettuali più prestigiosi del mondo arabo che della sua primavera fu protagonista e vittima.

«Da sempre Beirut, tra i bagliori di una città aperta - al tempo stesso orientale e occidentalizzata, cristiana e musulmana, moderna ma profondamente radicata in una storia che ha visto passare Pompeo, Saladino, i Pascià Jazzar e Ibrahim - e gli incubi di un luogo esposto di continuo alla guerra, con i suoi abitanti di svariata provenienza, i suoi scrittori e artisti, i suoi contrasti ed eccessi, continua ad alimentare limmaginario piú variegato.

Restituendo alla città i mille volti della sua storia, Samir Kassir ci racconta le grandi contraddizioni della prima metropoli del mondo arabo. Spesso idealizzata in passato per lo scenario felice e la natura lussureggiante, nella seconda metà del Novecento Beirut vive la sua età delloro, ponendosi al centro di interessi economici che superano i confini della piccola Repubblica Libanese.

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Oltre il Novecento
il vecchio libro di Revelli

Marco Revelli

Oltre il Novecento

La politica, le ideologie e le insidie del lavoro

Einaudi, 2001
 

Secolo della democrazia e dei totalitarismi, della violenza dispiegata in misura mai prima conosciuta e della decolonizzazione su scala globale, della società opulenta e della fame del mondo: il Novecento appare, da qualunque prospettiva lo si guardi, come “il secolo dell’ambivalenza”. Un grande libro.

La grande cecità
La copertina del libro

Amitav Ghosh

La grande cecità

Neri Pozza Editrice, 2017

 

«La leggerezza e l'agilità della scrittura di Ghosh riescono a mantenere tutta l'urgenza e le ombre di qualcosa che non riusciamo davvero a guardare: il destino dell'umanità». Giorgio Agamben

L'umiltà del male
La prima di copertina del libro

Franco Cassano

L'umiltà del male

Laterza, 2012

 

Nella partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all'antica confidenza con la fragilità dell'uomo. Chi vuole annullare quel vantaggio deve riconoscersi in quella debolezza, invece di presidiare cattedre morali sempre più inascoltate.

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E allora le foibe?
La prima di copertina del libro

Eric Gobetti

E allora le foibe?

Edizioni Laterza, 2020



Per anni ho cercato di affrontare la tragedia che si è consumata nel corso del Novecento in quell'incrocio particolare di storie, culture, popolazioni che è – a seconda degli sguardi – il confine nord orientale, oppure quello nord occidentale, l'Alto Adriatico, la soglia dei Balcani o il limes fra latinità, slavismo e mondo tedesco, rifuggendo da letture manichee e nazionaliste.

E bene fa Eric Gobetti nel suo “E allora le foibe” uscito nelle scorse settimane a proporre come incipit del suo lavoro la necessità di rivedere i concetti che sin qui sono prevalsi nella lettura di quegli avvenimenti (e più in generale nella vecchia geografia politica), a cominciare da quello di “stato-nazione” rivelatosi tanto perverso da segnare tragicamente il secolo che così disinvoltamente quanto sbrigativamente ci siamo messi alle spalle.

Soprattutto per chi ha avuto in sorte di nascere lungo quel limes, è difficile prescindere da quell'intreccio (o meglio sarebbe dire da quell'ingorgo) identitario, fra improbabili radici nazionali, anagrafi storpiate, toponomastiche piegate al volere del potere di turno, appartenenze e narrazioni ossessive.

Nella mia terzietà, ho cercato di non eludere il conflitto, parlandone senza cadere nella vulgata spesso retorica delle parti, gettando ponti quasi sempre non voluti e poco apprezzati, iscrivendo gli avvenimenti nel contesto storico e geopolitico in cui si è consumata questa complessa vicenda, dando credito per quanto possibile alla verità dei fatti e riconoscendo il dolore di ciascuno. Avvalendomi del prezioso lavoro di chi, con analogo approccio e ben maggiore capacità di ricostruzione storica, ha dedicato alla vicenda di cui stiamo parlando una parte significativa del proprio impegno.

 

 

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Il monito della ninfea. Un libro sul nostro tempo
La prima di copertina del libro

di Michele Nardelli

Attraversare le aree colpite dalla tempesta Vaia era come realizzare un'indagine sul nostro tempo. Solo questo avevo abbastanza chiaro quando poco più di un anno fa ho chiamato Diego Cason per andare a visitare quel che rimaneva dei boschi devastati delle Dolomiti bellunesi.

Il triste spettacolo che già avevo visto sulle montagne del Lagorai e nelle Valli di Fiemme e di Fassa in Trentino si ripresentava nel Comelico, nell'Agordino o nel Cadore, con la percezione sempre più nitida che quanto stavamo osservando rappresentasse, nel suo carattere inedito nelle valli dolomitiche, una nuova frontiera di quella ricerca che andavo svolgendo da tempo nel “Viaggio nella solitudine della politica”.

Tanto da dedicarvi qualche mese più tardi un vero e proprio itinerario fra Trentino e Friuli, passando per il Sud Tirolo e la provincia di Belluno, attraverso i 42.525 ettari della devastazione dell'ottobre 2018, lungo quel limes che nel trascorrere dei mesi andava accomunando la tempesta Vaia all'acqua alta a Venezia, lo sciogliersi dei ghiacci dell'Artico o della Marmolada al fuoco che devastava (e ancora sta devastando) l'Australia, il formarsi inarrestabile di immense magalopoli e l'insorgere di insidiose patologie come il coronavirus... a pensarci, facce diverse della medesima insostenibilità.

La pagina del Corriere del Trentino e del Corriere dell'Alto Adige di Ugo Morelli dedicata al libro

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Un omaggio al filosofo Remo Bodei
La prima di copertina del libro

Remo Bodei

Limite

il Mulino, 2016

 

«... resta pur sempre valido il monito espresso dall'immagine della ninfea che raddoppia quotidianamente le sue dimensioni, di modo che, il giorno che precede la copertura dell'intera superficie dello stagno, la metà ne resta ancora scoperta, per cui quasi nessuno, alla vista di tanto spazio libero, è portato intimamente a credere all'imminenza della catastrofe...»

 

(8 novembre 2019) La notizia arriva attraverso il notiziario radiofonico di Rai 1 di stamane. E' morto il filosofo Remo Bodei. La cosa mi colpisce oltremodo, non solo perché ne conoscevo il valore e una piccola parte delle sue opere, ma perché in questi giorni uno dei suoi ultimi lavori stava sulla mia scrivania, per aiutarmi nella scrittura del libro al quale sto lavorando e dedicato a Vaia, la tempesta che un anno fa ha devastato migliaia di ettari di bosco nelle Dolomiti.

 

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Tito e i suoi compagni
La sopracoperta del libro

Jože Pirjevec

Tito e i suoi compagni

Einaudi, 2015

 

(29 gennaio 2016) E' uno sguardo sul Novecento quello che ci propone Jože Pirjevec in questo minuzioso lavoro di ricerca storica (620 pagine, 1722 note bibliografiche) sulla figura che più di ogni altra ha caratterizzato la vicenda di un paese come la Jugoslavia, sorto e scomparso nel corso del secolo breve.

Non è solo una questione di date. C'è dell'altro, che ben interpreta la lucida follia di questo secolo, le sue “sovrumane promesse” e le grandi tragedie che il Novecento ci ha lasciato in eredità.

Ci si dovrebbe chiedere, semmai, le ragioni che hanno portato un piccolo paese ad essere al centro del mondo. Perché, a pensarci bene, il Novecento nasce e muore a Sarajevo. Perché qui avviene la più forte resistenza popolare al nazifascismo. Perché è la Jugoslavia di Tito a rompere nel 1948 il monolitismo del blocco sovietico. Perché è sempre qui che prende il via l'idea del “non allineamento”, movimento che accompagnerà nel secondo dopoguerra la fine del colonialismo. Perché è ancora qui che negli anni '90, dopo mezzo secolo e nel cuore dell'Europa, riappariranno i campi di concentramento della pulizia etnica. E come anche un piccolo centro possa contenere – lo insegnano gli esoterici – tutto il mondo1.

 

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Maestri irregolari
La prima di copertina del libro

Filippo La Porta

Maestri irregolari

Una lezione per il nostro presente

Bollati Boringhieri, 2008

 

Parlare di maestri in questo nostro tempo, in cui l'esperienza è così accelerata e impoverita da non essere quasi più trasmissibile, e in cui sembra essersi compiuta la profezia di una società senza padri, suona paradossale. Sfidando l'inattualità, Filippo La Porta ci indica un pugno di figure esemplari: Nicola Chiaromonte, George Orwell, Simone Weil, Albert Camus, Ignazio Silone, Arthur Koestler, Carlo Levi, Hannah Arendt, Christopher Lasch, Pier Paolo Pasolini, Ivan Illich. La loro esemplarità non ha nulla di intimorente, non prevede adesioni dottrinarie, né appartenenze chiesastiche.

Non si tratta di padri, ma di fratelli maggiori, oggetto di un sentimento morale oggi caduto in discredito, l'ammirazione. Espulsi di fatto dal nostro orizzonte culturale, disinnescati da morti dopo essere stati scomodi o inassimilabili in vita, i loro ritratti lasciano affiorare più di una parentela ideale, al di là delle solidarietà contingenti, dei moti simpatetici che qualcuno ebbe per l'altro.

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Bonavia, un grande romanzo europeo
La prima di copertina del libro

Dragan Velikic

Bonavia

Keller editore, 2019



«... Si stanno spegnendo gli anni Ottanta. Manca ancora poco perché si crei il ritmo, perché il meccanismo batta il tempo in maniera più veloce e forte, dopodiché tutti loro, poveri e inconsolabili, affonderanno nel tempo eterno della nazione. Si raduneranno sotto le bandiere, lì dove la sconfitta viene cantata come vittoria. Maggiore sarà la sconfitta individuale, maggiore sarà la vittoria per l'intera comunità. La giustizia storica è in arrivo, il tempo della resa dei conti. Una nuova versione della storia. …

L'intelligenza da bar si travasa rapidamente. Gocciola da tutte le parti. La terra si inzupperà di sangue. Finora solo parole vuote che minacciano di soffocare tutto. Siamo solo all'inizio. Incomprensione, confusione, paura. Poi follia. Poco importa se l'origine è nelle soffitte borghesi di Zagabria o nelle pietraie dell'Erzegovina. Quando il primitivismo, il male e la povertà acquistano voce, comincia lo sfacelo. Nulla è più importante. Diventano uguali sia il contadino sia l'inviata in prima linea sul fronte che appare sugli schermi tv con il suo ciuffo viola. E' l'odio che parla. Finalmente anche noi, scarti degli scarti, abbiamo preso la parola. Successivamente prenderemo gli appartamenti e le pensioni da veterani di guerra. Il momento del primo risveglio. Chi lo avverte in anticipo, chi riesce a intuire cosa cantano i cori notturni diventa l'eroe del nostro tempo. Noi, ladri di cadaveri. Insieme ai giornalisti che arrivano da tutto il mondo per una loro porzione di storia, per riempire le taniche di catarsi e consegnarla agli spettatori nei telegiornali di punta. Assoluzione per tutti.

 

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Il mito moderno del progresso
La copertina del libro

Jacques Bouveresse

Il mito moderno del progresso

filosoficamente considerato

a partire dalla critica di Karl Kraus, Robert Musil, George Orwell, Ludwig Wittgenstein e Georg Henrik von Wright

Neri Pozza Editore, 2018

 

«Intrisa di pensiero postmoderno, la nostra epoca potrebbe essere caratterizzata dal più completo scetticismo nei confronti delle grandi narrazioni  della modernità, se una nozione non continuasse a dominare imperterrita la scena: la nozione di progresso. Non vi è discorso pubblico di uomini politici, tecnocrati, economisti, imprenditori e finanzieri in cui la parola "progresso" non ricorra come una speranza, un compito, un obbligo cui attenersi. Il dovere di servire il progresso è, insomma, la vera e propria parola d'ordine del nostro tempo, la fede da fare propria per non incorrere nell'esclusione da ogni agire pubblico».

 

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