"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Acqua... lo specchio del tempo

Andric e il ponte sulla Drina

Ritorno nei Balcani, racconto di viaggio. Quarta puntata

(Agosto 2014) Anche quando non piove, l'acqua è un elemento che accompagna costantemente il viaggiatore balcanico, in particolare in Bosnia Erzegovina. Non c'è strada che non proceda lungo un corso d'acqua, un fiume o un lago che sia.

Ad accompagnarci lungo la prima parte del nostro itinerario era il mare Adriatico, affaticato dalle orde dell'uomo senza qualità, ma pur sempre ricco di fascino. Lasciatoci alle spalle il mare con i suoi inespugnabili arcipelaghi un tempo incubo dei veneziani, ripercorriamo a ritroso il corso della Neretva (uno dei tre fiumi della vecchia Jugoslavia che sfociano nell'Adriatico), il fiume che rappresenta l'anima di Mostar.

Prima ancora però di raggiungere la splendida capitale dell'Erzegovina, assistiamo a quella sorta di miracolo della natura che è la sorgente della Buna1, la cui portata alla fonte è considerata la più imponente d'Europa. Siamo alle porte di Mostar. Quando d'estate il sole picchia sulle brulle montagne riverberandosi sulla città, l'acqua fredda della Neretva ha l'effetto di creare un particolare microclima lungo le terrazze che l'acqua ha scavato in prossimità del ponte, rendendo il soggiorno particolarmente gradevole.

Proseguiamo lungo la valle della Neretva fino a giungere Jablanica dove il fiume forma un grande lago artificiale e, ancora, a Konijc dove salutiamo la Neretva. Ora è la Trešanica ad accompagnarci per un tratto del nostro percorso, poi la Sirovica che s'incrocia con la Jehovac. Di seguito incrociamo il fiume Zujevina che ci porta fino a Sarajevo dove versa le sue acque nella Bosna, il fiume che nasce a Iližda, l'area termale della capitale bosniaca con i suoi edifici austroungarici usciti malconci dall'assedio degli anni '90. Sarajevo è attraversata per tutta la sua lunghezza dalla Miljacka con i suoi ponti che hanno segnato la storia del Novecento.

Quando lasciamo la “Gerusalemme dei Balcani”, la strada sale per alcuni chilometri verso la montagna seguendo proprio il corso di questo fiume. Scolliniamo e ci imbattiamo in un altro corso d'acqua imponente, la Drina. Un tempo fiume impetuoso, oggi irregimentato da un sistema di dighe, mantiene comunque il suo carattere altero e misterioso. Giunti a Visegradla strada sale verso il confine con la Serbia seguendo il corso della Rzav. Poi altri torrenti e fiumi, tutti in un'unica direzione: il grande ecosistema danubiano. Il Danubio con i suoi 2888 chilometri è il grande fiume europeo che scorre entro (meglio dire oltre)i confini di dieci paesi (Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Bulgaria, Romania, Moldavia e Ucraina) mentre il suo bacino idrografico ne comprende altri nove (Italia, Polonia, Svizzera, Repubblica Ceca, Slovenia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Macedonia e Albania). Il fiume che più di altri rappresenta l'Europa, “il fiume sopra le nazioni”2. Ma qui entriamo in un'altra parte del nostro viaggio, di cui parlerò nel seguito di questo racconto.

Se l'acqua rappresenta il petrolio del futuro, allora la Bosnia Erzegovina – con una quantità d'acqua pro capite sette volte la media europea – è uno dei paesi più ricchi del vecchio continente. L'acqua è fonte di vita, ma anche di straordinari paesaggi naturali, di pratiche termali e sportive, di opportunità legate alla produzione di energia e a molto altro ancora. Ma, come spesso accade, la ricchezza di risorse può diventare motivo di impoverimento. Un po' perché c'è qualcuno che ci mette le mani sopra (ed è ciò che è accaduto con le privatizzazioni e con il tentativo delle multinazionali dell'energia di imbrigliare oltremodo i corsi d'acqua), un po' perché in un contesto fortemente deregolato (e la guerra è il massimo contesto di deregolazione) l'ambiente è una delle prime vittime.

Ricordo come nell'immediato dopoguerra bosniaco i corsi d'acqua fossero diventati delle vere e proprie cloache, dalle carcasse di automobili alle macerie delle case. Un'emergenza rifiuti tutt'altro che risolta se si pensa che oggi la forma di smaltimento più diffusa in questa parte d'Europa consiste nel bruciarli a cielo aperto, spesso in prossimità di corsi d'acqua. Per secoli, del resto – e sotto ogni latitudine – l'acqua ha rappresentato un modo normale di smaltimento dei rifiuti, ne sappiamo qualcosa anche in Italia e in Trentino. La differenza è che un tempo i rifiuti erano pochi e prevalentemente organici: con la rivoluzione industriale e l'invenzione della plastica le condizioni dello smaltimento sono radicalmente mutate.

Ne vediamo le conseguenze proprio lungo il corso della Drina, gonfio d'acqua ma anche di bottiglie di plastica che in lontananza, almeno a prima vista, sembrano un nuovo tipo di creature lacustri raccolte a migliaia dalle barriere poste in prossimità degli impianti idroelettrici. Le alluvioni che hanno sconvolto la regione nella scorsa primavera hanno reso la situazione ancora più difficile e proprio mentre attraversiamo le zone colpite qualche mese fa, di nuovo la situazione si fa critica. Una vera e propria bomba d'acqua ci ferma lungo la “partizanski put”, la strada dei partigiani che costeggia la Drina. Acqua sopra, acqua di lato, acqua dappertutto lungo mille rivoli che si formano “lungo strette gole fra montagne scoscese o profondi canyon dalle pareti a picco”3 che improvvisamente si aprono nella piana di Visegrad. Comprendo più che in ogni altra occasione la descrizione che ne fa Ivo Andrić a proposito della grande massa d'acqua che nei mesi delle piogge rendeva problematica la costruzione di un ponte là dove da sempre esisteva, per passare da una sponda all'altra del grande fiume, “il traghetto di Visegrad”.

Quel ponte composto da undici arcate imponenti, nato dalla fantasia di un bambino di Sokolovići rapito secondo il rituale dell'“adžami-oglan” e ritornato da Istanbul come gran visir Mehmed-pascià, rappresentava nel tempo in cui venne realizzato (i lavori finirono nel 1571) una straordinaria opera di ingegneria civile. Dopo anni di abbandono, oggi il ponte è cantierato per una ristrutturazione i cui lavori non sembrano dare segni di grande fervore. Come già quando venne realizzato a rallentare i lavori non è “la ninfa del fiume”4 ma qualcosa che sembra aver a che fare con la vita della “kasaba”, tanto che il viaggiatore si porta via l'impressione che il ponte sia diventato un oggetto ingombrante per una comunità che non riesce ad uscire dall'incubo nazionalista (che da queste parti spesso coincide con quello religioso) in cui s'è cacciata a partire dagli anni '90.

I cui segni sono evidenti non solo nelle croci innalzate come pezzi di artiglieria a difesa di immaginarie trincee di una guerra niente affatto elaborata e per ciò stesso infinita, ma anche nelle tragicamente concrete aree ancora minate, ordigni di morte che hanno continuato silenziosamente ad uccidere e che l'acqua delle alluvioni ha rimesso in circolo.

Quando arriviamo a Belgrado è finalmente una bella giornata di sole. Qui lo spettacolo d'acqua prosegue nell'incontro sotto la fortezza turca di Kalemegdan dei due grandi fiumi, la Sava e il Danubio. All'orizzonte l'area industriale di Pancevo bombardata dalla guerra umanitaria del 1999 la cui eredità in termini di inquinamento dell'acqua e del suolo non è ancora smaltita. Come non lo è l'arsenico delle miniere di Aurul nel Maramures rumeno, finito l'anno successivo nel Tibisco e poi nel Danubio grazie all'irresponsabilità di multinazionali senza scrupoli e di governi conniventi. Ma “il fiume della melodia”, come lo definiva il grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin, quand'anche provato, non ha mai smesso di rappresentare una straordinaria metafora europea.

Nel 2003 navigammo sul grande fiume da Vienna fino a Belgrado, in un battello che raccoglieva persone provenienti da tutti i paesi della regione, sfidando visti e confini. S'intitolava “Danubio, l'Europa s'incontra”5 e fu un'esperienza straordinaria tanto per la bellezza dei luoghi quanto per quello che ci lasciò sul piano culturale e politico. Fra qualche giorno, in un viaggio del turismo responsabile6 riprenderemo proprio qui a Belgrado quel testimone. (continua)

1 Il fiume Buna nasce in prossimità della tekjia di Blagaj, di cui ho già parlato in questo racconto di viaggio.

2 Claudio Magris, Danubio. Garzanti

3 Ivo Andrić, Il ponte sulla Drina. In “Romanzi e racconti”, Mondadori, 2001

4 Ivo Andrić, ibidem

5 “Danubio, l'Europa si incontra” - www.balcanicaucaso.org

 

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