"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Parlare di Europa alla Festa dell’Unità di Nomi

Europa, figlia di Agenore, re di Tiro (Fenicia)

di Giuliano Muzio

(Luglio 2022) La Festa dell’Unità di Nomi è ormai diventata una tradizione consolidata per il Trentino. Giunta alla sua 73° edizione, da tempo non si cura del fatto che il giornale da cui ha preso il nome non esista più, ma, grazie agli sforzi di una comunità che trova proprio nella festa un suo momento di coesione e rinnovamento, ha proseguito le sue attività con l’intento di offrire momenti di svago e di socialità, nel solco delle tradizioni ideali che l’hanno generata.

Quest’anno si trattava di riprendere dopo la forzata sosta pandemica e, purtroppo, di registrare il triste ritorno della guerra in Europa. Per questo, nel consueto momento di socialità della domenica mattina, solitamente dedicato ai canti corali della Resistenza, stavolta si è voluto parlare di Europa e si è deciso di farlo con Michele Nardelli che da anni, in modo tanto autorevole quanto originale, affronta il tema partendo da una prospettiva storica e culturale. È stato un bel modo di confrontarsi, ripercorrendo i passaggi storici che ci hanno portato alla situazione attuale. Constatando che hanno radici profonde, quasi millenarie, spesso ignorate, più o meno volutamente.

La riflessione, iniziata dall’Europa dell’anno mille e dai profondi influssi che all’epoca la cultura musulmana araba esercitava sul continente, ha avuto un suo cardine fondamentale: la crisi dello Stato Nazione. Raccogliendo l’eredità degli imperi coloniali, questa istituzione ci ha accompagnato negli ultimi 150 anni di storia, condizionando le nostre esistenze ed ergendosi a luogo privilegiato della difesa dei nostri interessi, generando numerosi conflitti di portata planetaria. Oggi, con le profonde trasformazioni in atto che riguardano l’economia, la politica e il nostro modo di vivere, lo Stato sembra entrato in un declino irreversibile, sulla spinta di dinamiche non più controllabili e gestibili a livello di singola comunità nazionale. Come superare, allora, questa fase profonda di crisi? Come riuscire a incorporare nei nostri ragionamenti il concetto di limite, che si è ormai chiaramente palesato ai nostri occhi e ci parla di una insostenibilità di uno sviluppo smisurato e miope?

In questo senso, a ben vedere, la guerra non è che la manifestazione plastica di questa crisi. Non a caso consumata a danno di chi sta ai confini (l’etimologia del termine Ucraina rivela proprio questa origine), tra Stati che trovano nella guerra la modalità più tristemente adeguata ai tempi per estendere i loro affari. Cibo per i signori della guerra, i predatori delle risorse che di per sé sarebbero più che sufficienti alla vita delle nostre comunità, ma che logiche distorte hanno piegato al servizio di pochi privilegiati.

Riscoprire la multiformità delle nostre radici, contro ogni prerogativa di pulizia etnica, sembra essere uno dei punti su cui fare leva. E tornare alle basi storiche dei processi che hanno generato le tensioni che oggi viviamo pare altrettanto necessario. Magari per scoprire che anche i Rus’ non sono altro che “i popoli che remano” (dall’etimologia), che si spostano, si contaminano, da sempre. Esiste quindi una complessità che va al di là della relativa semplicità delle comunità nazionali, omogenee, pure, definite. Esiste o deve esistere un approccio che riesca a vedere che anche dentro ogni singolo Stato, esistono pluralità di mondi. Proprio come dentro ciascuno di noi esiste il Caino che può potenzialmente distruggere e dominare.

Ci viene allora in soccorso un concetto che deriva dalla scienza. Il concetto di ecosistema, che rappresenta l’insieme degli esseri viventi che condividono un luogo fisico e delle relazioni che li legano tra loro. Questo potrebbe essere il punto giusto da cui ripartire. Non più quindi rigide istituzioni statuali plasmate sulle “comunità nazionali”, che sembrano avere fatto il loro tempo ed essere molto spesso inadeguate ad afferrare la complessità di quello che invece si muove continuamente dentro e fuori di loro. Ma sistemi adattabili, non rigidamente definiti, che si definiscono all’interno di comunità sovranazionali basate su sistemi valoriali. Vedremo se il tempo ci darà ragione.

Intanto, quest’anno, la domenica mattina alla Festa è scivolata via molto velocemente.

 

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