«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene

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Dove Sharon porterà Israele? Un articolo di Edward Said, ventiquattro anni dopo.
Sabra and Shatila Massacre, dell’artista iracheno Dia al-Azzawi (particolare)

Questo articolo è stato scritto l'8 febbraio 2001. Non è un errore, è stato pubblicato proprio ventiquattro anni fa. A scriverlo due anni prima di morire fu Edward Said, uno dei più prestigiosi intellettuali palestinesi, scrittore tradotto in ogni parte del mondo ("Orientalismo" il suo grande capolavoro) e docente alla Columbia University di New York, poco prima dell'elezione di un assassino come Ariel Sharon a primo ministro dello Stato di Israele. Come Said prevedeva, quella elezione sarebbe stata foriera di un tempo buio. Ma non immaginava certo così buio. Perché in questo quarto di secolo alcuni di quei caratteri che egli ben conosceva del sionismo sono diventati strategia genocida verso il popolo palestinese. Ma, ciò nonostante, credo che Edward Said avesse ragione nel ritenere che quella china non avrebbe che portato Israele al suicidio.

 

di Edward Said

Si racconta che il famoso scrittore Guy de Maupassant, subito dopo che fu costruita la Torre Eiffel, andasse in giro per la città a dire senza posa quanto non gli piacesse quella grossa struttura. Tuttavia, andava a pranzo ogni giorno nel ristorante della Torre stessa. Quando gli fu chiesto che cosa giustificasse questo paradosso del suo comportamento, Maupassant rispose tranquillo: "Ci vado perché è l'unico posto a Parigi da dove non si abbia a guardare e nemmeno si possa scorgere la Torre".

La mia impressione generale è che per la maggior parte degli israeliani la loro nazione sia invisibile. Abitare in essa significa una sorta di cecità o incapacità a vedere che cosa sia e che cosa sia stata e, di più, una mancanza di volontà di comprendere che cosa sia stata per gli altri nel mondo e in particolar modo nel Medio Oriente.

 

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Emilio Molinari. L'amore per la vita e il genio dell'amicizia.
Emilio Molinari

«Benvenuta la vita». Con queste parole Emilio e Tina, più o meno tre settimane fa, hanno salutato l'arrivo nella nostra casa di Baloo, un cucciolo di pastore maremmano che vi ha fatto irruzione con la gioia di chi scopre la vita. Se c'è un'espressione che forse più di altre può dirci di Emilio Molinari, credo sia proprio questa, benvenuta la vita. Potrebbe sembrare banale, perché certamente Emilio è stato, nel suo impegno sociale e politico, tanto anzi, tantissimo altro. Ma nel suo percorso umano che pure si intreccia indissolubilmente con quello politico, questo tratto – la gioia di vivere – emergeva più di ogni altro. Nell'affrontare le sfide sempre nuove che gli si presentavano davanti, nella curiosità con la quale si apriva al mondo, nella sensibilità del rinnovare il pensiero come nel non arrendersi alle patologie che di volta in volta si è trovato ad affrontare. Emilio amava la vita come pochi. Ha attraversato il suo tempo con la voglia di esserci e insieme di comprenderne i segni.

Basterebbe percorrere il suo tragitto per comprenderlo. Emilio è stato parte di una generazione nella quale un perito industriale della Borletti poteva divenire classe dirigente. Minoranza politica, s'intende, ma capace di declinare la condizione operaia con la conoscenza dei processi produttivi, la vita reale con lo sguardo sul mondo. E di trasferire questo sapere fin dentro le istituzioni della sua città, la Milano a cavallo fra gli anni '60 e '70, quel «laboratorio unico che produsse l'autunno operaio più lungo e il conflitto sociale più ricco» dove «si mischiavano volontà di cambiare e serietà, ideali forti con moderazione e ordine, fede e bisogno di cose concrete, ragionate, non urlate, non banalizzate in frasi ad effetto...»1

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Chi era Edward Said?
Edward Said

Pubblichiamo un estratto dalla prefazione di Tony Judt al volume di Edward Said, La pace possibile (Il Saggiatore).

Quando morì, nel settembre 2003, dopo aver lottato per un decennio con la leucemia, Edward Said era forse l’intellettuale più conosciuto al mondo. Orientalismo, il suo controverso libro sull’assimilazione dell’Oriente nel pensiero e nella letteratura dell’Europa moderna, ha dato origine a un intero filone di studi universitari, e a un quarto di secolo dalla sua uscita continua a suscitare irritazione, venerazione e tentativi di imitazione. Se anche non avesse scritto altro e si fosse limitato a insegnare alla Columbia University di New York – dove lavorò dal 1963 alla morte – Said sarebbe comunque uno degli studiosi più importanti del tardo Novecento.

Ma non si limitò a insegnare. A partire dal 1967, animato da una passione e da un’urgenza crescenti, Edward Said fu anche un commentatore eloquente e assiduo della crisi mediorientale e un sostenitore della causa palestinese. Questo impegno morale e politico a ben vedere non rappresentò uno spostamento dei suoi interessi intellettuali: la sua critica dell’incapacità occidentale di comprendere l’umiliazione dei palestinesi riprende l’interpretazione della letteratura e della critica dell’Ottocento condotta in Orientalismo e in opere successive (in particolare Cultura e imperialismo, uscito nel 1993). Tuttavia, questa scelta trasformò il professore di letteratura comparata della Columbia in una figura decisamente pubblica, adorata ed esecrata con pari intensità da milioni di lettori.

 

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Friuli - Venezia Giulia. Un nuovo patto interpretativo per rifondare la Regione
La prima seduta della Regione F-VG

di Giorgio Cavallo *

È’ iniziato il percorso di discesa per le modifiche costituzionali allo Statuto di autonomia del Friuli-Venezia Giulia. Mancano due passaggi parlamentari che non sembrano avere ostacoli se permane la stabilità politica attuale.

Per la verità il nodo della identificazione delle “aree vaste” elettive, nelle loro dimensioni (vecchie Province?), accanto a quello delle competenze e della legge elettorale non sarà un passaggio semplice nella sua evidente connessione con la fine incerta dell’era Fedriga. Quello che era stato pensato come una furbata decisiva per la stabilizzazione di un quadro politico indiscutibile può risolversi proprio nel suo inverso.

Pur con fatica, si cominciano ad intravvedere dei segnali che invitano a riflettere non solo sulla riorganizzazione degli enti locali ma proprio sull’adeguatezza della struttura regionale nell’affrontare le varie tempeste che l’attualità ci propone. Dalla geo politica alla stagnazione economica per arrivare alla crisi ambientale ed al crollo demografico. In termini di consenso, per un po’ continueranno a dominare le paure verso le immigrazioni ed i vari crimini, ma le carte possono rimescolarsi. Ed allora la domanda “a cosa serve la regione autonoma” potrà anche essere dilaniante.

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Quale Dio dopo Gaza
Milo Manara, Matite per la Palestina

Cari amici,

“Dio mio, Dio mio, perché ti abbiamo abbandonato?”. Questo rovesciamento del Salmo 22 sarebbe, come ci viene suggerito, la preghiera più appropriata a questo punto della storia umana: dovrebbe essere unanime, oltre ogni distinzione tra credenti e non credenti, perché dopo Francesco l’umanità non può che essere riconosciuta come una cosa sola, amata nella sua integrità, non condannata ad essere divisa tra “benedizione” e “maledizione” secondo la sorte che ne ha preconizzato Netanyahu all’ONU.

Tanto più questa unità si impone, quando nel pieno del genocidio di Gaza, compare la bomba più grande del mondo, che non ha neanche bisogno di essere nucleare per soggiogare e mettere a repentaglio la terra; una bomba che eventualmente, bontà sua, può cancellare il Cremlino, la piazza della Pace celeste a Pechino o il “Berlaymont” di Bruxelles, mentre provoca l’ovvia ritorsione dell’Iran. Allusivamente si chiama B2 (Bibi) Spirit, ispirata al patto d’acciaio che unisce il Pio Torturatore (in preghiera al Muro del Pianto) e il grande Mentitore che assicura due settimane di attesa mentre i suoi bombardieri sono già in volo senza scalo. Non c’è pietà, mentre il diritto, più che trasgredito, è oltraggiato, e la volontà di morte, che papa Francesco nelle sue ultime parole del messaggio di Pasqua sperava si rovesciasse in una umanità risorta, dilaga nel mondo.

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Val Senales: dal TAR di Bolzano lo stop all'ampliamento degli impianti sciistici a ridosso del ghiacciaio
Val Senales (foto da salto.bz)

L'intervento andava sottoposto a Vas e Vinca. CAI Alto Adige, Dachverband für Natur-und Umweltschutz, Lipu e Mountain Wilderness: basta impianti sciistici ad alta quota in aree già estremamente sofferenti per i cambiamenti climatici

Il Tar di Bolzano, con la sentenza n. 176 del 17.06.2025, accoglie il ricorso delle associazioni ambientaliste CAI Alto Adige, Dachverband für Natur-und Umweltschutz, Lipu e Mountain Wilderness che avevano chiesto di annullare la delibera della Giunta provinciale del 5 marzo 2024, che autorizzava l’ampliamento del comprensorio sciistico della Val Senales. Questo ampliamento avrebbe provocato gravi danni ad un’area alpina caratterizzata da maestose morene, laghi e una natura ancora nella maggior parte incontaminata.

La delibera della Provincia autonoma di Bolzano aveva approvato il progetto di ampliamento in Val Senales a 3000 m di quota circa, che prevedeva la realizzazione di una seggiovia a 6 posti, per una lunghezza dell’impianto di risalita di circa 1 km, di una stazione a valle e una a monte, oltre a nuove piste di circa 2,6 ettari, in un’area tutelata dal Piano Paesaggistico del Comune di Senales classificata “zona rocciosa-ghiacciaio”. Si tratta infatti di una zona di transizione alpina - subalpina, che si trova all’interno dell’area sensibile dell’Hochjoch, in gran parte priva di vegetazione ed il cui paesaggio è caratterizzato da imponenti campi morenici.

La sentenza del TAR

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Vivere da cittadini, lavorare con dignità. Un appello
Migranti e lavoro, il referendum ci riguarda

 

Il Premio Nobel Giorgio Parisi, le politologhe Donatella della Porta e Nadia Urbinati, il farmacologo Silvio Garattini, lo storico dell’arte Salvatore Settis sono tra i 40 promotori di quest’appello che invita a votare per i 5 referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno 2025.

Siamo in un mondo segnato da instabilità e conflitti, siamo in un’Italia in declino, tra crisi economiche e fragilità sociale. L’incertezza sul futuro condiziona la nostra vita e colpisce in particolare le generazioni più giovani. Le regole che ci diamo, tuttavia, sono lo strumento che abbiamo per ridurre quest’insicurezza.

Negli ultimi anni le condizioni di incertezza e precarietà sono state aggravate anche da alcune politiche che regolano la nostra vita e il nostro lavoro. Diventare cittadini italiani è diventato più difficile per chi è di origine straniera. Le tutele del lavoro sono state ridotte, con effetti negativi sulla qualità dell’occupazione, sui salari, sulle disparità tra uomini e donne, sulla sicurezza sul lavoro. Politiche di questo tipo hanno alimentato la sfiducia, allontanato le persone dalla politica, aggravato la crisi della democrazia. Non è una deriva inevitabile. Le regole e le politiche possono essere cambiate per dare più protezione a chi vive e lavora in Italia.

 

 

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