"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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mercoledì, 16 settembre 2015Fabbrica dismessa

Territorialismo, l'ultimo appello. Quel cambio di paradigma che fatica a realizzarsi.

E poi, finita la bella festa di compleanno di Joan, fra una tempesta d'acqua e una di vento che a voler vedere ci dice più di tante conferenze sul clima, andiamo con Gabriella (che nel frattempo mi ha raggiunto) verso Milano dove lunedì si svolge l'annunciato seminario promosso da Giuseppe De Rita, Fabrizio Barca e Aldo Bonomi sul tema "Sviluppo locale e territorio".

Lungo la strada che da Vigevano ti porta ad Abbiategrasso, al Lorenteggio fin dentro quella che un tempo si definiva la capitale morale di questo paese, abbiamo un doloroso spaccato di quel che la fine di un modello di sviluppo ha prodotto.

Il degrado delle aree industriali dismesse, degli edifici e delle case abbandonate, comprese le splendide cascine sul Naviglio grande, ci racconta in realtà qualcosa di più della crisi prodotta dalla delocalizzazione delle imprese e dai processi di finanziarizzazione dell'economia. E' come se l'insieme di un modello produttivo e di relazioni sociali fosse svanito lasciando dietro di sé solo macerie. Tanto che anche i cartelli con la scritta “vendesi” o “affittasi”, ancora diffusi, fossero una semplice pro-forma che già si sa che nessuno prenderà in considerazione.

La natura, qui nelle sue forme postmoderne, prende velocemente il sopravvento coprendo confusamente di arbusti ed erbacce quel che l'uomo ha prodotto in poco più di trent'anni, un soffio se confrontato con la scala del tempo, ma irreversibile se solo pensiamo ai costi di bonifica di tutto questo spazio cementificato e avvelenato. Il degrado non risparmia neanche le strade, vittime dell'incuria ma anche dalla soppressione delle Province che avevano in capo questa competenza e probabilmente svanita nella furia di rottamazione in chiave populista del vecchio assetto istituzionale.

Il susseguirsi di scheletri è impressionante. Tra gli altri quello della Mivar, la prima televisione di tanti della mia generazione, fabbrica chiusa lo scorso anno lasciando un edificio spettrale di mattoni, ad immagine e somiglianza del suo vecchio proprietario dichiaratamente nazista. Fra le rovine del “secol superbo e sciocco” scorgo – beffarda – una via dedicata a Giacomo Leopardi.

La lunga coda di automobili procede come un serpente mattutino verso la città. Mi chiedo quali pensieri possano scorrere nella mente di chi quotidianamente si trova a percorrere queste strade e questi scenari, ma so che è molto facile guardare senza vedere.

Quando raggiungiamo il cuore di Milano (la nostra conferenza si svolge presso la Fondazione Mattei in Corso Magenta) tutto sembra tirato a lucido, come se qui fossimo in un altro mondo. I principali relatori della mattinata s'interrogano su quanto spazio sia ancora rimasto in questo lungo passaggio di tempo fra il “non più” e il “non ancora” alla riflessione territorialista, a quel diverso approccio che per anni ha cercato di dare cittadinanza alle istanze (non solo di pensiero) dei luoghi nel diffuso immaginario statalista. Una sorta di “ultimo appello” per quella che qualcuno definisce una “nicchia di pensiero”, destinata – è la mia impressione – a rimanere tale.

La riflessione sembra infatti incartarsi attorno al rapporto fra Stato e territori, come se il cambio di paradigma, che pure emerge come necessità in qualche intervento, rappresentasse un dettaglio. Lo ha ben compreso Aldo Bonomi che lo invoca nella sua relazione, così come nel confronto che segue il professor Enzo Rullani (Facoltà di Economia dell'Università Ca' Foscari di Venezia) che con ancora più forza invoca questo scarto di pensiero. Ma in che cosa consiste questo cambio fatica ad emergere, forse anche perché questo metterebbe in difficoltà chi fra i presenti ancora pensa alla centralità dello stato nazionale. Perché questa è la questione: andare oltre il paradigma dello stato-nazione.

Invece c'è poca Europa, c'è poco federalismo europeo, questa è la mia sensazione. Del resto qui siamo nell'ambito di Expo 2015, delicati equilibri e delicate compatibilità. Ma se i territori vengono sorvolati dalla politica nazionale (fuori scala e per questo in crisi) e per il combinato disposto fra il centralismo e le rappresentazioni locali della politica nazionale che hanno inteso il territorio come ambito di potere feudale in chiave altrettanto centralistica, è perché nel vecchio paradigma si è ancora largamente immersi. Paradossalmente più che in passato, quando l'Europa delle regioni era un programma politico. E se i “cacicchi” di cui parla Giuseppe De Rita tengono in scacco i territori, questi altro non sono che il prodotto di quella cultura neocentralistica e plebiscitaria cresciuta nella crisi della politica e che con la responsabilità dell'autogoverno non ha nulla a che fare. Ne abbiamo uno spaccato in Trentino.

I processi di trasformazione non richiedono scorciatoie. Al contrario necessitano di un paziente lavoro culturale, fatto di ricerca, capacità di sperimentazione, educazione alla responsabilità e, infine, di creatività politica. Ed è forse quest'ultimo aspetto che fatica ad emergere nell'incontro di Milano, anche perché su questo terreno c'è in giro davvero poco o nulla. E, mi permetto di dire, perché se è ammesso (anzi quasi scontato) parlare male della politica, ci si guarda bene dal cimentarsi su questo terreno, opportunisticamente coperti nei propri (piccoli o grandi che siano) ruoli di potere.

Conclusa la mattinata e con queste sensazioni in testa, decido di andarmene verso casa. Il mio piccolo tour volge al termine. Arrivati a Peschiera, scegliamo come via di avvicinamento a Trento la Gardesana orientale che non percorro da tempo. Il lago di Garda, nonostante il carico antropico e troppi anni di governo all'insegna del liberismo (il cui simbolo è la navigazione a motore, proibita nel ramo trentino), mantiene inalterato il suo fascino. Un ambiente mediterraneo alle soglie di quello alpino, una macchia che mi fa sentire ancora per qualche ora nel Levante ligure, il sole che scotta e, improvvisamente, anche qui una tempesta d'acqua e vento. Dovrebbe riportarci al cambiamento climatico di cui c'è consapevolezza diffusa ma non ancora sufficiente per un altro scarto di pensiero che non c'è, la cultura del limite.

domenica, 13 settembre 2015Il mare dal balcone di Emilio a San Pietro di Rovereto

Venerdì mattina mi sono svegliato immerso nel verde delle colline di Fiesole. Il centro studi nazionale della Cisl è ospitato in un'antica villa signorile che negli anni '50 del secolo scorso venne adibita a luogo formativo, attività che prosegue ospitando le strutture nazionali ed internazionali di quel sindacato e delle sue categorie, ma non solo. Nelle aule e negli spazi ricreativi del centro studi puoi incontrare le esperienze più diverse della società civile che qui provano a “darsi il tempo” per interpretare un presente in rapida trasformazione.

E' questo del resto quello che proviamo a fare nei due momenti del percorso formativo ai quali sono stato invitato, nell'indagare uno spazio europeo che fatica ad entrare nell'immaginario collettivo come l'orizzonte per un pensiero sovranazionale e nell'immaginare la cooperazione internazionale come un terreno ineludibile per un lavoro sindacale che intenda fare i conti con l'interdipendenza.

I partecipanti al corso internazionale sono attivisti sindacali provenienti dalle diverse regioni italiane, ormai multicolori almeno a vedere i caratteri somatici delle persone che ho davanti a me, che per un'intera settimana si confrontano con i temi di un presente complesso da decifrare, ancor più da abitare. Venendo qui pensavo ad un uditorio giovane, in realtà i presenti esprimono una dimensione intergenerazionale nella quale si confrontano necessariamente sguardi ed esperienze di vita molto diverse. Insomma, un pubblico esigente, persone che tutti i giorni si trovano a doversi confrontare con situazioni difficili, dove gli effetti della globalizzazione si fanno sentire nei luoghi di lavoro come nel vivere quotidiano e con essi le paure, le preoccupazioni, gli umori, talvolta il rancore che investe un lavoro che non riesce più a dare identità.

Non sono qui per lisciare il pelo a tutto questo, so di dire cose spesso sgradevoli ma è con questa realtà dura e complessa che dobbiamo imparare ad interagire. Così tanto su questa Europa politica invisa agli stati come alle loro opinioni pubbliche, come sull'imperversare di una cooperazione internazionale appiattita sull'aiuto allo sviluppo (e sulla propria autoreferenzialità) e anche per questo in profonda crisi, provo ad aprire lo sguardo di queste persone, lo spaccato di una classe dirigente sindacale intermedia che di un cambio di pensiero ha bisogno come il pane per svolgere bene il proprio lavoro. Qualcuno mi dice che tutto questo corrisponde al suono di un violino nel fracasso di una discoteca... Eppure, di una narrazione del presente che non sia banale né riconducibile ad uno schema interpretativo che non funziona più, capace di descrivere la postmodernità e l'interdipendenza, avvertono il bisogno. E' tanto tempo che non ho più a che fare con il mondo sindacale, ma vedo che i corsisti mi seguono con grande attenzione e tanto nelle domande come nel colloquiare fuori aula avverto di aver toccato tasti sensibili. Il che non era affatto scontato. Francesco Lauria, che del centro studi internazionale della Cisl è responsabile per la formazione e la progettazione europea (ho conosciuto Francesco anni fa lungo le mie rotte balcaniche e federaliste: così coinvolto da sviluppare la sua tesi di laurea sul “progetto Prijedor” e sulla democrazia locale), mi trasmette la sua soddisfazione e questo mi conferma nell'utilità di percorrere questa strada di impegno.

§§§

Il giorno seguente il risveglio mi coglie a San Pietro di Rovereto, nel comune di Zoagli, riviera del Tigullio, Levante ligure. Dal balcone dove scrivo queste pagine del mio diario ho un'incantevole vista sulla macchia mediterranea e sul mare, che ti riconcilia con la bellezza della natura e delle relazioni costruite lungo il proprio percorso di vita. La casa è quella che Emilio e Tina hanno preso qualche anno fa in affitto in questo angolo di paradiso, parte di un piccolo borgo fuori dalle rotte del turismo ricco e snob che spesso s'incontra da queste parti, dove la vita è scandita dal rintocco delle campane delle chiese di San Pietro e di Sant'Andrea, un piccolo negozio di alimentari ed un bar ancora più piccolo che ti dicono di una comunità che resiste alle lusinghe degli ipermercati e del vuoto d'anima che i lungomare plastificati del turismo di massa esibiscono con tanta arroganza omologante.

Un balcone alto sul mare, un buon bicchiere di vino, qualche vela all'orizzonte... quale miglior contesto per confrontarsi sui segni del tempo? Con Emilio Molinari un pezzo di militanza comune negli anni di Democrazia Proletaria, quando insieme iniziavamo a riflettere fuori dagli schemi delle vecchie tradizioni di pensiero che albergavano in quel piccolo partito che si voleva “dalle grandi ragioni” ma che, giunto alla fine di una storia, non seppe andare a fondo in una ricerca originale capace di andare oltre. Continuammo a cercare, ciascuno in luoghi diversi, pensieri che pure nella loro fertilità continuavano a rimanere di minoranza. Proseguendo, nel caso di Emilio, un percorso sempre esigente nell'ambientalismo politico e nei movimenti per il diritto all'acqua; trovando in Trentino, nel mio caso, il modo di diventare parte costituente di quell'anomalia politica che permise di rappresentare per quasi vent'anni una terra non piegata dalla paura e dallo spaesamento. E nell'Europa di mezzo lo sguardo strabico per comprendere quel tempo nuovo che, smentendo le aspettative seguite alla gioia della caduta del muro di Berlino, avrebbe ben presto preso le forme delle nuove guerre e del turbocapitalismo.

Certamente protagonisti del nostro presente, segnati forse dal disincanto dell'esperienza ma sempre incuriositi da quel tempo maledettamente interessante che ancora osserviamo disponibili alla bellezza della meraviglia.

Mi piace di essere qui, su questo balcone, come a sfidare il peso del tempo e i tratti della barbarie che crescono ovunque intorno a noi.

giovedì, 10 settembre 2015Massimo Gorla e Emilio Molinari

Sono felice di partire fra un paio d'ore per un piccolo viaggio attraverso l'Italia. Sarò oggi e domani a Firenze, dove questa sera, al centro studi internazionali della Cisl di Fiesole, partecipo alla presentazione del libro "L'Europa in discussione" che raccoglie una serie di riflessioni proprio sulla crisi del progetto europeo, mentre domattina sarò relatore in quella stessa sede al seminario "La cooperazione (sindacale) internazionale nell'economia dell'interdipendenza". ...Venerdì sera sono invece a Chiavari (in Liguria) per vedermi con Emilio Molinari, compagno e amico di una vita di impegno politico e sociale. Di tanto in tanto ci scambiamo lunghe telefonate, ma il piacere di rivederci ha a che fare, oltre che con l'amicizia, con lo sguardo inquieto sulle cose di questo mondo. Poi sabato e domenica a Camogli per festeggiare con tanti amici il compleanno di Joan Haim, in quella casa che ho nel cuore per le nostre lunghe conversazioni insieme a Massimo Gorla, carissimo amico che se ne è andato qualche anno fa. Infine lunedì a Milano, per il seminario promosso da Barca, De Rita e Bonomi nell'ambito di Expo 2015 sulle esperienze di sviluppo territoriale. La bellezza del coltivare idee e relazioni...