Pace e diritti umani

Lettera a Papa Francesco: «Mandi un'ambasceria»
Lettera scritta a mano

 

«Noi sentiamo che per uscirne ci vorrebbe una grande conversione di culture e di politiche che coinvolgesse grandi moltitudini, ma siamo pure convinti che, grazie alla infinita dignità e alle potenzialità di ogni singolo essere umano, anche una sola persona, in date circostanze, può essere lo strumento perché il mondo sia salvato».

Una lettera aperta proposta da Raniero La Valle e condivisa da centinaia di esponenti della società civile, della cultura e della politica

 

(3 maggio 2022) Santità, Papa e Pastore, Padre e Fratello nostro Francesco o come ognuno di noi preferisce chiamarla da diverse sponde culturali e religiose,

conoscendo i suoi strenui sforzi per la pace e uniti all’ansia di milioni di persone che anelano a costruire un mondo di giustizia concordia e diritto, desideriamo esprimerle la nostra angoscia per la cattiva e letale forma di convivenza che si sta stabilendo a livello globale, non solo per la guerra in corso, contro le speranze di un mondo più prospero e sicuro che erano nate sul finire del secolo scorso. Metà di quel secolo lo abbiamo vissuto col terrore della bomba atomica e delle sue ulteriori degenerazioni, ma se il terrore era un cattivo sentimento il suo effetto positivo è stato di prevenire e impedire una guerra nucleare, essendo diventata cultura comune la novità enunciata dal suo predecessore Giovanni XXIII che la guerra stessa, per questa ragione, fosse diventata del tutto irragionevole. Tuttavia la ragione non è l’unico movente dell’agire umano, e talvolta fallisce o può essere tradita, sicché oggi quell’impedimento alla guerra, e tanto più alla guerra totale, sembra non più cogente e affidabile. Una guerra in più, oltre alle molte già patite, si è oggi scatenata con effetti imprevisti e gravissimi, e se provoca un inedito spavento, suscita il pianto alla vista di ogni singola persona o casa o opera travolta dalla devastazione e dalla morte.

Il sentimento impellente è che il mondo debba essere salvato, ma nonostante le buone volontà che pure sono presenti, non sembra che ve ne siano oggi le premesse, anzi il pericolo per la condizione umana va di giorno in giorno crescendo. Noi sentiamo che per uscirne ci vorrebbe una grande conversione di culture e di politiche che coinvolgesse grandi moltitudini, ma siamo pure convinti che, grazie alla infinita dignità e alle potenzialità di ogni singolo essere umano, anche una sola persona, in date circostanze, può essere lo strumento perché il mondo sia salvato. Le chiediamo di essere Lei a prendere l’iniziativa di un tale tentativo. 

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L’irresistibile vertigine della guerra
1-4-2022, pesce d’aprile sulla spiaggia di Odessa con una fregata russa di cartone - Getty images

In questo vuoto è come se non ci fosse nessuna alternativa credibile alla risorsa assolutizzata delle armi, né diplomazia, né sostegno alle vittime con la mobilitazione di pace

di Marco Revelli *

«Va chiamata ‘vertigine’ ogni attrazione il cui primo effetto sorprenda e disorienti l’istinto di conservazione». Così scriveva Roger Caillois in un testo dell’esilio sudamericano, pubblicato nel 1943 ma risalente agli anni appena precedenti, quando la catastrofe della guerra mondiale si avvicinava ed esplodeva. In questo caso, spiegava, «l’essere è trascinato alla rovina e come persuaso dalla visione del proprio annientamento a non resistere alla potente fascinazione che lo seduce terrorizzandolo».

Per l’insetto, aggiungeva, «è lo sfolgorare della fiamma, per l’uccello sono gli occhi fissi del serpente». Per l’uomo è l’attrazione irresistibile del vuoto. In particolare di quel vuoto estremo che è la guerra: il vortice della distruzione in cui ogni volontà individuale è travolta di fronte al dominio assoluto dell’elementare, e privata del potere, costitutivo dell’esistenza, «di dire di no». Ho ripensato a queste parole nelle settimane scorse, in cui la guerra ha invaso, senza trovare resistenza, le nostre vite e le nostre menti, trascinandoci tutti, società e individui, nel suo vortice, con le sue categorie totalizzanti e totalitarie che non lasciano spazio al pensiero complesso, soprattutto che assolutizzano la sola risorsa delle armi (lo strumento per eccellenza concepito per «fare il vuoto»).

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Preparare la pace. Un appello
Addio alle armi.

Quello che segue è il testo di un appello presentato a Trento da un folto gruppo di persone espressione della società civile della nostra regione. Si propone fra l'altro di dar vita ad un Cantiere di pace che sarà avviato sabato 16 aprile 2022, alle ore 9.30, presso il Centro per la Cooperazione Internazionale, in vicolo San Marco 1 a Trento (ex convento degli Agostiniani).

 

Preparare la pace

In questo momento così tragico per la guerra in corso in Ucraina e denso di incognite per le sorti dell'umanità, noi vogliamo guardare al futuro e scegliamo di preparare la pace.

Siamo consapevoli che si tratta della strada più difficile, perché si scontra con il paradigma degli antichi (si vis pacem para bellum) che poi è rimasto lo stesso dei moderni, perché l'attitudine alla guerra ha accompagnato la vicenda umana e perché questo ci richiede di fare i conti con la parte più inconfessabile della nostra natura.

Ma è anche l'unica strada/possibilità se intendiamo dare un futuro all'umanità. Un futuro che è già incerto per effetto delle conseguenze che la crisi climatica del pianeta sta avendo sugli ecosistemi vitali per la sopravvivenza del genere umano. Una “terza guerra mondiale a pezzi” – come l'ha definita Papa Francesco – che produce cultura dell'esclusione e dello scarto. La stessa crisi pandemica che ha sin qui provocato la morte di oltre sei milioni di persone1 ci pone di fronte all'urgenza di cambiare i nostri stili di vita e in primo luogo il nostro rapporto con gli altri esseri viventi. Come se non bastasse, l'occupazione dell'Ucraina da parte del regime di Putin ci ha precipitati nella distruzione e nel dolore, in una nuova guerra che, con il coinvolgimento delle superpotenze, potrebbe diventare nucleare. Ovvero letale per tutta l'umanità.

Per fermare tutto questo non occorre solo il cessate il fuoco, pure urgente e indispensabile. E' necessario un cambiamento profondo dei paradigmi che ci hanno portati sin qui, «un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato»2.

Preparare la pace significa investire nella cultura della pace. La pace non è – come spesso si tende a semplificare – assenza di guerra (sappiamo che le armi uccidono anche quando non sparano) e non si costruisce nel territorio della guerra, quando a prevalere è invece il sibilo sinistro degli strumenti di morte e distruzione. La pace si costruisce con l'educazione e la gestione nonviolenta dei conflitti.

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Immersi nel Novecento
Piazza Tienanmen. Pechino, 1989

Dialogo attorno alla guerra in Ucraina fra Michele Nardelli e Francesco Prezzi: una sua ultima testimonianza sulle cose del mondo. Francesco ha vissuto questa ennesima tragedia dal letto di un ospedale e fino all'ultimo non ha mai smesso di ragionare sulla società, sul senso della Storia e sul valore del pensiero politico. Poi ha preso il volo.


(8 marzo 2022) Immersi nel Novecento. Questo siamo.

Lo sferragliare dei carri armati e il rumore sordo dei bombardamenti. I vecchi palazzoni sovietici sventrati e anneriti dal fuoco. Gli occhi impietriti di un'umanità costretta ad abbandonare le proprie case, a rifugiarsi negli spazi sotterranei delle metropolitane o ad ingrossare le fila del libro dell'esodo1. I miliziani nazionalisti, sempre più protagonisti delle nuove guerre, padroni delle strade e delle macerie. A prescindere dalle loro bandiere e da come andrà a finire, saranno loro a vincere.

E ancora. L'aria e l'acqua avvelenate, il sudiciume di ogni guerra. Le palizzate di eternit prese a calci, come ad essere senza futuro. La paranoia dei signori della guerra, sempre uguale. L'ipocrisia dei potenti che non hanno mai smesso di produrre e vendere armi. Sullo sfondo il riecheggiare del moto latino “vis pacem, para bellum”, che ha armato il pianeta tanto da poterlo distruggere.

Infine l'incubo nucleare, che da quelle parti conoscono bene e con il quale – malgrado la tragedia di Chernobyl – hanno continuato a convivere, quello delle centrali mai dismesse e in questi giorni sfiorate dalle cannonate, e quello delle testate atomiche allertate in un follia che vorrebbe reclutarci e che militarizza anche il confronto politico.

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La vecchia logica di potere che ancora domina la geopolitica
Kiev, qualche anno fa

«... Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri.

La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare ...»

(dal discorso di papa Francesco in occasione dell'incontro del Centro Femminile Italiano, giovedì 24 marzo 2022)

Sul sentiero della pace non c'è la spesa militare
Hiroshima. Ombre.

C’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori.

di Nichi Vendola *

Kiev siamo noi. Ogni singolo fotogramma catturato sui fronti di guerra ferisce il nostro sguardo e il nostro sentimento di umanità. Ogni dolente cronaca della devastazione comandata da Putin ci spinge dentro la voragine di un regresso da cui pensavamo di essere risaliti faticosamente. Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv siamo noi. Le città squartate, incenerite e fumanti del martirio ucraino sono lo specchio rovesciato delle nostre città vibranti di incontri, di suoni, di socialità. Siamo anche noi le famiglie strappate al tepore domestico, alla serenità degli affetti, alla normalità della vita quotidiana. E noi siamo loro: la stessa razza umana, lo stesso diritto alla dignità, la stessa ambizione di camminare eretti guardando il cielo, le stesse lacrime quando si strappa la trama preziosa della vita.

Voglio dire che c’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori, dentro le nostre pupille che non smettono di guardare. Eccola l’umanità oltraggiata, eccola nella sua corsa al cardiopalma per sfuggire alla mattanza, per mettere in salvo un bimbo, ma anche un gatto o un cane, per stringersi nel rifugio mentre il proprio quartiere rimbomba per le detonazioni, per non lasciarsi seppellire dalle macerie della propria casa che crolla, eccola separarsi dai propri affetti e dai propri luoghi, salutare il proprio universo e salpare verso destinazione ignota: non c’è intelligenza geopolitica che non debba misurarsi innanzitutto con questa sofferenza, con l’orrore dell’aggressione criminale di un autocrate imbalsamato sul suo trono. Non si può separare il discernimento dalla compassione. E in queste settimane di sgomento forse abbiamo persino imparato a comprendere il significato amaro e tristissimo della parola profugo: chi fugge dalla città che brucia, proprio come Enea, non è un turista o uno speculatore imboscato...

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Fra passato e presente. Quel che l'Europa non ha imparato dalle guerre moderne *
Sarajevo, brucia la Vjesnica

di Michele Nardelli

(15 giugno 2022) Se ne osserviamo i tratti, i proclami come la conduzione, la guerra in Ucraina potrebbe apparire come un residuo della storia. Alla virulenza dell'armamentario nazionalistico (dalla sacralità dei confini agli sbocchi sul mare, dal fondo genetico di sangue e suolo alle rivendicazioni di terre che nella storia hanno conosciuto attraversamenti e bandiere di diverso colore) corrisponde una guerra casa per casa, villaggio per villaggio, con l'assedio delle città e la distruzione delle infrastrutture civili e culturali... che fanno rivivere scenari novecenteschi.

Di certo dolore, distruzione e tutto quel che già sappiamo della guerra, che pure non viene indagata a dovere, malgrado accompagni da sempre la vicenda umana come presenza archetipica. Tanto che ogni volta ci si stupisce di quanto possa essere profondo l'abisso.

Talvolta si ha la sensazione che il tempo si sia fermato, come se si stesse riavvolgendo una pellicola consunta, in luoghi che hanno continuato a versare lacrime e sangue nel cuore orientale dell'Europa, di questa Europa così presuntuosa da pensarsi immune nonostante sia stata l'epicentro delle due guerre mondiali e del suo tragico ritorno nella regione balcanica e nell'area caucasica.

Un residuo della storia, dunque?

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lunedì, 20 dicembre 2021 ore 17:30

Le nuove sfide della cooperazione per la pace e i diritti umani
Bussole

Un momento di riflessione con la rete degli attivisti della pace e della cooperazione internazionale di Padova.

Futuro presente. Nuovi sguardi e relazioni per abitare il nostro tempo.

Promosso dalla Fondazione Fontana in collaborazione con il Comune di Padova.

Partecipa come relatore Michele Nardelli

 

In collegamento streaming con Padova

giovedì, 9 dicembre 2021 ore 17:00

#1 Sguardi dal Mediterraneo
Astrolabio

Incontri del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza)

Cooperazione internazionale e Pace

 

Giovedì 9 dicembre 2021, dalle ore 17.00 alle ore 19.30 si svolgerà in streaming un interessante momento di confronto

#1 SGUARDI DAL MEDITERRANEO

Interventi di Caterina Pozzi, Lea Nocera, Michele Nardelli, Marco Vincenzi, Inma Gala, Stefano Trovato. Introduzioni di Emiliano Bertoldi e Gigi Nardetto.

 

Per partecipare occorre registrarsi a questo link: https://tinyurl.com/SguardiDalMediterraneo1 

 

 

Collegamento in streaming

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sabato, 27 novembre 2021 ore 09:00

Esodo e confini
Esodo e confini

Rassegna di film e dibattito – 5ª edizione

Africa: Cooperazione, Sviluppo e Migrazione

Bolzano, sabato 27 novembre 2021 - Merano, venerdì 3 dicembre 2021

La rassegna “Esodo e Confini” prevede proiezioni di film africani e dibattiti con qualificati esperti nell’ambito della cooperazione internazionale e nell’arte del cinema dell’Africa. La rassegna vuole, inoltre, offrire alla cittadinanza un'opportunità volta a promuovere maggiore conoscenza relativa ai cambiamenti economici e socio-culturali nei paesi africani. La cinematografia in Africa negli ultimi decenni ha registrato un significativo sviluppo dando un importante contributo sia per fare conoscere i problemi che attraversano le società africane che per acquisire maggiore consapevolezza rispetto a questioni come le disuguaglianze sociali, gli impatti ambientali, i conflitti politici, il ruolo della società civile e movimenti migratori. L’iniziativa vuole evidenziare l’impegno sociale dei cineasti africani e il ruolo che può avere il cinema come strumento di trasformazione socio-culturale. Per approfondire i temi della rassegna verrà anche allestita un’esposizione di libri e video presso la Biblioteca Culture del Mondo (a cura di Adel Jabbar)

La rassegna è promossa da Cedos - Educazione permanente


Bolzano, sabato 27 novembre 2021

Sala Parrocchia dei Tre Santi, Via Amedeo Duca D’Aosta, 25

Ore 9:00 - 11:00

Attualità e prospettive delle politiche della cooperazione allo sviluppo

Mario Raffaelli, presidente di Amref Health Africa Italia, esperto della cooperazione internazionale

Cécile Kyenge, già Ministra per l'integrazione e già eurodeputata

Michele Nardelli, studioso di cooperazione internazionale e di tematiche ambientali

Judith Hafner, collaboratrice Caritas Mondialità e coordinatrice della Rete per la sostenibilità

Bolzano, Sala Parrocchia dei Tre Santi, Via Amedeo Duca D’Aosta, 25

La locandina del programma

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domenica, 21 novembre 2021 ore 20:30

Afghanistan, tragedia annunciata
Università Kabul, studentesse in legge

 

Domenica prossima 21 novembre 2021, alle ore 20.30, una serata dedicata a quanto sta accadendo in Afghanistan, promossa dal Café de la Paix Circolo Arci. Il confronto avverrà a partire dalla proiezione del documentario "Afghanistan 2014" di Razi e Soheila Mohebi.

 

Dopo il recente ritiro delle forze armate internazionali, l'Afghanistan è nuovamente sprofondato in una violenta crisi, con i talebani che ne hanno rapidamente approfittato per riconquistare il potere.

Un paese sull'orlo del collasso, economico e non solo, che a causa di fame, conflitto e soprusi fa temere il peggio sotto il profilo umanitario.

La situazione attuale ha origini più o meno precise? Quali sono le prospettive future?

Il ritiro dei soldati della coalizione occidentale sarebbe già dovuta avvenire nel 2014, e in questa prospettiva il Forum Trentino della Pace e i Diritti Umani iniziò già tre anni prima a promuovere un programma pluriennale volto a rappresentare un Afghanistan diverso, resiliente, estraneo alle armi e culturalmente florido; ne nacque anche una trilogia (della quale non è ancora stato girato l'ultimo episodio a causa dell'inagibilità politica), intitolato "Afghanistan 2014": un film che mette in luce aspettative, pensieri, sogni e prospettive di un intero popolo, diventando quasi profetico se confrontato con il contesto odierno.

 

Trento, Café de la Paix - Circolo ARCI, Passaggio Teatro Osele

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Bosnia Erzegovina come stato multi-nazionale: i popoli costituenti sono il nocciolo della questione?
Blagaj (Bosnia Erzegovina)

La costituzione della Bosnia Erzegovina non è più complessa di altre, i suoi problemi politici - scrive Jospeph Marko - non risiedono tanto in essa quanto nel suo essere "un sistema politico etnocratico, ostaggio dei partiti etno-nazionali" (da www.balcanicaucaso.org)

di Joseph Marko

(17 dicembre 2021) Volendo parafrasare uno slogan della campagna elettorale di Bill Clinton, sembra che quasi tutti siano d’accordo con l’affermazione: “È la costituzione, stupido!” che spiegherebbe il motivo per cui la Bosnia Erzegovina, dopo venticinque anni di implementazione dell’Accordo di pace di Dayton, è ancora uno stato disfunzionale dal punto di vista politico. Anche molti giuristi e politici, non solo in Bosnia Erzegovina, vi diranno che l’Accordo di Dayton è un sistema costituzionale “unico” e/o “complesso” e che proprio per questo motivo non può contribuire al bene comune del popolo (al singolare!).

Tuttavia, anche tra gli stati membri dell’Unione europea ci sono alcuni paesi suddivisi al loro interno su base etnica, come ad esempio il Belgio oppure, nel caso dell’Italia, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, le cui istituzioni e i meccanismi, che affondano le loro radici nella costituzione, prevedono alcuni strumenti concepiti in chiave etnica per la rappresentanza e la partecipazione dei gruppi etnici al processo decisionale.

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lunedì, 25 ottobre 2021 ore 16:30

Futuro presente. Nuovi sguardi e relazioni per abitare il proprio tempo
Padova, 2015. Un momento di formazione con gli insegnanti nell'ambito del WSA

World Social Agenda 2021-22

Next generation Agenda 2030

 

Formazione docenti

 

Il percorso formativo World Social Agenda 2021-22 rientra nel progetto "Next generation Agenda 2030" finanziato dalla Regione Veneto nell'ambito dell'iniziativa "Interventi per l’ampliamento dell’offerta formativa negli Istituti scolastici statali e paritari di ogni ordine e grado e nelle scuole di formazione professionale del Veneto"(DGR 734 del 08/06/2021), ideato e realizzato in collaborazione con l'associazione Amici dei Popoli Padova.

Il percorso è dedicato al tema della pace (obiettivo 16 dell'Agenda 2030 "Pace, rientra nell'ambito giustizia e istituzioni solide")

Il terzo appuntamento formativo sarà lunedì 25 ottobre 2021, alle ore 16.30, avrà come titolo "Futuro presente. Nuovi sguardi e relazioni per abitare il proprio tempo" e vedrà come formatore Michele Nardelli.

Online da Padova

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Verità senza vendetta

Marcello Flores

Verità senza vendetta

L’esperienza della commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione

Manifestolibri, 1999

 

La Commissione per la verita e la riconciliazione del Sudafrica ha costituito l’esperienza più originale e innovativa che paesi giunti alla democrazia dopo decenni di regime illiberale hanno compiuto per fare i conti col proprio passato. Affrontare insieme il problema della giustizia e quello della memoria , in un quadro di ricostituzione dell’unità e dell’identità nazionale, non era un obiettivo facile per il nuovo governo democratico guidato da Nelson Mandela dopo decenni di regime di apartheid. ... La scelta della Commissione presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu è stata quella di dare la parola, innanzitutto, alle vittime: riconsegnando loro la dignità, riconoscendo il valore della lotta compiuta e costringendo l’intera nazione a riflettere sulla natura e le cause dei delitti commessi e dei torti subiti. Ai mandanti e agli esecutori dei crimini è stato chiesto, come requisito per poter chiedere l’amnistia, di raccontare l’intera verità sulle atrocità commesse e sui meccanismi che le avevano consentite.

lunedì, 31 maggio 2021 ore 17:00

Giornata internazionale delle fasce bianche
Omarska (Prijedor), 1992. Campo di concentramento

Ancora una volta ci saremo. In silenzio. In piazza. Fermi. Saremo a ricordare ciò che troppi cercano di dimenticare, di cancellare, di far sparire. Saremo a recitare i nomi di quei 102 bimbi morti in una guerra senza senso. Saremo in piazza con le nostre fasce bianche, perché i segni della discriminazione, dell’ingiustizia, della disuguaglianza, dell’orrore, sono uguali ovunque.

Anche quest’anno vogliamo ricordare, assieme a tutte le città che in Regione, in Italia, nel Mondo hanno deciso di dedicare quel momento del 31 maggio al ricordo. Sono più di 80 le città del Mondo che con Prijedor, in Bosnia Erzegovina, vogliono ricordare cosa accade quando una guerra finisce e non arriva la pace. Nella Bosnia Erzegovina di oggi, che vuole entrare nell’Unione Europea, quasi 25 anni dopo la guerra che dissolse la ex Jugoslavia la pace è lontana. Nelle cancellerie degli Stati vicini si elaborano documenti per dissolverla definitivamente, spartendola fra una Grande Serbia e una Grande Croazia. La fine della guerra non ha unito i popoli. I giovani sentono ancora raccontare storie differenti. Si educa alla divisione. Si insegna l’indifferenza, quando non si insegna l’odio.

 

Trento, Piazza D'Arogno

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