Europa e Mediterraneo

Perché la crisi catalana ci riguarda
Paul Klee

«Tempi interessanti» (71)

Voglio ancora sperare che nel duro braccio di ferro fra Spagna e Catalogna si possano riaprire margini di colloquio e di mediazione. Lo auspico non per una sorta di irenismo di maniera, ma perché s'impone un cambio di sguardo che riguarda ciascuno di noi e ognuna delle comunità politiche di cui siamo parte. Di certo, l'epilogo cui si è giunti nella giornata di venerdì scorso 27 ottobre con la destituzione del governo e con lo scioglimento del parlamento catalani sembra voler abbattere ogni ponte alle spalle dei contendenti, lasciando ben poche speranze di ricomposizione e di evoluzione positiva del conflitto. Quel che accadrà nei prossimi mesi, in assenza di un passo indietro nel rivendicare ottuse sovranità, sembra un copione già troppe volte drammaticamente conosciuto anche in tempi recenti. ... La crisi catalana – a ben guardare – anticipa gli scenari del futuro. Anche per questo ci riguarda.

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lunedì, 30 ottobre 2017 ore 15:00

Incontro restitutivo del viaggio 'Alle radici dell'Europa'
Il vecchio nuovo

Lunedì 30 ottobre 2017 si svolgerà l’incontro di "restituzione" in seguito al viaggio "Alle radici dell'Europa. Memorie di guerra e scenari di pace in Bosnia Erzegovina 25 anni dopo".

Dopo l'immersione per una settimana in alcuni dei luoghi che hanno segnato la storia di questa terra e la tragedia degli anni '90 del secolo scorso, saranno molti i quesiti, i dubbi, le perplessità che cercano delle risposte. Risposte che, come gli avvenimenti che abbiamo ripercorso nei giorni del viaggio, investono il nostro presente ben più di quanto possiamo immaginare, con lo sguardo rivolto ai conflitti che attraversano un'Europa che purtroppo non ha saputo far tesoro dei propri fallimenti.

Di questo e di tanto altro parleemo nell'incontro che si svolgerà oggi pomeriggio presso la Camera del Lavoro di Modena, piazza Cittadella 36, nella sala conferenze del 10° piano alle ore 15.00 e al quale parteciperò anch'io.

 

Modena, Camera del Lavoro, Piazza Cittadella 36

Catalogna, una settimana cruciale. Come evitare il baratro
Confini

La società catalana è fortemente polarizzata sulla questione nazionale e il rischio di una frattura è reale: ricucire le ferite potrebbe costare anni, se non generazioni. Ma non è possibile affrontare la questione con arresti e carcere, bisogna avviare un vero dialogo politico che miri ad una riforma della Costituzione e alla possibilità della celebrazione in Catalogna di un referendum di autodeterminazione accordato sullo stile scozzese.

 

di Steven Forti *

(3 novembre 2017) Tutto è incerto in Catalogna. Tutto traballa. O forse no. Tutto rimane uguale. Quel che è certo è che gli avvenimenti delle ultime settimane, conclusisi con una dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del governo catalano e con l’applicazione dell’articolo 155 da parte del governo spagnolo, rappresentano una cesura. Il Procés sobiranista – come viene chiamato in Catalogna – è finito. O almeno è finita una fase, lunga e ambigua, di questo processo. Ne inizia ora un’altra, su cui nessuno si azzarda a fare pronostici. Per quanto la situazione sia estremamente liquida e non è da escludere una nuova escalation – soprattutto dopo gli arresti dei membri del governo catalano decretata ieri dalla giudice dell’Audiencia Nacional Carmen Lamela – possiamo però cercare di capire quello che è realmente successo e delineare i possibili scenari futuri.

 

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Non in mio nome
Ada Colau

di Ada Colau *

(27 ottobre 2017) A furia di parlare di scontro tra treni al condizionale ci siamo arrivati, si fa fatica a pensare che sia successo oggi. Un decennio di negligenze del Partito Popolare nei confronti della Catalogna culmina oggi con l’approvazione in Senato dell’articolo 155. Rajoy lo ha presentato in mezzo agli applausi dei suoi, facendo vergognare tutti coloro, come noi, che rispettano la dignità e la democrazia. Applaudivano il loro fallimento?

Coloro che sono stati incapaci di proporre qualunque soluzione, incapaci di ascoltare e di governare per tutti, consumano oggi il colpo di stato alla democrazia con l’annichilamento dell’autogoverno catalano.

Sulla stessa rotaia ma in direzione contraria c’è un treno più piccolo, quello dei partiti indipendentisti, a tutta velocità, con piglio kamikaze, dietro una lettura sbagliata delle elezioni del 27 Settembre. Una velocità imposta da interessi partitici, in una fuga in avanti che si consuma oggi con una Dichiarazione d’Indipendenza fatta in nome della Catalogna, ma che non ha l’appoggio della maggioranza dei catalani.

 

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Fra centralismo e disgregazione, una terza via
federalismo europeo

Nei giorni scorsi si è svolto a Cagliari un interessante dibattito dal titolo "La questione sarda: indipendenza, autonomia, Europa dei popoli”. L'incontro, organizzato dall’associazione SardegnaEuropa, aveva come obiettivo quello di focalizzare la “Questione Sarda” nel contesto spazio temporale europeo. All'incontro (vedi locandina in allegato) ha partecipato fra gli altri anche Lorenzo Dellai il cui intervento riporto volentieri.

 

di Lorenzo Dellai

Il nostro è un Paese strano, anche per quanto riguarda i temi dell'autonomia dei territori e del regionalismo.

Un anno fa - difronte alla Riforma Costituzionale - l'opinione nettamente prevalente era che "finalmente" si sarebbe modificato il Titolo V del 2001, perché era stata una fuga in avanti e serviva ricostruire un più forte potere centrale. Quella Riforma fu poi bocciata dal Referendum, ma non certo per contrarietà a questo punto, che anzi era da quasi tutti ritenuto necessario.

A un anno di distanza, si celebrano due Referendum Regionali che invece chiedono di attuare quel Titolo V ed altre Regioni stanno dichiarando la volontà di procedere in questa direzione pur senza convocare consultazioni popolari. Siamo un Paese schizofrenico.

Del resto, tutta la partita del Regionalismo in Italia è stata gestita senza un disegno compiuto. L'impianto dello Stato è rimasto fortemente centralista e l'introduzione delle Regioni Ordinarie nell'ordinamento – non a caso attivato con notevole ritardo dalla previsione costituzionale – non ha comportato un ripensamento del modello istituzionale centrale.

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Di sovranismo, produzioni belliche e … inversione morale
Smarrimento

«Tempi interessanti» (70)

Fincantieri e sovranismi, produzioni civili e militari, migranti e codici di comportamento stabiliti dai governi per le organizzazioni non governative ... Un'inversione morale che racconta di un tempo smarrito, dove il genocidio che si consuma nel Mediterraneo viene scambiato per un problema di ordine pubblico o tutt'al più come emergenza umanitaria. Dove la politica rincorre il consenso. Nel quale l'ignoranza e la paura devastano le coscienze, creando un terreno diffuso di guerra fra poveri, a difesa di quel che si ha. E dove – tragica beffa di questo tempo – inclusi ed esclusi a guardar bene la pensano allo stesso modo.

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mercoledì, 27 settembre 2017 ore 00:00

Alle radici dell'Europa
Biblioteca nazionale Sarajevo 1992

Nel pomeriggio di venerdì 22 settembre sono stato a Modena per un momento di formazione rivolto ai partecipanti al viaggio di studio per insegnanti (e non solo) che la settimana prossima accompagnerò per le strade della Bosnia Erzegovina. Devo dire che trovare una così forte attenzione verso il mio racconto sul cuore dell'Europa, sulle vicende che hanno tragicamente segnato gli anni '90 del secolo scorso e su quel che avremmo dovuto imparare per abitare più consapevolmente il nostro tempo mi conforta e mi convince oltremodo del valore dello studio e dell'apprendimento permanente. Ci avevo fatto anche una legge provinciale, la n.10 del 2013. Chissà in questo vuoto di cultura istituzionale che fine avrà fatto...

 

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Memorie di guerra e scenari di pace in Bosnia Erzegovina 25 anni dopo (1992 - 2017)

Viaggio studio per insegnanti - 27 settembre / 2 ottobre 2017 - promosso dall'associazione culturale "Appena-appena" in collaborazione con l'Istituto Storico della Resistenza e di storia contemporanea di Modena.

Questo viaggio dà la possibilità di conoscere un paese di straordinaria bellezza, la Bosnia Erzegovina, terra di frontiera nel cuore d’Europa, ponte fra Oriente e Occidente, dove hanno vissuto una accanto all’altra la religione cattolica e l’ortodossa, l’islamismo e l’ebraismo. Qui nasce e muore il Novecento: a Sarajevo il 28 giugno 1914 con l’uccisione dell’arciduca Francesco Ferdinando, che fungerà da pretesto alla scoppio della Prima Guerra Mondiale, e, ancora a Sarajevo, con l’assedio subito dal ’92 al ’96.

Bosnia Erzegovina

Il programma

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Il mercato globale, i territori e la voglia di autonomia
Barcellona

di Aldo Bonomi *

«Omaggio alla Catalogna» scriveva George Orwell. Dovrei essere contento, ancorato come sono al territorio con il racconto e le riflessioni ed il continuo ricordare agli attori economici e politici-istituzionali, in tempi di reti hard e soft, di volgere lo sguardo verso il basso, non solo a guardare ai flussi ma al loro impatto ed effetto nei luoghi, nelle città, nel contado, nelle smart land della provincia e nelle regioni. Eppure c’è sempre qualcosa che mi fa preoccupato, che mi rimanda alla crisi delle forme di convivenza, quando il territorio vola nel cielo della politica saldandosi al nodo dell’identità. Convinto come sono che l’identità, anche se densa di storia, come nel caso della Catalogna, va ricercata più nella relazione che nel rinserramento.

 

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Catalogna, tra repressione e possibili scenari
Catalogna

 

Se ancora è ignoto se il primo ottobre si voterà o meno, di certo il violento intervento del governo centrale, con decine di arresti, ha alzato il livello dello scontro e rafforzato la causa degli indipendentisti. La polarizzazione Madrid vs Barcellona rilancia Podemos e Ada Colau che mantengono una posizione di mediazione: diritto di decidere dei catalani nell’ambito però di uno Stato spagnolo plurinazionale.

di Steven Forti

Il 20 settembre potrebbe essere uno di quei giorni che cambia il corso degli eventi. Nella crescente tensione tra il governo spagnolo e quello catalano in vista del referendum unilaterale di autodeterminazione convocato dal Parlamento di Barcellona per il prossimo 1 ottobre, la Guardia Civil – la polizia spagnola – ha perquisito una dozzina di sedi del governo regionale catalano, requisito materiale relativo all’organizzazione del referendum e arrestato 14 alti funzionari della Generalitat catalana.

Nei giorni precedenti aveva proibito conferenze a favore del referendum, perquisito alcuni giornali e magazzini in cui si sarebbe stampato materiale necessario alla realizzazione della consultazione e chiamato a dichiarare gli oltre 700 sindaci che avevano dato la loro disponibilità per l’1 ottobre. Il premier Mariano Rajoy ha deciso di usare la mano dura con l’obiettivo di dimostrare che lo Stato spagnolo non tollererà oltre la sfida unilaterale catalana. “Non si terrà nessun referendum”, aveva ripetuto il leader del Partido Popular: “difenderemo lo Stato di diritto con tutti i mezzi che ci dà la Costituzione. Anche quelli che non vorremmo usare”. E dalle dichiarazioni è passato ai fatti. L’obiettivo? Che non si realizzi il referendum. E, da questo punto di vista, sembra che ci sia riuscito: con che schede elettorali andranno a votare i catalani l’1 ottobre? Dove ci saranno delle urne? Che seggi apriranno? Ma quella di Rajoy sarà, molto probabilmente, una vittoria pirrica.

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Catalogna: verso la dichiarazione unilaterale d’indipendenza?
Crisi catalana

Entrambi i governi stanno gettando benzina sul fuoco, chi con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza chi con l’uso della mano dura. Un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. Perché la crisi catalana è una declinazione della crisi di Stato che sta vivendo la Spagna. E può risolversi solo rinnovando il patto costituzionale del 1978. Ma per farlo serve il dialogo.

di Steven Forti

(6 ottobre 2017) Muro contro muro. Questo in sintesi è il riassunto della situazione catalana. Il governo di Mariano Rajoy continua arroccato nella difesa della legge e della Costituzione, mentre quello catalano tira dritto verso una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Non c’è dialogo. Non c’è mai stato. Perché è sempre mancata la volontà politica. La Politica, con la P maiuscola, è stata e continua ad essere inesistente, almeno tra le classi dirigenti di Barcellona e di Madrid. Ognuno responsabilizza l’altro, senza proporre nulla, senza offrire una via di fuga a un’impasse che potrebbe avere conseguenze pesanti per tutti. In primis, per la società.

È indubbio che il referendum dell’1 ottobre ha segnato un prima e un dopo nella questione catalana. L’entrata in scena della violenza inaccettabile della Guardia Civil e della Policía Nacional contro cittadini inermi – si calcolano oltre 900 feriti – che opponevano solo e unicamente resistenza pacifica ha cambiato le carte in tavola, mobilitando la cittadinanza e internazionalizzando la questione catalana. Ieri due importanti banche (Sabadell e La Caixa) hanno deciso di spostare la loro sede fuori dalla Catalogna, cosa a cui anche molte imprese e multinazionali stanno pensando. Le immagini che hanno fatto il giro del mondo hanno reso quello catalano un affare che non è più solo spagnolo, ma è anche europeo.

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Questione palestinese, un cambio di prospettiva s'impone
Palestina, inizio Novecento

Un pomeriggio fitto di testimonianze e visioni di futuro... quello svoltosi sabato scorso 1 ottobre 2016 all'Università di Trento nel convegno “Scenari di guerra. Spiragli di pace” promosso dall'associazione Pace per Gerusalemme in collaborazione con il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani. L'intensità del confronto e l'elevato numero di interventi ha fatto sì che la seconda parte dell'incontro abbia costretto i relatori a stringere in pochi minuti il loro pensiero. Consegno quindi a queste pagine il tema che avrei voluto sviluppare se il tempo fosse stato meno tiranno.

di Michele Nardelli

E' difficile parlare della situazione in cui si trascina quella che Nelson Mandela ebbe a definire “la questione morale del nostro tempo” – ovvero la questione palestinese – a prescindere dal contesto regionale del vicino Oriente. Ed è proprio la non soluzione del conflitto fra israeliani e palestinesi a fare da sfondo ad un caos generalizzato, figlio di un tempo nel quale il passato incombe ed il futuro fatica a delinearsi, quel “non più e non ancora” che segna un passaggio della storia che ci richiede nuovi approcci.

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… e la sinistra che fa? Spunti per un dibattito "territoriale"
Reticolati

Idee ricostruttive della sinistra interetnica

di Vincenzo Calì

(19 agosto 2017) La cartina di tornasole dei rapporti fra i vicini/lontani che abitano il bacino dell’Adige virerà in rosso se alle celebrazioni del 4 novembre 2018 si inneggerà ancora alla vittoria dagli uni e alla perdita della libertà per gli altri. Lasciare in quella data a bersaglieri tirolesi e alpini il compito di firmare, in nome della comune patria europea, le nuove “compattate”, e assumere, da parte della sinistra, la data del centenario come momento di riflessione su di una guerra che, attraversando la comunità regionale, fu così devastante da travolgere insieme agli uomini la natura stessa, come ci ricorda lo storico Diego Leoni nella sua “Guerra verticale”.

Dell’assenza politica della sinistra, su questi temi, è testimone la cronaca quotidiana: “La forza dell’Euregio? Non pervenuta. I rapporti privilegiati con l’Austria? Svaniti”. Sono le parole forti di Faustini a commento dell’intenzione austriaca di resuscitare il confine del Brennero. Quel confine, inventato da Tolomei, che nemmeno gli imperatori Augusto e Napoleone si erano sognati di tracciare, torna sulla scena, come ai tempi dell’italietta sabauda; “torniamo allo statuto!” è la parola d’ordine che la sinistra deve fare propria, riecheggiando l’implorazione sonniniana vecchia di un secolo, dove per statuto si intende non l’albertino, ma il degasperiano, quello che mise in sicurezza la convivenza fra le genti dell’alto bacino dell’Adige e che è ancora ben lungi dal compiere il secolo di vita.

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Un confine nel Mediterraneo
La prima di copertina del libro

Egidio Ivetic

Un confine nel Mediterraneo

L'Adritico orientale tra Italia e Slavia (1300-1900)

Viella libreria editrice, 2014

 

«Sullo sfondo di una riflessione storiografica transnazionale e con lo sguardo non circoscritto alle periodizzazioni tradizionali, il libro ripercorre le convivenze e le divisioni tra popolazioni, decostruisce l'idea stessa di confine, andando oltre i canoni delle storiografie coinvolte e le separazioni cultrali ancora vive in queste terre mediterranee».

 

Migranti. L'Europa alla prova del futuro.
Foto Luigi Ottani

«Tempi interessanti» (67)

Il nuovo presidente francese non vuole essere ricordato nel suo inizio di mandato per aver aperto i porti del paese alle navi cariche di immigrati, sfoderando ancora la ridicola e odiosa divisione fra richiedenti asilo e immigrati economici. Cominciamo col dire che se c'è un Stato europeo che ha grandi responsabilità, storiche e recenti, del flusso migratorio lungo la rotta del Mediterraneo centrale, questo è proprio la Francia. Non voglio scomodare il passato coloniale di Parigi, ognuno dovrebbe riflettere ed elaborare la propria vicenda, invece che crogiolarsi nella superiorità della propria identità e della propria “grandeur”. Ma se proprio vogliamo misurare la grandezza di qualcosa, allora si deve dire che chi ha la maggiore responsabilità nell'aver gettato nelle mani della criminalità organizzata un paese ricco come la Libia è proprio il paese transalpino...

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«Ogni volta fa più male». Srebrenica, ventidue anni dopo.
Un murales realizzato dal writer Manu Invisibile a Srebrenica -

Quella che si combatte oggi in Bosnia Erzegovina è una “guerra per la verità” fondata sulla competizione etnica, e le armi principali sono parole e narrative sul passato

di Alfredo Sasso (dal sito www.balcanicaucaso.org)

“Fa male, ogni anno fa più male. Il problema è che noi, che abbiamo vissuto là, avevamo un’idea di cosa sarebbe potuta diventare quella comunità che è stata invece distrutta. Il tempo non cura tutte le ferite”, spiega in un’intervista televisiva Emir Suljagi. Sopravvissuto al genocidio di Srebrenica quando era poco più che ventenne (su cui ha scritto lo straordinario libro Cartolina dalla fossa) Suljagi è uno dei più instancabili testimoni degli eventi del luglio 1995, quando oltre 8.000 bosniaci musulmani furono uccisi dalle forze serbo-bosniache.

In questi ultimi anni, e soprattutto in quello corrente, l’attenzione pubblica su Srebrenica si è concentrata sull’attualità, tra speculazioni della politica domestica, aiuti e pressioni internazionali.

Suljagi, invece, cerca di restituire centralità a coloro che con il passare degli anni, in questi giorni di luglio, sono sempre meno protagonisti. “Quando parlo di vittime del genocidio, parlo dei miei compagni di classe con cui sono cresciuto. E so quanto potenziale abbiamo perduto in quel crimine mostruoso”.

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