Lettere

Il tuo sorriso e il tuo entusiasmo. Grazie Paolo.
Paolo Cunego

(25 luglio 2023) Oggi daremo l'ultimo saluto a Paolo Cunego. Per chi non ha avuto modo di conoscerlo, Paolo è stato per anni il punto di riferimento nella difesa dei consumatori in Trentino. Oggi diremmo dei consum-attori, soggetti potenziali del cambiamento.

Per me è stato in primo luogo una persona cara, con la quale ho condiviso un tratto del mio impegno sociale e, mi permetto di dire, politico. Può sembrare strano dire così, considerato che quando ho conosciuto Paolo di professione era un militare, un giovane maresciallo dell'esercito italiano, parte di quel mondo che guardavo (e continuo a guardare) non certo con benevolenza e comunque come un universo diverso e lontano dal mio, obiettore di coscienza al servizio militare e impegnato nel mondo della pace.

 

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Guido Pollice
In primo piano, Guido Pollice

Le parole con cui Emilio Molinari ricorda Guido Pollice, comune amico scomparso qualche giorno fa all'età di 84 anni.

Se ne è andato il compagno con il quale molti di noi hanno concepito e fondato Democrazia Proletaria. Il compagno che portava in DP la storia socialista con Vittorio Foa, del quale Guido scherzando diceva: “è l'unico politico che vince i Congressi e affida la direzione ai suoi avversari”. Guido era così. Sempre capace di sdrammatizzare e ridere anche delle nostre delusioni politiche, delle nostre sconfitte elettorali, di farci sentire bene.

Il compagno con il quale puoi ragionare e anche abbandonare per un attimo il “politicamente corretto”. Che dopo assemblee nazionali drammatiche, sempre sull'orlo di divisioni, ci chiedeva di fermare la macchina al ristorante che solo lui conosceva e tutto finiva in gioia di vivere. Il dirigente, il Consigliere Comunale, il Parlamentare e l'ambientalista con il quale alcuni di noi hanno condiviso i primi tentativi di unire il Rosso e il Verde... L'amico, la risata, il convivio, la passione, il ricominciare e il non arrendersi... tutte cose che hanno reso bello il nostro far politica.

Dario e Michela portino nel loro cuore anche questa immagine del loro papà.

Per Costituzione beni Comuni.

Emilio Molinari.

Il nostro futuro è una storia da scrivere insieme…
da https://pontidivista.wordpress.com/

di Federico Zappini

Il tempo che stiamo vivendo chiede un surplus di desiderio che attivi energie e fantasia dentro la comunità. Lo stato di un panorama partitico impegnato a difendere ipotetiche rendite di posizione e incapace di essere avanguardia nel governo delle grandi trasformazioni in atto genera però frustrazione e sfiducia, confermati anche dal crollo dell’affluenza al voto nelle recenti elezioni regionali.

È faticoso stare in questo incrocio di emozioni perché da un lato non posso chiamarmi fuori – come consigliere comunale e attivista di Futura – da questa crisi di sistema. Se siamo ancora in questa condizione di fragilità significa che i tentativi messi in atto fin qui non hanno saputo toccare le corde giuste, non hanno cambiato lo scenario, non hanno prodotto l’emersione di nuova classe dirigente.

Dall’altro lato, sarebbe troppo facile accodarsi all’attacco generico alla Politica come unica colpevole. Un esercizio che va per la maggiore senza offrire però un’alternativa credibile (dentro e fuori le istituzioni) per elaborare pensiero e azione politica, per rispondere ai bisogni e ai desideri di ciascuno, per elaborare strategie in grado di resistere e reagire alle tensioni che il mondo contemporaneo subisce.

 

 

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Lo specchio del mondo
Mediterraneo

 

Il discorso di Papa Francesco in occasione dei “Rencontres Méditerranéennes”

Marsiglia, 23 settembre 2023

 

Signor Presidente della Repubblica,
cari fratelli Vescovi,
illustri Sindaci e Autorità che rappresentate città e territori bagnati dal Mar Mediterraneo,
amiche e amici tutti!

Vi saluto cordialmente, grato a ciascuno di voi per aver accolto l’invito del Cardinal Aveline a partecipare a questi incontri. Grazie per il vostro lavoro e per le preziose riflessioni che avete condiviso. Dopo Bari e Firenze, il cammino al servizio dei popoli mediterranei progredisce: anche qui, responsabili ecclesiastici e civili sono insieme non per trattare reciproci interessi, ma animati dal desiderio di prendersi cura dell’uomo; grazie perché lo fate con i giovani, presente e futuro della Chiesa e della società.

La città di Marsiglia è molto antica. Fondata da navigatori greci venuti dall’Asia Minore, il mito la fa risalire alla storia d’amore tra un marinaio emigrato e una principessa nativa. Fin dalle origini essa presenta un carattere composito e cosmopolita: accoglie le ricchezze del mare e dona una patria a chi non l’ha più. Marsiglia ci dice che, nonostante le difficoltà, la convivialità è possibile ed è fonte di gioia. Sulla carta geografica, tra Nizza e Montpellier, sembra quasi disegnare un sorriso; e mi piace pensarla così: Marsiglia è “il sorriso del Mediterraneo”. Vorrei dunque proporvi alcuni pensieri attorno a tre realtà che caratterizzano Marsiglia: il mare, il porto e il faro. Sono tre simboli.

1. Il mare. Una marea di popoli ha fatto di questa città un mosaico di speranza, con la sua grande tradizione multietnica e multiculturale, rappresentata dai più di 60 Consolati presenti sul suo territorio. Marsiglia è città al tempo stesso plurale e singolare, in quanto è la sua pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia. Spesso oggi si sente ripetere che la storia mediterranea sarebbe un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti. Non ignoriamo i problemi – ce ne sono! –, ma non lasciamoci ingannare: gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, mare straripante di tesori, al punto che, come scrisse un grande storico francese, esso non è «un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma una successione di mari»; «da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia» (F. Braudel, La Méditerranée, Paris 1985, 16). Il mare nostrum è spazio di incontro: tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto, e tra molte altre realtà. Ha veicolato nel mondo l’alto valore dell’essere umano, dotato di libertà, aperto alla verità e bisognoso di salvezza, che vede il mondo come una meraviglia da scoprire e un giardino da abitare, nel segno di un Dio che stringe alleanze con gli uomini.

 

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Domini collettivi: se fosse in loro la ragion pura di eccellenza e autonomia?
Roana, cartello usi civici

di Marta Villa *

Gli spunti proposti dall’editoriale (Corriere del Trentino del 7 febbraio scorso) del prof. Michele Andreaus mi hanno sollecitato: da vent’anni faccio ricerca etnografica nelle Terre Alte documentando e analizzando strategie di adattamento a un territorio liminale, quello montano, e mi sono confrontata con i concetti di autonomia ed eccellenza. Vorrei qui proporre un ulteriore spunto di discussione, dal mio punto di vista, storico-antropologico.

Concordo che queste parole sono sulla bocca di molti, vittime di strumentalizzazioni. Mi inserisco quindi nel dibattito per articolare maggiormente la prospettiva e per rilanciare, guardando al futuro, una declinazione che è stata vetrificata: un ninnolo, certamente, e, aggiungo io, da musealizzare come quegli idola provenienti da culture lontane che, suscitando in noi paure ancestrali, vengono esorcizzati riponendoli all’interno di scatole. Autonomia ed eccellenza invece possono essere parole di una potenza straordinaria, se ricollocate all’interno di processi decisionali partecipati e vitali.

 

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Oltre la neve, cosa c’è?
Paesaggi alpini

 

di Federico Zappini

Questa riflessione è stata pubblicata nel numero speciale del magazine "Dislivelli" e ripreso oggi dal quotidiano "ilT".

 

«Orapronobis,

certo che quest'anno il Vecchio lassù se la prende comoda,

sacramento,

non sarebbe male se cadesse un po' di neve»

dice il Paul e guarda il cielo [...]

«Cosa vuoi farci, una spolverata è ben scesa,

prendiamo quel che viene»

dice il Georg e si sistema il berretto [...]

«L'Onnipotente ha perso coraggio» dice il Paul,

«o forse dobbiamo chiedergliela in ginocchio ’sta neve,

ormai è più rara della coca»

Tratto da Ultima neve, Arno Camenisch (Keller editore, 2018)

 

Per cominciare questo mio pezzo sul futuro del turismo invernale e sciistico mi sono imposto di cercare uno spunto che sfuggisse al richiamo dell'attualità e della cronaca (difficile farlo al culmine di uno degli inverni più caldi e siccitosi degli ultimi due secoli) o al riferimento diretto a questo o quel rapporto che indica in modo chiaro e inequivocabile l'insostenibilità del modello dello sci di massa in una fase storica caratterizzata da scarsità di neve e innalzamento delle temperature.

Ho trovato conforto nella letteratura e in particolare nella penna di Arno Camenisch, che in “Ultima neve” mette in scena – il paesaggio di riferimento è quello delle Alpi svizzere – il travaglio di due fratelli alle prese con uno skilift, modesto lascito di famiglia, da far funzionare nel bel mezzo di una stagione invernale avversa, avara della materia prima (e unica) necessaria per non far girare a vuoto quelle strambe macchine di ferro che hanno il compito di portare senza fatica in quota gli sciatori, garantendo loro un'agile e divertente scivolata per tornare a valle.

L'attesa del Paul e del Georg – fatta di dialoghi, piccole azioni concrete, ricordi riemersi, fragili speranze – ha il valore potente di una metafora esistenziale, per una famiglia e per il mondo intero. Protagonista è il tempo, nelle sue varie forme. Quella che a loro tocca vivere, naso all'insù, è la rappresentazione plastica di una transizione – che poi è la nostra stessa che qui proviamo a mettere a sistema – tra un passato che sentono scricchiolare sotto i piedi e un futuro che, essendo materialmente vincolato a quei piloni ben piantanti nel terreno, sembra non riuscire a rivolgere lo sguardo altrove. 

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L’Unità nazionale e l’autonomia differenziata
bandiere

di Giorgio Cavallo *

(8 febbraio 2023) La vittoria elettorale di FdI ha portato ad un curioso scambio lessicale: il presidente del Consiglio Meloni non usa più il termine “stato” (e ancor meno quello di Repubblica) ormai sostituito da quello di “nazione”. La cadenza gutturale romana poi acuisce ulteriormente l’importanza del termine. Il concetto di nazione come comunità politica è una visione della modernità che si è affermata negli ultimi duecento anni e che oggi deve essere interpretato alla luce delle trasformazioni globali che politicamente coinvolgono il XXI secolo. Lo stato-nazione è la realizzazione storica del Leviatano di Hobbes il cui compito di protezione del cittadino rispetto alle avversità è ancora oggi alla base del successo di molte proposte politiche cosiddette neo sovraniste. Il testo di Paolo Gerbaudo “Controllare e proteggere – il ritorno dello stato”, ed. Nottetempo, Milano 2022, descrive molto bene quello che chiama “Stato di necessità” e rimette in campo proprio la sua nuova centralità, vista sia da destra che da sinistra.

 

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Valdastico. Considerazioni e una domanda.
Pi.Ru.Bi., Piccoli, Rumor, Bisaglia

di Roberto Pinter

1. L’unica ragione per cui si è parlato di Valdastico negli ultimi anni era la previsione di completamento quale condizione per la proroga della concessione della Autostrada Serenissima.

Nel 2026 scade la concessione e , normative europee a parte, il Veneto punta a recuperarne il controllo con una propria società, quindi non è più attuale la proroga ne’ la sua condizione accessoria.

2. Il tavolo di concertazione tra Stato, Veneto e Trentino è fermo da anni alla ipotesi di un tracciato non autostradale con sbocco a Trento sud, vanificata dalla volontà della giunta Fugatti di spostarlo a Rovereto sud. Ipotesi questa bocciata come non fattibile dallo studio commissionato dalla Serenissima e mai fatto proprio dal tavolo.

 

 

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«... per dire dei giorni tristi, per ricordare Francesco, per riflettere su questo tempo...»
La copertina del libro

Cari, care,

sarebbe bello trovarsi con la scusa di fare uscire alla luce un piccolissimo libro : «Cose così»

per dire dei giorni tristi

per ricordare Francesco

per riflettere su questo tempo.

Un tempo che è avaro di ideali e di passione politica, che avrebbe tanto bisogno di cambiamenti profondi nel modo di pensare e di agire.

Un tempo in cui è davvero importante dare valore alle relazioni fra le persone e all'amicizia.

Grazie a Michele e Gabriella, il giardino della casa alle Camalghe di Cadine ci offre l'opportunità di vederci insieme.

 

Vi attendiamo

Lunedì 31 ottobre 2022 alle ore 11.00 per una zuppa calda, un sorso di vino e di amicizia.

Micaela (insieme a Michele e Gabriella)

L'invito

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Ribellarsi è giusto
Franz Jagerstatter

di Raniero La Valle

(20 luglio 2022) Draghi è stato avvertito: Zelensky non gradisce che una crisi di governo in Italia disturbi l’incessante flusso di armi all’Ucraina né, come dice il suo consigliere Podolyak, “la tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali” (cioè la democrazia) “deve intaccare l’unità nelle questioni fondamentali della lotta tra il bene e il male”, ovvero mettere in dubbio la suddetta “fornitura d’armi all’Ucraina”. E anche Johnson lascia a desiderare. Perciò dobbiamo aspettare che domani la sorte del governo Draghi sia decisa non sui nostri colli fatali ma là dove si giocano le sorti delle nostre Costituzioni democratiche e della stessa pace del mondo, dal momento che le abbiamo messe nelle mani delle attuali tragiche star della guerra e del potere.

Aspettare non vuol dire tuttavia obbedire. È bene perciò accorgersi di un altro avvertimento “molto molto importante”, come scrive Enrico Peyretti. “Per la prima volta un papa invita a rifiutare di fare la guerra per ragioni morali, di coscienza. Non solo condanna la guerra (‘inutile strage’), ma chiede - non ai governanti, ma ai soldati - di non farla, di disobbedire! Rivoluzione di Francesco contro la politica, anche democratica, che ha l'omicidio di massa tra i suoi mezzi regolari. Chiede ai giovani di boicottare, di disobbedire, di far fallire i governi di guerra”.

 

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Alberto Tridente, costruttore di amicizie.
Alberto Tridente e Lula (Ignacio Da Silva)

(24 luglio 2022) Proprio nei giorni scorsi con alcuni amici parlavo di Alberto Tridente e di quando nella primavera del 1994 andammo insieme per un mese in Messico per la campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas, allora candidato presidente per il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica. Fu un'esperienza intensa e profonda, che mi porterò nel cuore finché vivo. Grazie ad Alberto conobbi persone e luoghi straordinari ed iniziai ad amare quel paese nel quale poi ho avuto la possibilità di ritornare in più occasioni.

Oggi sono dieci anni che Alberto ci ha lasciati. Ma il fatto che Alberto abiti frequentemente le mie conversazioni e i miei pensieri significa che la sua traiettoria esistenziale ha lasciato un segno profondo.

Come sindacalista, quando fare sindacato significava farsi carico della condizione umana a tutto tondo, lui che veniva da una famiglia operaia di immigrati a Venaria e che a sua volta, trascorsa l'infanzia, di quella condizione era suo malgrado interprete come operaio metalmeccanico e come dirigente sindacale.

 

 

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I simboli del colonialismo italiano. Un appello da Roma
La copertina del libro

Nei giorni scorsi è stato lanciato un appello al Sindaco di Roma per riconsiderare simboli e toponomastica del colonialismo italiano che segnano innumerevoli luoghi pubblici di Roma. Un analogo appello è stato rivolto al Presidente della Regione Lazio. L'iniziativa prende il via dopo la pubblicazione del libro "Roma coloniale" di Silvano Falocco e Carlo Boumis (Edizioni Le Commari, 2022) e ha suscitato un dibattito pubblico tutt'altro che banale. Sappiamo bene come i simboli rappresentino molto spesso ferite aperte che andrebbero innanzitutto riconosciute, elaborate, storicizzate, sanate. Pensiamo a come il tema della toponomastica rappresenti una questione aperta e divisiva nel vicino Sid Tirolo - Alto Adige, una terra oggetto di occupazione coloniale da parte dello Stato italiano e del suo tragico ventennio fascista. In realtà in ogni città e comune abbiamo a che fare con i segni del fascismo o delle conquiste della follia imperiale: monumenti, edifici, strade e piazze che ricordano questo passato inglorioso o personaggi che, a scavare poi nemmeno molto, erano figure ignobili o generali che hanno massacrato e mandato al massacro tanta povera gente. Senza dimenticare che tutto questo coinvolge anche storie famigliari che spesso preferiamo rimuovere. Non si propone di cancellare questo passato, ma di considerarlo per quello che è stato, affinché diventi occasione per un percorso di rivisitazione critica della storia. Roma si è proposta di farlo a partire da un libro che a riaperto pagine spesso dimenticate e altrimenti destinate all'oblio. Personalmente parlo spesso della necessità di elaborare il Novecento. Pensiamoci, ma ci sarebbe lavoro per tutti. Anche nelle nostre prossimità. L'Appello che qui viene riportato, insomma, ci riguarda. Potremmo iniziare con il firmarlo, aderendovi, aggiungendo un vostro commento, scrivendo sulla mia pagina di facebook. (m.n.)

 

Lettera appello al Sindaco d Roma Roberto Gualtieri – Roma capitale

***

La nostra città, ancora oggi, custodisce centinaia di tracce del feroce colonialismo italiano, celebrato attraverso piazze, vie, viali, larghi, ponti, lapidi, busti e palazzi la cui presenza muta permette di continuare a godere del senso di superiorità imperiale di cui sono intrisi.

Una vera e propria odonomastica coloniale che fa di Roma, con oltre 140 odonimi, il luogo d’Italia maggiormente connotato da quell’esperienza storica.

Come Lei ben sa, anche per il contributo essenziale delle seconde generazioni, è sorto ovunque, nel nostro paese, un movimento di de-colonizzazione dello sguardo” che, nelle città, chiede di assegnare un significato nuovo, veritiero e più giusto, a quelle tracce, perché oggi é impossibile continuare a vedere statue, monumenti o vie intrise di storia coloniale in modo innocente, acritico.

Un primo intervento ha portato il Consiglio Comunale di Roma Capitale, il 4 agosto 2020, ad approvare una mozione per intitolare la fermata della metro C non all’Amba Aradam - luogo di una battaglia feroce che vide l’uccisione di migliaia di etiopi per mano dell'esercito e dell'aviazione italiana con l’uso di gas tossici – ma a Giorgio Marincola, partigiano nato in Somalia, legato al Partito d'Azione e ucciso in Val di Fiemme nel maggio del 1945.

 

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Parlare di Europa alla Festa dell’Unità di Nomi
Europa, figlia di Agenore, re di Tiro (Fenicia)

di Giuliano Muzio

(Luglio 2022) La Festa dell’Unità di Nomi è ormai diventata una tradizione consolidata per il Trentino. Giunta alla sua 73° edizione, da tempo non si cura del fatto che il giornale da cui ha preso il nome non esista più, ma, grazie agli sforzi di una comunità che trova proprio nella festa un suo momento di coesione e rinnovamento, ha proseguito le sue attività con l’intento di offrire momenti di svago e di socialità, nel solco delle tradizioni ideali che l’hanno generata.

Quest’anno si trattava di riprendere dopo la forzata sosta pandemica e, purtroppo, di registrare il triste ritorno della guerra in Europa. Per questo, nel consueto momento di socialità della domenica mattina, solitamente dedicato ai canti corali della Resistenza, stavolta si è voluto parlare di Europa e si è deciso di farlo con Michele Nardelli che da anni, in modo tanto autorevole quanto originale, affronta il tema partendo da una prospettiva storica e culturale. È stato un bel modo di confrontarsi, ripercorrendo i passaggi storici che ci hanno portato alla situazione attuale. Constatando che hanno radici profonde, quasi millenarie, spesso ignorate, più o meno volutamente.

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Quattro mesi di guerra. Riflessioni.
Srebrenica, memoriale di Potocari

 

***

Dopo circa quattro mesi dall’inizio della guerra in Ucraina proponiamo una serie di brevi riflessioni
che riteniamo utili sia di fronte alla congiuntura attuale che in una prospettiva futura.

1. Innanzitutto, per non ripetere gli errori del passato, va preso atto come questa guerra dimostri – se mai ce ne fosse bisogno – che la pace si costruisce, prima di tutto, coltivandola quotidianamente e costantemente. Nessuna guerra ha un inizio improvviso ed imprevisto. Di conseguenza stupisce che alcune istituzioni internazionali (l’ONU e l’Unione Europea in particolare) si siano rivelate incapaci di presidiare, monitorare e, dove necessario, intervenire (in termini diplomatici e di interposizione a tutela dei civili) ben prima che le fratture diventassero insanabili. Non possiamo sempre occuparci dell’oggi, ignorando cosa è successo ieri. Altrimenti domani saremo daccapo.

 

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Dialogo con Boris Pahor, oltre la morte
Boris Pahor ad una manifestazione di Osservatorio Balcani Caucaso

Caro Professore caro,

ti scrivo, ancora una volta.

Questa lettera veleggerà nell’aria fino a raggiungerti nel silenzio dell’universo dove sei approdato. Non posso ignorare il morso di dolore che stringe lo stomaco, al pensiero della morte nonostante la tua lunga complicata vita.

Di recente ho attraversato le dolenti spiagge dell’abbandono della persona amata ed ora il saluto che devo rivolgere a te acuisce il solco della perdita. Delle varie perdite, che si sommano a mano a mano che si devono salutare i volti di quanti hanno intercettato i nostri passi e con cui si sono condivisi pensieri e speranze.

Nel tuo romanzo “Il petalo giallo”1 hai messo in campo lo scambio di lettere tra i personaggi della storia narrata, ribadendo che le lettere collegano, spiegano, fanno affiorare il rimosso, illuminano, aiutano. Tra i protagonisti, Igor a Magda, un tempo le lettere erano state “un dono, di una creatura accorta ma sognatrice e infantile, che l’aveva aiutato a ritornare nel mondo degli esseri umani”, perché l’invio di missive in qualche caso permette di ricucire gli strappi della vita.

Forse anche fra noi, pur in piccola misura, i messaggi scambiati hanno lenito momenti di solitudine. Leggendo le tue narrazioni, ho intercettato tante domande ed è forse da qui che ha preso il via la nostra corrispondenza, fatta di cartoline e di lettere, scritte a mano o battute a macchina, come facevi solitamente, secondo antica usanza. Per questo oggi ti scrivo e, col tuo permesso, condivido pubblicamente alcuni argomenti di cui abbiamo discusso da lontano.

Spero che altri possano raccogliere il testimone e proseguire allargando il cerchio del dialogo intrapreso.

Un abbraccio denso di affetto.

Micaela

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