"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Al Porteghet siamo nel cuore della città di Trento. Ma il “salotto” che vi si svolge in un piovoso mercoledì mattina non ha niente a che fare con quelli “buoni” che ancora oggi muovono interessi e carriere. E' un salotto molto diverso, che non richiama chi conta, ma nemmeno il venditore ambulante di fiori che entra nel locale, getta l'occhio verso quello strano assembramento e subito desiste, forse perché fra esclusi non è che poi ci si ami più di tanto.
Eppure la presentazione (ed è la quarantacinquesima) del libro “Il monito della ninfea” è la più bella. Non per le cose che racconto, ma per l'atmosfera che si crea con queste persone che incontro per la prima volta e per le loro storie che posso solo immaginare, dando un significato diverso alle cose che vado dicendo.
Che pure mi impongo non essere molto diverse da altre presentazioni, perché non voglio essere diverso da quel che sono di fronte alla loro diversità, tanto meno mancare di rispetto verso la loro sensibilità e intelligenza.
Come forse avrete intuito l'incontro di cui parlo in questa pagina del mio diario è parte di un percorso che il Centro Franca Martini dell'Associazione trentina sclerosi multipla da qualche mese propone ai suoi utenti con un salotto “pubblico” dove si leggono e commentano i giornali, si parla dell'attualità, di presentano libri e storie.
Avverto invece quanto le parole che uso normalmente acquistino in questo contesto un significato ancora più pregnante: il concetto di limite, ad esempio, così privo di cittadinanza nel dibattito politico, qui entra nel vissuto di ogni giorno; oppure il rapporto con la natura, così condizionato nella logica di dominio che ha pervaso il genere umano, tanto da stupirsi di fronte alla sua forza nel susseguirsi di eventi estremi rispetto alla nostra insignificanza che i sani tendono a non riconoscere.
Quando invece la nostra società è all'insegna del no limits e di un progresso che non si interroga sull'insostenibilità del nostro modo di vivere e che considera effetti collaterali anche le più grandi tragedie che hanno attraversato la vicenda del genere umano.
Il messaggio di Vaia, in fondo, è proprio questo. Come quello di una pandemia che non sappiamo che esorcizzare nel disperato bisogno di rientrare in quella normalità che, a saper vedere, ne è all'origine.
Una normalità cieca, per cui diviene essenziale imparare a guardare le cose che vediamo ogni giorno, senza capire che i segni del tempo ci parlano. Così Luisa, la coordinatrice di questo percorso, nell'invitarmi a tornare con loro uno dei prossimi mercoledì, si prende l'impegno nelle loro escursioni all'aperto di alzare lo sguardo.
Il giorno dopo mi invierà l'immagine che qui ho postato con la scritta: “Con il naso all'insù” e con questo saluto: “Buongiorno Michele, da oggi si va così...”
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