"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

19/05/2016 -
Il diario di Michele Nardelli
Un momento della serata

Proprio una bella serata, mercoledì sera alla Locanda delle Tre Chiavi di Isera. Vista da questa parte del tavolo, la partecipazione e l'attenzione delle molte persone presenti, soprattutto giovani, attorno ad un tema complesso come quello affrontato attraverso il racconto sui confini e le migrazioni, nell'attualità di Idomeni e della “rotta balcanica” come nel prendere in esame il delirio nazionalistico che ha attraversato il Novecento e mai davvero elaborato tanto da ritrovarci oggi fra nuovi confini e filo spinato, ci dice di quanto bisogno ci sia di testimonianza come di visione.

Di fronte alle derive securitarie e xenofobe in buona parte di Europa, forse è proprio necessario ripartire da qui, dalla testimonianza della sofferenza lungo le frontiere di un vecchio continente che ha smarrito la memoria di sé e che proprio per questo si vive solo al presente, chiuso nella difesa egoistica di uno status insostenibile e dunque senza futuro.

Testimonianza e visione che emergevano nel video realizzato al confine fra Grecia e Macedonia dalla giovane giornalista Elisa Dossi nel documentare le condizioni di vita di migliaia di persone costrette nel fango, nel freddo e nel triste prendere atto del carattere escludente di questa Europa, come nello sguardo che ho cercato di proporre su un presente che non riesce a far tesoro della storia, nelle sue tragedie come nelle straordinarie prerogative che gli attraversamenti hanno portato con sé, parte spesso inconsapevole di identità vissute in sottrazione.

Certo. Di fronte alle tragedie possiamo far finta di niente, volgendo il nostro sguardo altrove. Così come possiamo decidere di non sapere che ciascuno di noi, suo malgrado, è il prodotto dell'incontro (e del conflitto) che lungo la storia ha forgiato saperi ed identità. Ma questa è la strada che ci porta dritti dritti alla guerra, a quel sentirci in guerra verso il nostro prossimo che è la condizione di questo tempo.

C'è anche dell'altro. L'emozione delle immagini e l'attenzione verso il racconto, accanto ad una partecipazione che ci parla di una comunità di giovani che non si accontenta dei talk show televisivi, mi colpisce positivamente, confermandomi nella scelta di dedicare una parte importante del mio tempo alla formazione politica.

Sì, perché nella domanda che è emersa con forza nel corso della serata – “ma noi, che cosa possiamo fare?” – c'è proprio l'espressione di un bisogno di essere presenti in questo passaggio di tempo tanto complesso, insieme consapevole e motivato sul piano dell'agire. Non il “fare” purchessia, tipico invece di un presente deprivato del pensiero, ma un agire esigente e collettivo (e per ciò stesso politico) che intende andare alle radici dell'esclusione.

E c'è in tutto questo anche l'emozione che mi prende sul senso del proprio agire, ritornando con il pensiero a quando nel novembre del 2012 demmo vita ad una piccola scuola di formazione politica rivolta ai giovani di Villalagarina. Rivedo qui alcuni dei partecipanti di allora, ora protagonisti – chi in consiglio comunale, chi nell'associazionismo – della propria comunità, come il “tavolo giovani della Destra Adige” e l'associazione “Social Catena”, protagonisti di questa serie molto partecipata di incontri.

Quel che possiamo fare...

 

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