"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Bosnia Erzegovina, si gioca col fuoco.

I certelli all\'ingresso della Republika Srpska

Entro il mese di settembre 2015 si svolgerà in Republika Srpska un referendum che assume un forte valore simbolico sull'integrità della Bosnia Erzegovina.

di Michele Nardelli

(17 luglio 2015) Su proposta del premier Milorad Dodik il Parlamento della Republika Srpska (una delle due entità della Bosnia Erzegovina) ha deciso con 45 voti favorevoli e 31 astensioni di andare al referendum nel prossimo mese di settembre sul potere della Corte Nazionale (la magistratura centrale della Bosnia Erzegovina) nel territorio della RS.

Non è ancora il referendum più volte richiesto da Dodik per l'indipendenza della RS, ma certamente questa consultazione popolare assume un forte valore simbolico, tanto è vero che ha scatenato una serie di dichiarazioni dai toni pesanti. Per Bakir Izetbegovic, rappresentante bosniaco musulmano all'interno della presidenza tripartita di Sarajevo, si tratta “dell'atto distruttivo più pericoloso dopo la firma degli accordi di pace di Dayton". Dodik ha risposto che “il referendum rappresenta un mezzo democratico per permettere al popolo della Repubblica Srpska di esprimere il proprio parere" e che “Bakir Izetbegovic rappresenta la minaccia più grande per la pace e la stabilità della Bosnia e della regione”.

In effetti un referendum sull'abolizione della giurisdizione della magistratura centrale sul territorio della Repubblica Srpska metterebbe a rischio “la coesione, la sovranità e l'integrità della Bosnia-Erzegovina, su cui tutti i leader dei partiti politici rappresentati in parlamento, incluso il presidente Dodik, si sono impegnati nel febbraio 2015” come hanno affermato ieri in una dichiarazione congiunta l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Federica Mogherini, e il commissario per la Politica di vicinato e i negoziati per l'allargamento, Johannes Hahn.

Sembra di riavvolgere un film già visto, lo stesso che ha portato alle lacerazioni e alla tragedia degli anni '90. Non a caso tutto questo accade solo poche ore dopo le celebrazioni del ventennale del genocidio di Srebrenica e la cacciata del leader serbo Aleksandar Vucic da Potočari, diventate il pretesto per radicalizzare uno scontro mai sopito che prosegue sotto traccia in un conflitto tutt'altro che elaborato.

Come non sembra casuale il fatto che questo avvenga nel momento di più acuta debolezza del disegno politico europeo. Se fino a ieri la prospettiva europea rappresentava la strada per diluire il peso dei nazionalismi e per mettere le briglia agli interessi della criminalità organizzata che segna così fortemente il governo reale degli Stati nati dalla disintegrazione della vecchia Jugoslavia, dopo la vicenda greca la credibilità politica dell'Europa è ai minimi storici.

Anzi, paradossalmente, questi piccoli stati offshore (e fuori controllo rispetto ad un diritto internazionale non facilmente esigibile) segnano qualche punto a loro favore proprio nel contesto di sovranità deregolata in cui navigano. Paesi dove si vive di traffici di ogni tipo e sempre meno di lavoro, sottopagato e privo di ogni forma di tutela. Tanto che da quelle terre chi ci riesce se ne va. E' quel che accade anche in Bosnia Erzegovina, soprattutto nelle aree del ritorno.

E nei quali la mobilitazione contro "i nemici" rappresenta l'adrenalina quotidiana che viene sparsa a piene mani come chiave di lettura del malgoverno e che tiene al potere una vecchia nomenclatura uscita rafforzata dagli anni della guerra e della transizione fra comunismo e turbocapitalismo. 

Certo, l'insostenibilità del castello istituzionale previsto negli accordi di Dayton a lungo andare non aiuta. Ma questo non giustifica affatto chi goca con il fuoco. Per i partiti nazionalisti l'importante è corrispondere ad un consenso che viene solo se il nemico è facilmente identificabile e fa parte del proprio immaginario interpretativo: anche in questo i Balcani rappresentano una sfera di cristallo sulla modernità, oltre i confini di quel piccolo paese nel cuore dell'Europa.

E' lo stesso vento che attraversa il vecchio continente nell'insorgere dei nuovi fascismi come nelle paure e nell'aggressività a difesa di quel che si ha, del proprio status e delle proprie sicurezze. Che prende i simboli degli stati nazionali, delle religioni o dello scontro di civiltà. Ma l'Europa continua a non capire.

Insomma, un nuovo secolo ancora totalmente immerso in quello precedente.

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*