«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»<br/> Manifesto di Ventotene
di Mauro Cereghini
Ci sono segni che spiegano più delle parole. La violenza, l'insulto, il bullismo che vediamo nei gesti politici contemporanei ci dicono di un tempo nuovo, in cui sono immersi tanto i leader quanto i loro governati. Il tempo della cattiveria.
(29 agosto 2025) Il presidente turco Erdogan ha sorriso leggermente quando, incontrando la Presidente della Commissione Europea von der Layen insieme al Presidente del Consiglio UE Michel, ne ha palesemente sminuito il ruolo politico sedendola defilata rispetto al collega maschio. Il ministro israeliano Gvir invece è apparso tronfio mentre illustrava le foto sulla distruzione di Gaza appese nei corridoi di un carcere. “I detenuti palestinesi le devono vedere tutti i giorni, uno di loro ha anche riconosciuto i resti della sua casa” – ha commentato compiaciuto, concludendo – “Così dev'essere”. Più esplicito ancora il presidente USA Trump all'inaugurazione del controverso centro di detenzione per migranti irregolari nelle paludi della Florida: “Gli alligatori come guardie costano poco”.
Pubblichiamo la “Lettera aperta al Governo e al Parlamento”, sottoscritta a conclusione dell’annuale convegno dei Vescovi delle Aree interne. Il documento, firmato al momento da 140 tra Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e Abati, resta aperto per ulteriori adesioni. Il testo sarà consegnato all’Intergruppo Parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree Fragili”.
Nella difficile fase in cui siamo immersi è indubbio che nel Paese si stia allargando la forbice delle disuguaglianze e dei divari, mentre le differenze non riescono a diventare risorse, tanto da lasciare le società locali – e in particolare i piccoli centri periferici – alle prese con nuove solitudini e dolorosi abbandoni. Sullo sfondo, assistiamo alla più grave eclissi partecipativa mai vissuta. S’impone, dunque, una diversa narrazione della realtà, capace nel contempo di manifestare una chiara volontà di collaborazione e di sostegno autentico ed equilibrato, al fine di favorire le resistenze virtuose in atto nelle cosiddette Aree Interne, dove purtroppo anche il senso di comunità è messo a rischio dalle continue emergenze, dalla scarsa consapevolezza e dalla rassegnazione.
La recente pubblicazione del Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, che aggiorna la Strategia Nazionale per questi territori, delinea per l’ennesima volta il quadro di una situazione allarmante, soprattutto per il calo demografico e lo spopolamento, ritenuti nella sostanza una condanna definitiva, tale da far scrivere agli esperti che «la popolazione può crescere solo in alcune grandi città e in specifiche località particolarmente attrattive» (p. 45). Nel testo, vengono a un certo punto indicati alcuni obiettivi che, però, per la stragrande maggioranza delle aree interne, risultano irraggiungibili per mancanza di «combinazione tra attrattività verso le nuove generazioni e condizioni favorevoli alle scelte di genitorialità» (ivi). Sono molti gli indicatori che fanno prevedere all’ISTAT un destino delle aree interne che, sotto tanti aspetti, sarebbe definitivamente segnato, al punto che l’Obiettivo 4 della Strategia nazionale s’intitola: «Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile». In definitiva, un invito a mettersi al servizio di un “suicidio assistito” di questi territori. Si parla, infatti, di struttura demografica ormai compromessa, «con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività. Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse». In sintesi, il sostegno per una morte felice.
Care e cari,
come sapete nell'ambito del Collettivo di scrittura nato attorno al libro “Inverno liquido” da qualche tempo sto lavorando insieme ad alcuni di voi ad una nuova pubblicazione che ha come oggetto le “Nuove geografie ecosistemiche”.
Abbiamo fatto un paio di incontri da remoto, ne abbiamo discusso lo scorso anno nell'incontro in presenza del Collettivo a Puy de Champanesio, abbiamo realizzato un anno fa l'incontro a Dosoledo (BL) sulla “Regione che non c'è” ovvero sulla Regione Dolomiti per descrivere come il tema possa avere implicazioni territoriali molto significative, nel mese di aprile ho avuto il piacere di esporre il tema nell'ambito della Scuola di formazione politica Danilo Dolci di Roma, sempre in aprile abbiamo promosso con Slow Food del Trentino Alto Adige/Südtirol al Muse di Trento la presentazione del libro di Franco Farinelli “Il paesaggio che ci riguarda” dove ho potuto dialogare con l'autore proprio attorno ai temi delle nuove geografie. Grazie a Massimo De Marchi, il 30 giugno scorso abbiamo realizzato la visita al Museo di Geografia dell'Università di Padova e sempre Massimo ci ha fornito i materiali dell'ultimo congresso di geografia tenutosi recentemente a Torino nonché l'interessante catalogo della collana dedicata alle geografie della casa editrice Franco Angeli (vedi in fondo alla pagina il link di accesso).
Ali Rashid, il mio amico Ali, mio fratello Ali, non è più fra noi. Il suo cuore malandato si è fermato, non ce l'ha fatta a reggere oltre il dolore di una terra, la Palestina, per la quale aveva speso una vita.
Qualche giorno fa Ali mi aveva inviato le immagini di un ulivo millenario che bruciava da ore alimentato dal vento, anch'esso vittima designata della tragedia che si andava consumando nella Mezzaluna fertile per togliere di mezzo, con il genocidio della sua gente, anche le tracce della sua storia.
Quell'immagine rappresentava, non so quanto inconsapevolmente, il suo ultimo atroce messaggio, un editoriale senza parole perché tutte quelle possibili erano già state consumate. Il mio dolore è grande, caro Ali, alleviato solo dall'immaginare che il tuo corpo stanco ha finalmente trovato pace.
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Riporto la riflessione che Ali scrisse mesi fa di fronte al nuovo tragico capitolo di una guerra infinita nella sua terra.
Eppure una volta eravamo fratelli.
di Ali Rashid
(un numero insopportabile di morti fa) Corre il tempo e cambiano le idee, i concetti fondamentali e i significati. Come fosse arrivato a compimento la negazione di ogni valore! Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.
Vivono in me i racconti di mio nonno. Andava a Safad in Galilea per comprare un fulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita all'inquisizione in Portogallo, avevano imparato la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.
Mi ricordo di Khaiem, socio di mio nonno in una cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica, ma continuò a mandare alla nostra famiglia in esilio la parte del guadagno dell'impresa finché non morì.
Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello negli Stati Uniti, un mio caro e stimatissimo zio una settimana fa a New York, mentre la salma di mio nonno giace in un anonimo cimitero di Amman.
Cari amici,
“Dio mio, Dio mio, perché ti abbiamo abbandonato?”. Questo rovesciamento del Salmo 22 sarebbe, come ci viene suggerito, la preghiera più appropriata a questo punto della storia umana: dovrebbe essere unanime, oltre ogni distinzione tra credenti e non credenti, perché dopo Francesco l’umanità non può che essere riconosciuta come una cosa sola, amata nella sua integrità, non condannata ad essere divisa tra “benedizione” e “maledizione” secondo la sorte che ne ha preconizzato Netanyahu all’ONU.
Tanto più questa unità si impone, quando nel pieno del genocidio di Gaza, compare la bomba più grande del mondo, che non ha neanche bisogno di essere nucleare per soggiogare e mettere a repentaglio la terra; una bomba che eventualmente, bontà sua, può cancellare il Cremlino, la piazza della Pace celeste a Pechino o il “Berlaymont” di Bruxelles, mentre provoca l’ovvia ritorsione dell’Iran. Allusivamente si chiama B2 (Bibi) Spirit, ispirata al patto d’acciaio che unisce il Pio Torturatore (in preghiera al Muro del Pianto) e il grande Mentitore che assicura due settimane di attesa mentre i suoi bombardieri sono già in volo senza scalo. Non c’è pietà, mentre il diritto, più che trasgredito, è oltraggiato, e la volontà di morte, che papa Francesco nelle sue ultime parole del messaggio di Pasqua sperava si rovesciasse in una umanità risorta, dilaga nel mondo.
Il Premio Nobel Giorgio Parisi, le politologhe Donatella della Porta e Nadia Urbinati, il farmacologo Silvio Garattini, lo storico dell’arte Salvatore Settis sono tra i 40 promotori di quest’appello che invita a votare per i 5 referendum su cittadinanza e lavoro dell’8 e 9 giugno 2025.
Siamo in un mondo segnato da instabilità e conflitti, siamo in un’Italia in declino, tra crisi economiche e fragilità sociale. L’incertezza sul futuro condiziona la nostra vita e colpisce in particolare le generazioni più giovani. Le regole che ci diamo, tuttavia, sono lo strumento che abbiamo per ridurre quest’insicurezza.
Negli ultimi anni le condizioni di incertezza e precarietà sono state aggravate anche da alcune politiche che regolano la nostra vita e il nostro lavoro. Diventare cittadini italiani è diventato più difficile per chi è di origine straniera. Le tutele del lavoro sono state ridotte, con effetti negativi sulla qualità dell’occupazione, sui salari, sulle disparità tra uomini e donne, sulla sicurezza sul lavoro. Politiche di questo tipo hanno alimentato la sfiducia, allontanato le persone dalla politica, aggravato la crisi della democrazia. Non è una deriva inevitabile. Le regole e le politiche possono essere cambiate per dare più protezione a chi vive e lavora in Italia.
José Alberto Mujica Cordano è morto a 89 anni per le complicazioni di un cancro all’esofago, il 13 maggio. Parte del movimento di guerriglia uruguaiana Tupamaros, finì in carcere per dodici anni, due dei quali chiuso in un pozzo. Deputato, senatore, poi ministro dell’Agricoltura e nel 2010 presidente della Repubblica. Lascia un segno profondo e un’organizzazione politica che va oltre la personalizzazione
di Federico Nastasi
(15 Maggio 2025) Al Palacio legislativo di Montevideo c’è la fila. Le persone aspettano pazienti, col volto serio, chi con un fiore in mano, chi con la bandiera del Frente amplio (la coalizione di centrosinistra che governa l’Uruguay) sulle spalle.
“Non ho mai visto tanta gente piangere per un politico. Quando ho saputo la notizia, mi sono sentita orgogliosa per una figura così. E ho sentito paura: chi raccoglierà la sua eredità? Ha introdotto la parola amore in politica, amore per la vita, la natura, la semplicità. Speriamo di essere all’altezza”, dice Vanessa, mentre aspetta il suo turno per salutare José Alberto Mujica Cordano, Pepe come lo chiamavano tutti, morto a 89 anni per le complicazioni di un cancro all’esofago.