"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Lettere

Marmolada, la nostra negazione del limite nella società della performance
Il ghiacciaio della Marmolada

di Giulio Costa *

Azzurro è il colore del vuoto. Esordisce così, durante una seduta di psicoterapia, una mia paziente riferendosi al proprio lutto e al proprio vuoto personale per la recente perdita di un familiare: un dolore che ha visto rispecchiarsi nella voragine di ghiaccio azzurro lasciata dal drammatico distacco del seracco della Marmolada.

Al pari della siccità che da mesi sta colpendo il nostro territorio, la tragedia della Marmolada è diventata nuovo simbolo dell’evidente cambiamento climatico.

Tuttavia, lo sguardo diverso della mia paziente alle fotografie che da giorni riempiono quotidiani, telegiornali e social, mi hanno rivelato come quella voragine rappresenti il nostro umano e contemporaneo rapporto con il limite e la fragilità.

Un baratro fisico, naturale, ma al contempo psichico e sociale. A partire dal Secondo Dopoguerra, abbiamo via via soffocato ogni discorso sulla fragilità, sul dolore e sul senso del limite.

 

Zan, Zendeghi, Azadi - Donna, Vita, Libertà
Autobus Rosso, Londra

 

#MahsaAmini

Viaggio con l'autobus. Ho bisogno della sua lentezza, ferma in tanti luoghi, alcuni scendono, altri salgono, ma l’autobus - questa presenza costante, rossa e gigante - rimane la stessa e scorre in città, una presenza stabile, umile e rossa. Salgo le scale e mi siedo di fronte ad una finestra immensa che si apre verso la città: sono in prima fila e vedo come scorre con il suo ritmo quotidiano, indifferente, ma che indifferente non è, cambia costantemente e la mia mente continua a sentire la canzone di Shervin:

Per…

Per ballare per strada

Per avere paura quando baci l’amato

Per mia sorella

Tua sorella,

Le nostre sorelle

 

Immersi nel Novecento
Piazza Tienanmen. Pechino, 1989

Dialogo attorno alla guerra in Ucraina fra Michele Nardelli e Francesco Prezzi: una sua ultima testimonianza sulle cose del mondo. Francesco ha vissuto questa ennesima tragedia dal letto di un ospedale e fino all'ultimo non ha mai smesso di ragionare sulla società, sul senso della Storia e sul valore del pensiero politico. Poi ha preso il volo.


(8 marzo 2022) Immersi nel Novecento. Questo siamo.

Lo sferragliare dei carri armati e il rumore sordo dei bombardamenti. I vecchi palazzoni sovietici sventrati e anneriti dal fuoco. Gli occhi impietriti di un'umanità costretta ad abbandonare le proprie case, a rifugiarsi negli spazi sotterranei delle metropolitane o ad ingrossare le fila del libro dell'esodo1. I miliziani nazionalisti, sempre più protagonisti delle nuove guerre, padroni delle strade e delle macerie. A prescindere dalle loro bandiere e da come andrà a finire, saranno loro a vincere.

E ancora. L'aria e l'acqua avvelenate, il sudiciume di ogni guerra. Le palizzate di eternit prese a calci, come ad essere senza futuro. La paranoia dei signori della guerra, sempre uguale. L'ipocrisia dei potenti che non hanno mai smesso di produrre e vendere armi. Sullo sfondo il riecheggiare del moto latino “vis pacem, para bellum”, che ha armato il pianeta tanto da poterlo distruggere.

Infine l'incubo nucleare, che da quelle parti conoscono bene e con il quale – malgrado la tragedia di Chernobyl – hanno continuato a convivere, quello delle centrali mai dismesse e in questi giorni sfiorate dalle cannonate, e quello delle testate atomiche allertate in un follia che vorrebbe reclutarci e che militarizza anche il confronto politico.

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Sul sentiero della pace non c'è la spesa militare
Hiroshima. Ombre.

C’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori.

di Nichi Vendola *

Kiev siamo noi. Ogni singolo fotogramma catturato sui fronti di guerra ferisce il nostro sguardo e il nostro sentimento di umanità. Ogni dolente cronaca della devastazione comandata da Putin ci spinge dentro la voragine di un regresso da cui pensavamo di essere risaliti faticosamente. Kiev, Mariupol, Odessa, Kharkiv siamo noi. Le città squartate, incenerite e fumanti del martirio ucraino sono lo specchio rovesciato delle nostre città vibranti di incontri, di suoni, di socialità. Siamo anche noi le famiglie strappate al tepore domestico, alla serenità degli affetti, alla normalità della vita quotidiana. E noi siamo loro: la stessa razza umana, lo stesso diritto alla dignità, la stessa ambizione di camminare eretti guardando il cielo, le stesse lacrime quando si strappa la trama preziosa della vita.

Voglio dire che c’è una «fraternità del dolore» di cui dovremmo fare tesoro: la sentiamo come un codice genetico, come una pulsazione naturale, dentro i nostri cuori, dentro le nostre pupille che non smettono di guardare. Eccola l’umanità oltraggiata, eccola nella sua corsa al cardiopalma per sfuggire alla mattanza, per mettere in salvo un bimbo, ma anche un gatto o un cane, per stringersi nel rifugio mentre il proprio quartiere rimbomba per le detonazioni, per non lasciarsi seppellire dalle macerie della propria casa che crolla, eccola separarsi dai propri affetti e dai propri luoghi, salutare il proprio universo e salpare verso destinazione ignota: non c’è intelligenza geopolitica che non debba misurarsi innanzitutto con questa sofferenza, con l’orrore dell’aggressione criminale di un autocrate imbalsamato sul suo trono. Non si può separare il discernimento dalla compassione. E in queste settimane di sgomento forse abbiamo persino imparato a comprendere il significato amaro e tristissimo della parola profugo: chi fugge dalla città che brucia, proprio come Enea, non è un turista o uno speculatore imboscato...

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Prima il nucleare, poi l'acqua: come si vuole mettere in soffitta la volontà popolare
Acqua bene comune

L'amico Emilio Molinari mi invia queste righe.

«Cari amici, oggi il "Fatto Quotidiano" ha pubblicato un mio articolo e un appello a Papa Francesco.

Il perché sta nel fatto che il governo ha candidato il nostro Paese ad ospitare il Forum Mondiale dell'acqua. Non pensate sia un appuntamento dell'ONU e delle istituzioni mondiali, è bensì il Forum delle Multinazionali dell'acqua.

Ma questo lo leggerete. Vi chiedo di diffonderlo nelle vostre reti... che una secchiata di acqua svegli un paese che sembra anestetizzato.
 
Un abbraccio a tutti».
 
Grazie Emilio. Lo riprendo volentieri, perché in questo clima di "unità nazionale" sembra quasi che il pensiero critico e il dibattito politico non debbano più avere cittadinanza. Passando sopra pronunciamenti popolari come il ritorno al nucleare e l'acqua come bene comune, questioni cruciali che hanno rappresentato pietre miliari nell'esercizio della democrazia.
 
Nell'allegato trovate la pagina del Fatto Quotidiano che riprende l'articolo di Emilio e la sua lettera-appello a Papa Francesco.
 

Il Convento Meridiano
Il Convento Meridiano

A Cerreto Sannita la rigenerazione culturale è stata sabotata: questo è il rischio che corrono tutti i piccoli paesi.

Dalla personale esperienza di “Convento Meridiano” abbiamo imparato che la domanda di cambiamento finisce per scontrarsi con la schizofrenia di chi osserva un pieno di opportunità nel vuoto più totale di visione, interesse e progetti per il proprio comune. Da qui è stato facile immaginare altri luoghi svuotati di senso prima che di abitanti: la cultura e i suoi spazi sono due argomenti molto distanti dalle agende politiche per le aree interne

 

di Guido Lavorgna *

La rigenerazione è un processo di metamorfosi che definisce una nuova configurazione del contesto di riferimento che non prevede un’identità finita ma generativa, interdipendente e in continua evoluzione. In natura la rigenerazione avviene per necessità di adattamento ai cambiamenti ambientali. Nei contesti sociali l’adattamento ai cambiamenti è un processo più lento perché prevede una necessaria capacità di osservazione, lunga e in terza persona, che impone un agire collettivo. In una struttura sociale più o meno articolata, più o meno fragile, la rigenerazione è sempre un processo culturale perché afferente all’intero ecosistema, perché capace di includere e coinvolgere anche chi non partecipa.

In breve, la rigenerazione è un’azione politica di prossimità fondata sulla fiducia che genera cambiamento.

Il tema della rigenerazione urbana è diventato mainstream negli ultimi anni ma il significato che può assumere dipende da tante variabili. In un progetto di rigenerazione coesistono uno spazio (pubblico/privato) che, riqualificato o meno, diventa luogo e le parti attive e consapevoli di una o più comunità che attivano il processo. È sull’equilibrio tra questi due elementi che si gioca la differenza di approccio tra un progetto di rigenerazione l’altro.

Nelle istituzioni più tradizionali l’azione di riqualificazione di un bene non per forza corrisponde a una visione sulla sua destinazione d’uso o più precisamente sulla funzione sociale che l’infrastruttura potrebbe avere perché i progetti nascono da bandi e opportunità di finanziamento e quasi mai hanno tempi di sviluppo per poter ascoltare/accogliere i bisogni delle comunità. Contestualmente, quando le comunità hanno dei bisogni (talvolta non chiaramente espressi) e si aggregano per tentare progetti di rigenerazione, può capitare che le istituzioni tradizionali non favoriscano il processo per il limite (di sordità prima e cecità dopo) nel non riuscire a concedere spazi per tempi lunghi almeno quanto vale il recupero di un investimento per la riqualificazione e riattivazione del bene (15/20 anni).

Sulla soglia 1. Il tempo della parola. Le parole del tempo.
Soglia del Consiglio Comunale

Sulla soglia. Appunti dentro e fuori

di Federico Zappini *

1. Il tempo della parola. Le parole del tempo.

Arrivo in ritardo con questa prima nota.
E’ passato un mese abbondante dal mio ingresso in consiglio comunale.

Cercherò in seguito di essere più preciso, perché il racconto abbia una sua coerenza, un suo ritmo, forse persino una sua utilità.

Rispetterò in questo modo il bisogno di dare tempo alla parola (in forma di dialogo costante, di condivisione di pensieri tra diversi, di sosta a lato del volgere senza soluzione di continuità della complessità globale) e l’urgenza di mettere in risalto le parole del tempo, una sorta di vocabolario minimo per orientarsi dentro le mappe non del tutto complete e spesso sfuggenti del presente.

Transizione. Conversione. Compromesso. Conflitto.
Prossimità. Pianeta. Istituzioni. Comunità.
Rabbia. Disincanto. Passione. Amore.

Sulla soglia è il titolo di questo raccoglitore di spunti, che vuole essere allo stesso tempo diario di viaggio e luogo aperto per il confronto. Mi fa piacere che proprio ieri Simone Casalini ricordando Piergiorgio Cattani lo abbia definito “intellettuale della soglia”, perché “è nel limen che si costituiscono spesso i processi politici, sociali, culturali ed esistenziali”.

Una preziosa assonanza, che porterò con me.

E’ sulla soglia tra il dentro dell’aula consiliare del Comune di Trento e i mille fuori che compongono il Mondo che vorrei si spingesse la mia esplorazione – non solitaria – alla ricerca di un modo generativo di essere e fare Politica.

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