"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

La «Carta di Udine», un capolavoro di ipocrisia

I protagonisti della Carta di Udine

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (55)

di Michele Nardelli

Il federalismo scomparso, non una parola sulla messa in discussione del principio di parità fra i livelli istituzionali costitutivi della Repubblica Italiana sancita nel Titolo V all'articolo 114, nulla sul trasferimento dei poteri verso lo Stato che contraddice il significato profondo della riforma del 2001 peraltro rimasta largamente inattuata (come sull'introduzione del federalismo fiscale). Nulla sulla proposta di accorpamento delle Regioni avanzata da esponenti del PD in Parlamento, assunta dal governo come indirizzo, che ipotizza l'accorpamento delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli Venezia Giulia al Veneto. E un insieme di contorsionismi per dire che la riforma del Titolo V rappresenterebbe un salto di qualità nella piena applicazione dei principi costituzionali, quando è evidente al mondo intero che i poteri delle Regioni ne uscirebbero profondamente ridimensionati.

Che l'impianto di questa riforma costituzionale sia di natura centralistica non lo nasconde del resto nessuno, anzi, spesso lo si rivendica. Ma che siano i presidenti delle Regioni e delle Province Autonome a prestarsi a questo capolavoro di ipocrisia, quando le stesse Speciali si sono salvate per il momento solo grazie alla clausola sull'intesa nel processo di revisione, introdotta peraltro solo in sede di dibattito parlamentare e del tutto controversa, è davvero sconcertante.

Fa sorridere che nell'incipit del documento si citi Emilio Lussu nella sua sottolineatura che «l'autonomia deve essere l'idea animatrice della rivoluzione antifascista democratica» e dunque modello ispiratore non solo per le regioni e le province autonome a statuto speciale ma per l'insieme della Repubblica Italiana, quando poi si riportano in capo allo Stato tutte le materie considerate di carattere strategico.

La Carta di Udine rappresenta in buona sostanza una forma grave di subalternità verso il governo, nella speranza che questo fatto possa condizionare favorevolmente i termini dell'intesa che, così com'è formulata, altro non è che una sorta di accordo politico privo di qualsivoglia valore costituzionale. Nessuna garanzia dunque, nemmeno per le autonomie speciali.

Lo spirito della riforma costituzionale sottoposta al voto referendario va nella direzione opposta all'idea di autogoverno dei territori e pertanto anche alla possibilità di avviare forme di cessione di sovranità verso ambiti di natura sovranazionale impliciti nei percorsi di costruzione delle macroregioni europee. Aumentando la (presunta) sovranità degli Stati nazionali si va infatti nella direzione opposta non solo al disegno europeo così come immaginato nel Manifesto di Ventotene ma anche alla concreta possibilità che la nascita delle regioni europee possa contribuire a rafforzare la costruzione dell'Europa politica.

Insomma, niente male per una “Carta” delle autonomie speciali.

La Carta di Udine

 

1 commenti all'articolo - torna indietro

  1. inviato da Diego Cason il 15 ottobre 2016 20:35
    Senza considerare che abbandonano il resto dei territori alpini, come Belluno, ad un futuro privo di rappresentanza istituzionale. Un vergognoso arretramento localista senza visione e senza coraggio.
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