"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

L'avversità verso la conoscenza e la cultura della pace

Sarajevo, 6 aprile 2002. A dieci anni dall'inizio della guerra, il concerto dell'Orchestra Haidn e dell'Orchestra Filarmonica di Sarajevo

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (106)

di Michele Nardelli

Sono anni ormai che periodicamente viene montata una polemica contro il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e l'Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa. C'è da chiedersi la ragione di tanta avversità verso istituzioni e organismi riconosciuti internazionalmente per il valore e la serietà del loro operato e che hanno fatto di questo nostra terra un luogo di primo piano nell'impegno per la pace e la mondialità.

Nel caso del Forum, a tutti gli effetti un'articolazione istituzionale della nostra comunità, si tratta di un organismo incardinato nel Consiglio della Provincia Autonoma di Trento grazie alla legge 10 del 1991 che l'ha istituito con voto pressoché unanime (l'unico voto contrario allora fu del MSI) e che non a caso ha previsto la presenza ai suoi vari livelli delle più importanti istituzioni rappresentative, dal Consiglio Provinciale stesso ai rappresentanti dei Comuni, dalla Fondazione Museo storico del Trentino alla Fondazione Opera Campana dei Caduti, nonché del mondo associativo e del volontariato. Una realtà che nei quasi trent'anni di attività è stata studiata nelle Università e nei centri di ricerca sui temi della cultura della pace in Italia e in Europa. Il concetto stesso di “cultura della pace” stava ad indicare sin dall'avvio di questa esperienza un approccio innovativo, laddove l'impegno permanente veniva e viene riservato alla costruzione delle condizioni affinché le istituzioni e le società operino nella prevenzione della degenerazione in forma violenta dei conflitti. La pace dunque non come assenza di guerra, bensì come impegno quotidiano a favore della conoscenza e del dialogo, della interposizione nonviolenta e della cooperazione.

Per quanto riguarda l'Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa, si tratta del luogo forse più importante a livello europeo di informazione e ricerca su un'area particolarmente vulnerabile della nostra casa comune, al centro negli anni '90 del secolo scorso di una guerra moderna e mai studiata abbastanza, che ha avuto conseguenze atroci per quelle popolazioni, con l'esito di farne un vasto territorio di particolare deregolazione e instabilità nel cuore dell'Europa e che si ripercuote ben oltre i labili confini degli stati sorti dopo l'89 dalle macerie del comunismo. L'autorevolezza di OBC-T è riconosciuta dalle università come della società civile, dal mondo dell'informazione come dalle istituzioni europee, tanto che negli ultimi anni anche la sostenibilità finanziaria di questo tink tank si è progressivamente spostata dall'impegno della Provincia autonoma di Trento a quello dell'Unione Europea nelle sue diverse articolazioni.

Si tratta di realtà che hanno contribuito all'immagine del Trentino ben oltre i propri confini e di cui la comunità trentina dovrebbe essere fiera. Perché, in un caso come nell'altro, l'azione di questi organismi ha fatto sì che il Trentino fosse connesso con questo nostro tempo glocale, che migliaia di persone si formassero alla mondialità e alla gestione nonviolenta dei conflitti, che una parte dell'Europa potesse trovare qui un punto di riferimento sul piano della costruzioni di relazioni virtuose e della solidarietà.

Mi è capitato spesso di trovarmi in altre regioni italiane ed europee e, nel presentarmi come persona che aveva contribuito all'ideazione e alla costruzione di questi organismi, sentirmi ringraziare per il contributo venuto negli anni da queste realtà, dal giovane volontario come dal cooperante, dall'addetto culturale dell'ambasciata come dall'intellettuale, dal diplomatico come dall'Ambasciatore, un'univoca voce di riconoscimento per l'apporto ricevuto nel fare proprio di uno sguardo lungo quanto mai necessario per abitare la complessità di questo tempo.

Grazie alla legislazione dell'autonomia e alla scelta di dedicare una peraltro piccolissima parte delle proprie risorse finanziarie, questi organismi hanno potuto e saputo mettere in campo da un lato (quello del Forum) un'azione di coordinamento, di iniziativa e di formazione che non hanno eguali a livello nazionale, e dall'altro (parlo di Osservatorio) un'attività di studio, monitoraggio e formazione sull'area balcanica e caucasica nonché un portale che coinvolge annualmente più di un milione e mezzo di utenti.

E allora, tornando alla domanda iniziale (quale può essere la ragione di tanta avversità?), è possibile che il problema sia proprio questo: il fatto che nella crisi politica ed istituzionale vi sia qualcuno che lavora per formare consapevolezza e nuovi sguardi sul presente e sul futuro, fuori da ogni logica di ritorno di consenso immediato, possa dare fastidio.

Tanto è vero che questi organismi si sono visti progressivamente ridimensionare il sostegno finanziario da parte delle istituzioni provinciali, con una miopia che – lo posso garantire da testimone diretto – è stata nel tempo trasversale agli schieramenti politici. La semplice comprensione che siamo nell'interdipendenza, che i processi di deregolazione si riverberano in tempo reale ben oltre anacronistici confini nazionali, che la sedimentazione di relazioni con questo nostro piccolo villaggio globale è una condizione per stare al mondo, non è affatto scontata. Specie se il livello delle classi dirigenti volge sempre più rapidamente verso il basso.

Se poi chi prima sollevava la polvere è oggi al governo dell'autonomia, non ci si può certo stupire degli affondi che in questi giorni vengono reiterati. E se l'emendamento alla manovra di bilancio con la quale si intendeva cancellare di fatto il Forum è stato infine ritirato, come ha da subito precisato il proponente, rimane ferma l'intenzione di farlo.

In tutta questa vicenda c'è di che riflettere. In primo luogo sulla cultura istituzionale di chi ci governa, quella cultura maggioritaria per la quale chi vince avrebbe il diritto di modificare gli assetti istituzionali come gli conviene. Che i processi di trasformazione in atto richiedono un sempre maggiore investimento nella conoscenza, laddove le categorie con le quali abbiamo letto sin qui la realtà sono diventate obsolete e non funzionano più. Che non c'è buona amministrazione se non si connettono i territori e le scelte di governo locali con le grandi sfide planetarie, senza la quale pace e diritti umani diventano parole vuote e retoriche. Nel comprendere infine che non è sufficiente emanare leggi se contestualmente non si lavora per cambiare gli approcci culturali diffusi. Vale per la politica in senso stretto come per le istituzioni e per tutti i corpi intermedi.

(La foto. Era il 6 aprile 2002, decimo anniversario dell'inizio dell'assedio a Sarajevo. Nella capitale bosniaca il concerto dell'Orchestra Haidn e dell'Orchestra Filarmonica di Sarajevo promosso da Osservatorio Balcani con la presenza dell'allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi).

 

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