"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Il triplo tracciamento di cui abbiamo bisogno

da https://pontidivista.wordpress.com/

di Federico Zappini *

(15 novembre 2020) Vi sarà capitato di dover attraversare una stanza al buio. Sapete quindi che prima di abituarvi all’assenza di luce il rischio di andare a sbattere è elevato. Da qualche mese a questa parte – esclusa l’illusoria parentesi estiva, in cui la luce calda del sole ci ha fatalmente abbagliati – ci troviamo a vivere una situazione di incertezza simile, ma riferita all’intera nostra esistenza.

E’ un’entità invisibile (il virus, e con lui la sua circolazione) a imporci l’oscurità. Il nostro sguardo verso il futuro è sfocato, la capacità predittiva insufficiente, l’analisi degli scenari parziale. Siamo ciechi e l’impegno che mettiamo in campo (pieno di limiti e contraddizioni, come conferma ogni giorni la pessima relazione tra i diversi livelli istituzionali) si concentra esclusivamente sul successivo passo, nel tentativo di non inciampare. Per non farsi troppo male, pur facendosene già abbastanza.

E’ in questo contesto che si protrae – indefinito – lo stato di eccezione a cui fa riferimento Simone Casalini in un suo recente editoriale. Il sistema sanitario boccheggia, la tenuta sociale vacilla, l’azione politica latita. Una mancanza, quest’ultima, che pesa in modo particolare di fronte al riproporsi della complessità del reale (che avevamo tentato di rimuovere) e della non linearità dei processi globali (randomici e scomposti come è l’andamento del contagio).

Nell’eccezionalità del momento possono dispiegarsi le dinamiche del controllo e del conformismo, o – al contrario – trovare terreno fertile le condizioni per il cambiamento, partendo dalla consapevolezza diffusa dell’urgenza di immaginare un modo nuovo di stare nel mondo, con o senza Covid19. A poco servono le mappe a colori delle regioni italiane se a diffondersi come osserva Ilvo Diamanti è un’omogenea “zona grigia” privata della socialità e del confronto, impaurita e stanca, solitaria e disarmata.

Che fare quindi? Come progettare e governare nel caos? Come ri-pensare l’esistente non per ri-partire ma per ri-nascere?

Sono certamente messe a dura prova le nostre doti di orientamento. Lo abbiamo capito. Ci servono dati – tanti, buoni e aperti, come ci ricorda la campagna #datibenecomune – e capacità evolute per analizzarli, rendendoci così più bravi nelle diverse operazioni di tracciamento.

Per tracciare la malattia in primis. In attesa del vaccino è necessario rinunciare a pezzi delle nostre abitudini socializzanti, riducendo così le opportunità di contagio. Uno sforzo di comunità a tutela di ogni singolo, in un rinnovato dialogo tra libertà e responsabilità. Con numeri meno drammatici rispetto a quelli delle ultime settimane andrà poi raccolta la doppia sfida di elaborare una fotografia più precisa – territorio per territorio – del contagio e di procedere alla riorganizzazione e al rafforzamento dei presidi di medicina e cura, con attenzione particolare alle loro articolazioni di massima prossimità.

Parallelamente servirà tracciare le linee di faglia della sofferenza sociale. Una crisi planetaria e globalizzata di tale portata genera tensioni spurie – le abbiamo intraviste anche nelle piazze italiane – frutto di fragilità diffuse, spesso dalle caratteristiche inedite. Oltre i decreti ristoro – necessari ma non risolutivi – serviranno nuovi strumenti di welfare per agire dentro uno scenario così articolato e frammentato. Non solo strumenti compensativi rispetto alle perdite subite nel periodo della pandemia ma la revisione complessiva del rapporto tra lavoro (e non lavoro) e vita, lì dove è interessante che da più parti l’esigenza di un reddito universale senza condizioni venga segnalata come non più rimandabile.

In questa fase di transizione vanno osservate e alimentate tanto le vertenze che danno vita a processi migliorativi (basti pensare alla battaglia dei rider sulle forme contrattuali nel campo del delivery) quanto le alleanze che studiano e propongono nuove politiche radicalmente trasformative (il Forum Diseguaglianze e Diversità ne è il migliore, ma non unico, esempio).

Impossibile da slegare dalle due azioni che ho fin qui descritto è però un rinnovato sforzo di tracciamento politico. Federare i fermenti attivi, felice titolo di in un recente incontro romano. Riconoscere, ascoltare, interpretare e muoversi curiosamente dentro il formicolio che agita i territori, espressione questa rubata a Fabrizio Barca e Cristiano Gori. Includere i corpi estranei, i troppi e diversi esclusi da meccanismi partecipativi ancora insufficienti, spesso autoreferenziali.

Sentirsi movimento dei movimenti alla ricerca di una rappresentanza comune. Ri-connettere per ri-mediare la società. Questo è il nostro compito primario.

Dobbiamo essere animatori guidati dall’urgenza di pensare e agire, agire e pensare. Pungoli aguzzi e “fastidiosi”. Trovo perfetto questo appellativo (un complimento) che il New York Times riconosceva a donne che – tra loro la militante e urbanista Jane Jacobs – “tirano la Storia per la giacca senza mai arrendersi”, applicando nelle loro vite una costante opposizione alle ingiustizie e una spinta decisiva per l’apertura di spazi di opportunità. Perchè questa crisi non vada sprecata serve che emergano nuove leadership visionarie e generose, luoghi dell’attivismo e dell’organizzazione politica capaci di rinnovata fratellanza e progettualità, paradigmi di riferimento di sufficiente forza da rigenerare dalle basi la convivenza democratica.

Le diverse opere di tracciamento – almeno per quanto mi riguarda – nascono da questa consapevolezza d’insieme, dall’urgenza di ritrovare il filo del discorso e della pratica pubblica.

* https://pontidivista.wordpress.com/

 

0 commenti all'articolo - torna indietro

il tuo nick name*
url la tua email (non verrà pubblicata)*