"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Cessare il fuoco e immaginare scenari di pace

Gaza

«La maledizione di vivere tempi interessanti» (132)

di Ali Rashid *

Tutte le guerre nel Vicino Oriente sono state precedute da nuovi piani di annessione o spartizione che ne hanno ridisegnato i confini. Questo è avvenuto nel 1948 quando fu cancellata la Palestina dalla carta geografica, avvenne nella guerra del 1967 quando Israele occupò il resto della Palestina (Cisgiordania e Gaza) insieme al Sinai e alle alture del Golan. Avvenne anche nel 1973 quando Israele fu costretta a restituire il Sinai all'Egitto oppure nel 1982 quando occupò una parte significativa del Libano per poi essere costretta a ritirarsi grazie alla resistenza del popolo libanese.

Lo stesso avvenne dopo l’11 settembre 2001 con l’occupazione dell'Afghanistan e la guerra all’Iraq che, insieme alla libertà e alla democrazia, si fa per dire, portarono con sé lo smembramento di questi paesi in un coacervo di aree fondate su basi etniche o confessionali solcate da infrastrutture funzionali al controllo delle materie prime. Al contrario solo lo Stato di Israele non ha definito i propri confini, sfruttando ogni occasione (ovvero ogni nuova guerra) per espandere il proprio territorio. Quello che del resto sta accadendo in questa guerra reagendo all'aggressione di Hamas per annettersi definitivamente la striscia di Gaza, espellendone la popolazione. Con licenza di buona parte delle potenze occidentali e dei mezzi di informazione che ne hanno avvallato le attività criminali di pulizia etnica e di massacro della popolazione civile.

Già dal 9 ottobre, due giorni dopo l’attacco di Hamas, gli Stati Uniti d'America e alcune diplomazie occidentali hanno cercato di convincere l’Egitto ad ospitare i Palestinesi di Gaza nel Sinai in cambio della cancellazione del loro debito estero. Contestualmente i coloni ebrei hanno intensificato i loro attacchi contro i villaggi e civili palestinesi in Cisgiordania, intimando loro di fuggire in Giordania. Intenzioni respinte, almeno per il momento, anche grazie al deciso rifiuto della Giordania e dell'Egitto, ma solo accantonate.

Di fronte alla tragica realtà causata dalla logica di vendetta del governo di Netanyahu – che calpesta le più elementari norme del diritto internazionale – si sono evidenziate delle discrepanze nell'atteggiamento delle potenze occidentali, fin qui asservite al volere della destra israeliana e degli USA. Tanto che il segretario di stato nordamericano Blinken ha affermato che “una autorità palestinese efficace e attiva” dovrebbe alla fine governare Gaza. Senza per altro fornire indicazioni su come superare l’opposizione di Nataneahu, il quale vorrebbe che Israele si assumesse la responsabilità complessiva della sicurezza sul territorio palestinese per un periodo indefinito.

Lo stesso dicasi per il capo della diplomazia europea Borrell, che ha detto chiaramente che Israele non può rimanere a Gaza dopo la guerra. Dalla Germania viene la proposta di mettere Gaza sotto un ombrello protettivo delle Nazioni Unite per permetterne la ricostruzione e la creazione di un autogoverno locale.

Evidentemente la questione è più complicata di quello che pretendeva la follia israeliana. Nel 1948, come scrisse Rabin nelle sue memorie, è bastato un gesto della mano di Ben Gurion per cacciare via più di 700.000 palestinesi dalle loro case, città e villaggi. Di certo oggi, dopo il brutale attacco di Hamas e la carneficina di Gaza da parte di Israele, trovare una soluzione giusta e condivisa è certamente meno facile che in passato.

Occorre fermarsi. Serve un immediato cessate il fuoco indispensabile per la vita di milioni di esseri umani e per evitare l'allargamento della guerra a tutta la regione, Mediterraneo compreso. Ed iniziare a riflettere su come trovare una soluzione di pace duratura, individuando strade diverse da quelle fin qui percorse. Ma per far questo occorre un cambiamento radicale nelle politiche di tutti gli attori, nonché un cambio delle classi dirigenti. Fin quando saranno le armi e la violenza a dettare l'agenda politica del Vicino Oriente (e dei potenti della Terra), la pace non potrà essere che un lontano miraggio.

* già primo segretario Ambasciata palestinese in Italia

 

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