«Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani»
Manifesto di Ventotene
 

di Federico Zappini *
Capita che quando il Presidente Fugatti deve affrontare un tema spinoso – dati economici non esaltanti, la “grana” sul terzo mandato, la difesa a oltranza degli aumenti ai consiglieri regionali – la sua strategia sia quella di aprire un fronte a lui più comodo. E’ il caso in questi giorni del nuovo annuncio in merito al “Centro di permanenza e per il rimpatrio” (CPR) da realizzare a Trento.
Il presidente Fugatti – lo rivendica spesso – è persona semplice che non ha tempo né volontà di approfondire il fatto che per i cittadini che commettono reati esistano i tribunali e successivamente le carceri (pur se stabilmente sovraffollate) e che i CPR dovrebbero rispondere – e lo fanno male, molto male… – all’esigenza di espellere chi in Italia si trova senza documenti. Tra questi, potenzialmente, qualche centinaio di migliaia di lavoratori impegnati in Italia e anche in Trentino nei settori più in ombra, e mal pagati, dell’economia.
Ma a Fugatti questo interessa relativamente perché per lui – così come per la presidente Meloni – ciò che conta è l’impatto mediatico di una dichiarazione da offrire a comunità che, sotto l’effetto di un contesto economico e sociale a dir poco incerto, sono sensibili alla promessa di agire con la forza verso chi da decenni viene descritto come nemico.
Se dovessimo accettare lo schema “populismo per populismo” verrebbe da chiedere al presidente Fugatti di applicare la sua idea di controllo e repressione in maniera diffusa (così come diffusa era l’accoglienza impostata dalle precedenti amministrazioni) e di proporre il comune di Avio per il costruendo CPR. Lontano dai centri urbani dove potrebbero esserci maggiori proteste, prossimo a un casello autostradale e da lì ai più vicini aeroporti. Siamo certi che come fa con la comunità del capoluogo sarebbe convincente nei confronti dei suoi concittadini, convocati in assemblea pubblica.
Esaurita questa piccola provocazione mi vorrei concentrare sulle motivazioni più vere che determinano la mia contrarietà ad un CPR a Trento e in ogni altro luogo d’Italia e del Mondo.
I CPR sono luoghi che non rispondono alle condizioni minime dello stato di diritto e della dignità umana. La detenzione amministrativa infatti, oggi permessa fino a un massimo di 18 mesi, non deriva dalla commissione di un reato, ma appunto dalla mancanza di un documento di soggiorno valido. Si è “colpevoli di viaggio”. A questa eccezionalità normativa si unisce la corposa letteratura in merito alle pessime condizioni di detenzione, lì dove alla gestione privata (in appalto) e non dello Stato delle strutture corrisponde una mancanza generalizzata di cure sanitarie, psicologiche e spesso anche nella fornitura di cibo. Nei CPR si sta male e a volte si muore. I risultati dell’esperienza CPR è a tutti gli effetti fallimentare: altissimi costi (nell’ordine di decine di milioni di euro annui), un numero limitato di rimpatri (quasi impossibili in assenza di accordi internazionali) e la moltiplicazione della sofferenza per chi, in un modo o nell’altro, finisce rinchiuso. E tutto questo senza aprire il capitolo della miliardaria partita – infrastrutturale e politica – dell’esternalizzazione dei CPR in Albania.
Immagino che neanche i dati possano minare le convinzioni del presidente Fugatti e proprio per questo chi vuole proporsi come alternativa credibile a lui deve allargare lo sguardo, offrendo a cittadini e cittadine un’idea minima di sicurezza sociale che non si appiattisca sulla sua interpretazione muscolare e repressiva.
Siamo intimoriti dagli effetti possibili dell’immigrazione non regolata? In attesa che al più alto livello possibile (almeno europeo) si lavori a nuove partnership mediterranee, orientate alla cooperazione tra nord e sud fuori da schemi coloniali e opportunistici che garantiscano migliori condizioni di vita nell’intero continente africano, ci si doti di percorsi legali e facili per l’immigrazione – oggi inesistenti, oltre alla “finzione” dei decreti flussi –, si investa in accoglienza e coesione territorio per territorio e si lavori per migliori leggi sulla cittadinanza, oggi totalmente inadeguate.
Se nei nostri centri urbani siamo infastiditi dal mercato dello spaccio di sostanze stupefacenti invece che invocare – da almeno vent’anni, senza risultati apprezzabili – la “guerra alle droghe” si agisca a monte, modificando le leggi (liberalizzando, legalizzando ma soprattutto gestendo almeno il mercato delle sostanze leggere) per togliere il terreno da sotto i piedi alle criminalità organizzate. In parallelo si moltiplichino gli spazi e i progetti per la riduzione del danno e per la formazione rivolta alla cittadinanza, più o meno giovane.
E ancora – per chiudere – se siamo convinti che le nostre comunità siano preoccupate dalla combinazione tra marginalità sociale e violenza urbana allora è bene che riconosciamo la presenza di un gradiente sociale (di un collegamento diretto) tra stati di precarietà sempre più forti e l’aumentare della microcriminalità. Data per buona questa premessa più che l’Esercito in piazza serviranno una miriade di competenze e di saperi sociali che negli stessi luoghi offrano cura di prossimità e accesso a un ecosistema interconnesso di servizi – per la casa, per la salute, per la formazione, per il lavoro – che includono, sostengono, accompagnano.
Mi rendo conto che questo schema di intervento possa apparire complesso e con buona probabilità non capace di intercettare immediatamente il consenso ma è l’unica possibilità che abbiamo per costruire una sicurezza fatta di giustizia sociale e di buona convivenza comunitaria.
Meno non si può. Ci pensi presidente Fugatti.
* Commento pubblicato sul quotidiano "Il T" di sabato scorso 25 ottobre 2025
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