"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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giovedì, 23 luglio 2020Un momento dell'incontro di Merano

La cornice è quella di Villa San Marco, edificio realizzato alla fine dell'800 (si chiamava villa delle rondini o, meglio, Schwalbenvilla), e del suo parco che ospitano l'Accademia di studi italo-tedeschi, nel cuore di Merano.

Qui, insieme a due interlocutori competenti in materia forestale e ambientale come Anni Schwarz e Helmuth Moroder, grazie all'UPAD di Merano (e a Luigi Cirimele in particolare che ha animato l'incontro) e all'Accademia stessa, di fronte ad un pubblico attento (per la prima volta “in presenza” a Merano dopo il locale attenuarsi della pandemia), presentiamo “Il monito della ninfea” in un tardo pomeriggio intitolato “Il vento e il virus”.

Dobbiamo questa iniziativa in particolare a Mauro Cereghini, amico di tanti tragitti compiuti in comune, dall'impegno per la pace alla cooperazione di comunità, dall'Osservatorio Balcani Caucaso alla scrittura di due libri come “Darsi il tempo” (EMI, 2008) a “Sicurezza” (Edizioni Messaggero, 2018).

Scrivere libri insieme è qualcosa di più di una semplice collaborazione, specie se i testi proposti non sono riconducibili esplicitamente ad ogni singolo autore. Oltre al sentire comune significa mettersi in gioco nella scrittura e dunque in una sorta di complicità che ci fa ingerire nelle parole dell'altro. Un bell'esercizio di reciprocità. Che magari con Mauro fra qualche anno potremmo decidere di rinnovare. Chissà.

E' anche quel che è accaduto con Diego Cason nella scrittura de “Il monito della ninfea”, laddove pure la nostra frequentazione era ancora piuttosto acerba. E ciò nonostante sono bastati alcuni viaggi attraverso il disastro dei boschi infranti delle nostre vallate per trovare l'armonia di corde dai timbri diversi per dare alla luce un libro che si rivela ogni giorno di più uno strumento utile per attraversare il presente.

Partiamo bene, perché il libro è piaciuto ai nostri interlocutori. Ma questo non impedisce loro di rivolgerci domande e osservazioni impegnative e che non sempre trovano risposta. Perché l'urgenza di cambiare rotta si scontra con paradigmi e pratiche consolidate lungo i secoli della modernità, nella diffusa persuasione che “la freccia del progresso” avrebbe comunque rivolto al bene il suo volo. E pertanto non così semplici da mettere in discussione.

E' stata apprezzata anche la prudenza, la scelta di non cercare nemici e di non comprimere la complessità in maniera manichea fra il bene e il male.

Anche perché l'impronta ecologica riguarda ognuno di noi e non può essere alleggerita da visioni semplificate, come se ad esempio vivere in montagna fosse di per sé più sostenibile che abitare in città. Allo stesso modo, il nostro tempo richiede risposte di fondo, il contrario cioè dell'approccio emergenziale. L'emergenza, questa parola quasi sempre declinata al maschile – come ha sottolineato Anni – che induce alla verticalità autoritaria e muscolare, ben lontana dall'orizzontalità, invece paziente e riflessiva, che ci toglie il tempo della riflessione e della visione.

E così, nelle parole di Anni e di Helmuth, prima ancora che da quelle di Diego e di chi scrive, è emersa tanto l'utilità di questo nostro lavoro quanto il fatto che questo libro, uscito qualche settimana prima dello scoppio della pandemia, si potesse iscrivere senza fatica nel passaggio che stiamo vivendo, come se il virus rappresentasse l'altra faccia del vento. Connessione che in un primo momento avrebbe potuto risultare forzata, ma che a pensarci bene è forse l'essenza di questo lavoro.

L'attento uditorio che ci ascolta non fa mancare le proprie domande e considerazioni: come sta accadendo fin qui in ogni presentazione il libro diventa un'opportunità di un confronto esigente, quel che dovrebbe avvenire nella normalità dei corpi intermedi ma invece così raro nella perdurante crisi della politica. E' un grazie corale per la bella serata.

domenica, 19 luglio 2020Un'immagine dell'incontro di Bondo

E' stata la prima manifestazione pubblica in uno spazio chiuso con le regole del distanziamento che sia stata realizzata a Bondo (ora uno dei borghi del nuovo comune di Sella Giudicarie) e probabilmente l'argomento non poteva essere migliore: la presentazione del libro “Il monito della ninfea. Vaia, la montagna, il limite” (Bertelli Editori, 2020). Perché quel monito, le connessioni che il libro pone e che la serata ha ampiamente affrontato hanno posto l'attenzione non solo sugli eventi che a fine ottobre 2018 hanno portato alla distruzione di 42.525 ettari di bosco ma anche sulla Pandemia che è entrata drammaticamente nelle nostre esistenze e che nel pianeta è ancora nella sua fase più acuta.

Ora, la fine del lockdown ci permette di rincontrare le persone per parlarne e cercare di capire quel che sta avvenendo in questo povero tempo nostro, segnato com'è dal manifestarsi drammatico delle conseguenze di un modello di sviluppo insostenibile.

Certo, tendiamo a vedere ancora lo stagno metà sgombro – per rimanere nella metafora che ha ispirato il titolo del libro – e quindi pensiamo che ci sia tutto il tempo necessario per porre rimedio all'infranto, che pure continuiamo a pensare come “emergenza” quando invece siamo in presenza di crisi strutturali che richiedono di essere affrontate alla radice se non vogliamo che diventino normalità.

Una normalità tragica perché in discussione c'è la vita di milioni di persone e in ultima istanza la stessa esistenza della specie umana sulla faccia della terra. Catastrofismo? Quando nel 1972 uscì il rapporto del Club di Roma “I limiti dello sviluppo” la reazione dei governi e di grande parte della comunità internazionale fu proprio quella di accusare gli scienziati che stilarono quel primo rapporto di “catastrofismo”. La storia non solo ha dato loro ragione ma indicato come quelle previsioni fossero ottimiste, considerato che le loro proiezioni sono state in realtà anticipate di quasi mezzo secolo.

Il silenzio che nel salone del vecchio Municipio di Bondo accompagna la proiezione del breve video su Vaia rappresenta a pieno l'inquietudine dei molti presenti, quasi uno schiaffo alla colpevole innocenza con cui ci ostiniamo a credere che la tecnologia un rimedio lo troverà mentre al pettine stanno venendo tutti i nodi delle crisi del nostro tempo, quella ambientale di cui ogni giorno vediamo gli effetti negli eventi estremi come nella perdita delle biodiversità, quella sociale considerato che a pagare sono sempre i soggetti più deboli, quella finanziaria il cui cinico approccio porta ad emettere titoli derivati persino sui disastri ambientali, quella sanitaria che sta devastando il pianeta con conseguenze ancora inimmaginabili, quella morale se pensiamo che si specula persino sulle mascherine e che la ricerca è in mano alle grandi lobby industriali... per non parlare di quella politica se consideriamo che il mondo è nelle mani di personaggi inquietanti come Trump, Bolsonaro, Putin (l'elenco è desolante e arriva fin dentro l'Europa e i nostri stessi territori).

Un intreccio che ci racconta che tutto non sta andando bene e che dovrebbe indurci ad un cambiamento radicale, tanto sul piano politico come nei nostri stili di vita. Un cambio di paradigma che del libro è il messaggio di fondo.

E' interessante come la presentazione di un libro così ragionevolmente radicale nell'indicare la necessità di un netto cambio di rotta sia promosso da un circolo del Partito Democratico le cui categorie (come quelle di larghissima parte delle attuali rappresentazioni politiche) sono ancorate a vecchi paradigmi novecenteschi che, a guardar bene, sono all'origine della nostra insostenibilità.

Il che ci dice che forse non tutto è perduto, che la risposta all'inadeguatezza della politica possa passare trasversalmente anche dall'interrogarsi senza reticenze della politica stessa. E di come le strade per dare cittadinanza ad un nuovo pensiero possano essere anche le più impervie.

Vedo fra i presenti vecchi compagni venuti per salutarmi prima ancora che per il libro e giovani attivisti incuriositi da un pensiero esigente eppure ragionevole, che non si affida alla demagogia che scarica la responsabilità sempre su qualcun altro ma che cerca dentro le nostre stesse categorie (e nei nostri comportamenti) la cecità che ci ha portati a questa situazione.

Un confronto che prosegue anche a presentazione conclusa, attorno al tavolo di una cena con una quindicina di persone che del circolo sono gli animatori. E mi conforta proprio la curiosità che trovo nelle loro domande, di chi mi (o meglio ci) conosce meno come delle persone con le quali si è costruito nel tempo un rapporto di stima e di affetto (grazie Ilaria).

Perché in fondo questo libro ci parla anche di una comunità di pensiero che, nel “viaggio della solitudine della politica” intrapreso in questi anni, ha trovato le forme per un agire politico diverso da quello più tradizionale dei partiti, trasversale alle appartenenze, allergico alle fedeltà e alle ritualità.

Così in tarda serata parliamo proprio di questa trasversalità come risposta all'inadeguatezza del presente, un dialogo e una ricerca di nuovi approcci come quelle che cercheremo di realizzare sabato prossimo 25 luglio (dalle 10.30 alle 12.30) sulla piattaforma Zoom incontrando chi vorrà dei quasi quattrocento partecipanti al viaggio (e tutti quelli che si vorranno sintonizzare) a partire dallo stimolo di dieci pensieri sul nostro tempo.

E come, in fondo, anche la presentazione di un libro possa aiutare a fare. Penso fra me che Anna (il circolo del PD di Sella Giudicarie è intitolato ad Anna Pironi) ne sarebbe felice.

sabato, 11 luglio 2020Un momento dell'incontro al rifugio Masetto

Nelle valli del Pasubio il tempo è da lupi e sembra ricordare in qualche modo quel pomeriggio del 28 ottobre 2018 quando Vaia passò anche da qui.

Sotto la pioggia intensa, arrivando al rifugio Masetto poco sopra l'abitato di Geroli, immaginavo che la prevista presentazione de “il Monito della ninfea” si sarebbe risolta in una chiacchierata fra pochi intimi. Ovviamente l'incontro non si sarebbe potuto svolgere all'aperto e di conseguenza Anna e Gianni, sapendo il fatto loro, avevano predisposto una bella sala al piano superiore con il necessario distanziamento dei posti a sedere.

Vederli tutti occupati, con qualche persona in piedi, ci dice di quanto quel luogo rappresenti non solo un'idea che sapeva guardare lontano ma anche una pratica importante di rinascita di un territorio così vicino eppure apparentemente lontano.

Sono le parole del suo animatore a raccontarci dell'entusiasmo e della fatica nell'avviare questa esperienza che ha dovuto superare anche lo scetticismo iniziale delle persone del posto e di come invece la qualità della proposta culturale, compresa la cultura del cibo (considerato che il Masetto è nella guida delle osterie d'Italia di Slow Food), li abbia aiutati a diventare un punto di riferimento per tutta la zona.

Malgrado una pandemia che per mesi ha messo e ancora mette in difficoltà proposte di ristorazione collocate in ben più raggiungibili contesti urbani, il Masetto richiama l'attenzione di chi ama la bellezza e il piacere di condividere quel che nutre il nostro pensiero come il nostro palato.

Così, con nemmeno dieci minuti di ritardo sull'orario previsto, iniziamo la presentazione ed immediatamente percepisco come il nostro libro entri perfettamente nello spirito del luogo. Nel saluto di Gianni Mittempergher e nella presentazione di Christian Arnoldi chiamato a moderare l'incontro (il suo libro “Tristi montagne. Guida ai malesseri alpini”, Priuli & Verlucca Editori, lo fa un interlocutore d'eccezione), nel taglio esigente verso cui il moderatore ci porta, nell'attenzione con cui il pubblico segue le nostre parole, nelle considerazioni e nelle domande dei presenti, emerge tutto il profilo di questo nostro lavoro.

Nell'incontro non parliamo di ciò che è accaduto in quei tragici giorni dell'autunno di due anni fa, del resto qui tutti lo sanno, ma del messaggio che Vaia ci ha consegnato e che ancora le nostre comunità fanno fatica a cogliere. Dell'intrecciarsi di avvenimenti solo apparentemente estranei l'uno all'altro, che si parli degli eventi meteorologici estremi, delle pandemie o della nostra ordinaria insostenibilità. Di un progresso che si ha resi ciechi di fronte alla natura.

Così quello che si svolge al Masetto è un incontro che va al cuore dei grandi nodi del nostro tempo e di un'interdipendenza che entra prepotentemente nelle nostre vite. Dell'urgenza di nuove visioni e di nuovi paradigmi. Della politica che non sa dare risposte che non siano quelle emergenziali, ritrovandosi così a rincorrere gli avvenimenti.

In questo modo la presentazione de “Il Monito della ninfea” diventa un'occasione di riflessione collettiva e, del resto, era proprio questo ciò che con Diego Cason ci eravamo preposti quando abbiamo deciso di dare corpo alle immagini e alle considerazioni che la tempesta Vaia ci andava proponendo. Riflettere insieme su quel che accade e come venirne a capo.

Mentre l'incontro si conclude, il sole si riprende la serata come a premiarci rispetto all'improbabile e a mostrarci il meglio del luogo in cui siamo. E l'applauso che segue alle parole ci dice che forse non tutto è perduto.