"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Balcani

L'avversità verso la conoscenza e la cultura della pace
Sarajevo, 6 aprile 2002. A dieci anni dall'inizio della guerra, il concerto dell'Orchestra Haidn e dell'Orchestra Filarmonica di Sarajevo

«Tempi interessanti» (106)

Sono anni ormai che periodicamente viene montata una polemica contro il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e l'Osservatorio Balcani Caucaso – Transeuropa. C'è da chiedersi la ragione di tanta avversità verso istituzioni e organismi riconosciuti internazionalmente per il valore e la serietà del loro operato e che hanno fatto di questo nostra terra un luogo di primo piano nell'impegno per la pace e la mondialità...

... Si tratta di realtà che hanno contribuito all'immagine del Trentino ben oltre i propri confini e di cui la comunità trentina dovrebbe essere fiera. Perché, in un caso come nell'altro, l'azione di questi organismi ha fatto sì che il Trentino fosse connesso con questo nostro tempo glocale, che migliaia di persone si formassero alla mondialità e alla gestione nonviolenta dei conflitti, che una parte dell'Europa potesse trovare qui un punto di riferimento sul piano della costruzioni di relazioni virtuose e della solidarietà...

Maglaj, guerra e pace
La locandina del film

Il documentario “Maglaj – guerra e pace” parla di tre ex soldati di Maglaj – un serbo, un croato e un bosgnacco – che nella guerra del 1992-95 avevano combattuto l’uno contro l’altro, e oggi di nuovo vivono nella stessa città e lavorano insieme per costruire un futuro migliore

di Bozidar Stanisic *

Alla fine di maggio di quest’anno ho ricevuto un invito, a dire il vero inaspettato, dal Centro per la costruzione della pace “Karuna” di Sarajevo per partecipare alla proiezione di un film documentario intitolato “Maglaj – rat i mir” [Maglaj – guerra e pace]. Una proiezione online naturalmente, cioè “a distanza”, a causa del coronavirus. Non sapevo che il film fosse stato realizzato già nel 2018, ma non è mai troppo tardi per le buone notizie. E un’altra buona notizia è che in Bosnia Erzegovina questo documentario già da qualche tempo è qualcosa di più di una semplice testimonianza della guerra combattuta tra il 1992 e il 1995 in un paese che ancora oggi è lontano dal raggiungere una riconciliazione e dall’elaborare un progetto concreto per il futuro.

Tre ex comandanti, un unico messaggio

"Mi chiamo Marko Zeli, sono un ex membro del Consiglio di difesa croato".

"Mi chiamo Rizo Salki, mi chiamano Italiano. Sono un ex membro dell’Armija della Bosnia Erzegovina".

"Mi chiamo Boro Jevti, sono un ex membro dell’Esercito della Republika Srpska".

Prima della guerra Marko, Rizo e Boro erano amici, lavoravano nella stessa fabbrica. Nella nostra guerra fratricida divennero nemici. Poi una volta finita la guerra, tornarono ad essere amici. E con questo documentario, il cui titolo allude al titolo dell’immortale romanzo di Tolstoj, mandano un chiaro messaggio a tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina (compresi quelli della diaspora) che il futuro del loro paese passa attraverso la costruzione della convivenza e della pace. Prima di loro nessun partecipante diretto alle guerre in ex Jugoslavia ha mai compiuto un gesto simile.

Il film “Maglaj – guerra e pace” lancia un messaggio e un monito anche all’intera regione, soprattutto alle giovani generazioni, sull’assurdità dei disastri provocati dalle guerre e distruzioni, ma anche sull’importanza della convivenza e del dialogo.

Srebrenica, venticinque anni
Srebrenica, Memoriale.

Alla commemorazione per i 25 anni dal genocidio di Srebrenica si attendevano centomila persone. Saranno, causa restrizioni Covid-19, molte meno. Le numerose iniziative artistiche e di memoria quest'anno, in assenza di un momento di conforto collettivo, acquisiscono ancora maggiore importanza

di Alfredo Sasso *

I funerali delle vittime identificate negli ultimi dodici mesi – quest'anno in tutto otto - si terranno regolarmente, così come si svolgerà la tradizionale commemorazione dell’11 luglio. Ma il venticinquesimo anniversario del genocidio di Srebrenica si svolgerà in una cornice molto ridimensionata. L'incidenza del Covid, che in Bosnia Erzegovina era stata relativamente contenuta nei mesi primaverili, si è riacutizzata nelle ultime settimane, comportando nuove restrizioni sugli eventi pubblici e sugli arrivi dall'estero.

Prima della pandemia, gli organizzatori prevedevano circa centomila persone e di questi almeno diecimila, provenienti da tutto il mondo, sarebbero stati i partecipanti attesi alla Marcia della Pace. È il cammino di circa cento chilometri che riprende a ritroso quello compiuto da migliaia di bosniaci musulmani nel luglio 1995, che cercarono – solo una piccola parte vi riuscì - di mettersi in salvo dalle milizie serbo-bosniache che avevano appena occupato la cittadina di Srebrenica per poi operare l'eliminazione sistematica di tutti gli uomini adulti catturati, almeno 8.372 secondo l’elenco del Memoriale di Potoari.

L'empatia in Europa
da www.balcanicaucaso.org

 

La crisi europea, che si sta svolgendo al confine tra Grecia e Turchia, vista dagli occhi di chi, in passato, si è trovato ad essere rifugiato. 

di Aleksandar Brezar *

(marzo 2020) Non è facile parlare di un trauma profondo, che cambia la vita. C'è sicuramente bisogno di tempo. Hai bisogno di processarlo, di passare attraverso un apparente ciclo senza fine di impotenza, repressione, dolore, negazione, colpevolezza e di fronteggiarlo se eventualmente torna alla luce.

C'è bisogno di tempo per accettare che non andrà veramente mai via. Diventa semplicemente più facile conviverci. Se sei fortunato. Persino allora, non puoi prepararti per quando deciderà di colpirti in faccia o di pugnalare il tuo cuore, non molto diversamente da un capriccio.

Tito e i suoi compagni
La sopracoperta del libro

Jože Pirjevec

Tito e i suoi compagni

Einaudi, 2015

 

(29 gennaio 2016) E' uno sguardo sul Novecento quello che ci propone Jože Pirjevec in questo minuzioso lavoro di ricerca storica (620 pagine, 1722 note bibliografiche) sulla figura che più di ogni altra ha caratterizzato la vicenda di un paese come la Jugoslavia, sorto e scomparso nel corso del secolo breve.

Non è solo una questione di date. C'è dell'altro, che ben interpreta la lucida follia di questo secolo, le sue “sovrumane promesse” e le grandi tragedie che il Novecento ci ha lasciato in eredità.

Ci si dovrebbe chiedere, semmai, le ragioni che hanno portato un piccolo paese ad essere al centro del mondo. Perché, a pensarci bene, il Novecento nasce e muore a Sarajevo. Perché qui avviene la più forte resistenza popolare al nazifascismo. Perché è la Jugoslavia di Tito a rompere nel 1948 il monolitismo del blocco sovietico. Perché è sempre qui che prende il via l'idea del “non allineamento”, movimento che accompagnerà nel secondo dopoguerra la fine del colonialismo. Perché è ancora qui che negli anni '90, dopo mezzo secolo e nel cuore dell'Europa, riappariranno i campi di concentramento della pulizia etnica. E come anche un piccolo centro possa contenere – lo insegnano gli esoterici – tutto il mondo1.

 

Italia e Bosnia Erzegovina: Balcani ed UE da un secolo all’altro
Foto di Mario Boccia

 

Bonavia, un grande romanzo europeo
La prima di copertina del libro

Dragan Velikic

Bonavia

Keller editore, 2019



«... Si stanno spegnendo gli anni Ottanta. Manca ancora poco perché si crei il ritmo, perché il meccanismo batta il tempo in maniera più veloce e forte, dopodiché tutti loro, poveri e inconsolabili, affonderanno nel tempo eterno della nazione. Si raduneranno sotto le bandiere, lì dove la sconfitta viene cantata come vittoria. Maggiore sarà la sconfitta individuale, maggiore sarà la vittoria per l'intera comunità. La giustizia storica è in arrivo, il tempo della resa dei conti. Una nuova versione della storia. …

L'intelligenza da bar si travasa rapidamente. Gocciola da tutte le parti. La terra si inzupperà di sangue. Finora solo parole vuote che minacciano di soffocare tutto. Siamo solo all'inizio. Incomprensione, confusione, paura. Poi follia. Poco importa se l'origine è nelle soffitte borghesi di Zagabria o nelle pietraie dell'Erzegovina. Quando il primitivismo, il male e la povertà acquistano voce, comincia lo sfacelo. Nulla è più importante. Diventano uguali sia il contadino sia l'inviata in prima linea sul fronte che appare sugli schermi tv con il suo ciuffo viola. E' l'odio che parla. Finalmente anche noi, scarti degli scarti, abbiamo preso la parola. Successivamente prenderemo gli appartamenti e le pensioni da veterani di guerra. Il momento del primo risveglio. Chi lo avverte in anticipo, chi riesce a intuire cosa cantano i cori notturni diventa l'eroe del nostro tempo. Noi, ladri di cadaveri. Insieme ai giornalisti che arrivano da tutto il mondo per una loro porzione di storia, per riempire le taniche di catarsi e consegnarla agli spettatori nei telegiornali di punta. Assoluzione per tutti.

 

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