"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Europa e Mediterraneo

L'homo faber e il delirio fabbricato (5)
Potocari, capannone industriale

Per ricordare l'11 luglio 1995. Ripropongo, per chi non l'avesse letto, un racconto breve dedicato a Srebrenica.

 

di Michele Nardelli

 

«Noi riteniamo …

che tutti gli uomini sono stati creati uguali,

che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili,

che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità...»

dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America

Filadelfia, 4 luglio 1776



Erano fabbriche, il lavoro rendeva liberi.

Si accorsero ben presto che non era così, quand'anche chi riuscì ad uscirne vivo facesse fatica a raccontarne l'orrore. Del resto in pochi avevano voglia di ascoltare. Persino le immagini vennero censurate per non urtare la falsa coscienza. Meno se ne fosse parlato, in fondo, meglio sarebbe stato.

Ma il lavoro non rendeva liberi. Non nei campi della morte dove quella scritta campeggiava come un programma, in tragica sintonia con il fumo delle ciminiere. Non a Jasenovac, il principale campo degli Ustasa croati, crudeli epigoni dei loro amici nazisti e fascisti, dove gli internati che non venivano assassinati al loro arrivo (come i rom) avevano il “privilegio” di venir condotti ai lavori forzati fino allo stremo. Non nei gulag staliniani dove la riabilitazione prevedeva il lavoro nei boschi e nelle segherie (molte delle quali nella regione di Arkangelsk ancor oggi in funzione) nel silenzio e nel gelo siberiani. Non nella Risiera di san Sabba, campo di lavoro e di sterminio nostrano che la falsa coscienza della città di Trieste non ha mai smesso di rimuovere. Non nell'isola calva1, dove chi non veniva piegato dal caldo torrido e dal gelo impietoso del mare dove gli internati erano costretti a spaccare pietre e scavare sabbia, passava sotto le bastonate e l'umiliazione del “kroz stroj” e del “bojkot”2. E nemmeno ad Omarska, qualche decennio più tardi, in quei capannoni per la lavorazione del materiale ferroso che oggi esibisce le insegne dell'Arcelor Mittal, il più grande gruppo mondiale dell'acciaio, dove riapparvero i campi di concentramento in nome della razza e del credo religioso e dove l'attuale proprietà nega la realizzazione anche solo di un piccolo luogo della memoria.

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Della confusione delle piazze. Dell’impossibile da inseguire.*
Da un campo all'altro

L’universo non ha un centro,
ma per abbracciarsi si fa così:
ci si avvicina lentamente
eppure senza motivo apparente,
poi allargando le braccia,
si mostra il disarmo delle ali,
e infine si svanisce,
insieme,
nello spazio di carità
tra te
e l’altro»

Chandra Livia Candiani

da La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore (Einaudi, 2014)

 

di Federico Zappini

Il rumore che sale dalla strada. Le strade e le piazze parlano. Lo hanno sempre fatto. Per non tornare troppo indietro nel tempo ci dicevano qualcosa – di importantissimo – le giornate di Genova dell’estate 2001, le insorgenze rivoluzionarie delle Primavere arabe, gli esperimenti aggregativi di Occupy Wall Street e degli Indignados. Nelle ultime settimane – curiosamente agli sgoccioli del cinquantenario del ’68 – una serie di mobilitazioni hanno preso forma in Europa offrendo qualche dato utile a mappare i processi sociali (e potenzialmente politici) in atto. Processi che appaiono alimentati da un lato dalle pulsioni che attraversano il reale, e che ne mettono in crisi la stabilità, e dall’altra da una difettosa lettura delle caratteristiche fondanti di quello stesso reale che fino a oggi è stato il contesto posto a sfondo delle nostre vite.

Nazra, uno “sguardo” sulla Palestina
Haifa, Palestina

Arriva anche in Trentino il Festival internazionale di cortometraggi palestinesi “NAZRA”. Gli appuntamenti a Trento e Rovereto il 13 e il 14 ottobre.

Il festival itinerante Nazra è nato con la volontà di sostenere registi palestinesi ed internazionali dando spazio ai loro sguardi che raccontano in maniera inedita la condizione attuale della Palestina, le difficoltà della vita in territori occupati militarmente e la volontà di emersione delle donne e dei giovani in situazioni di conflitto e di violazione dei diritti umani.

Nazra in arabo significa ‘sguardo’, e sono molti i punti di vista pronti a incrociarsi durante questo festival, diversi per origine, stile e temi proposti. Lo sguardo non è solo quello degli autori, ma anche quello degli spettatori, spesso raggiunti dalle notizie di cronaca estera sul Medio Oriente senza avere reali possibilità di incontro e conoscenza culturale di questo mondo. Attraverso questa rassegna sarà possibile conoscere meglio la realtà palestinese, sollevare domande, fare breccia nel silenzio o nella disinformazione che gravano sulla condizione attuale di questo popolo e questa terra.

Nelle città di Trento e Rovereto verrà proposta la visione, alla presenza di alcuni registi vincitori, di una selezione delle 18 opere in concorso, la metà delle quali realizzata da registe donne. Sarà un’occasione di riflessione su tematiche come la libertà, la pace e la memoria: la rassegna Nazra si propone infatti di stimolare il dialogo e la conoscenza reciproca tra le due sponde del Mediterraneo.

Microcosmi. Sarajevo centro del mondo (4)
Sarajevo, inverno

Quello che segue è il quarto racconto breve che trae spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”. Esce in contemporanea sul sito di Osservatorio Balcani Caucaso - Transeuropa (www.balcanicaucaso.org)

 

 

di Michele Nardelli



«... Sarajevo è diventata ben presto metafora del mondo.

Il luogo in cui differenti volti del mondo si sono raccolti in un punto

come nel prisma si concentrano i raggi di luce dispersi ...

E' diventata un microcosmo,

centro del mondo che, come ogni centro secondo l'insegnamento degli esoterici,

contiene tutto il mondo»

Dzevad Karahasan



Questo breve racconto non è dedicato ad una persona ma ad una città. Una città che è fatta di tante cose che nel tempo sono diventate genio del luogo: ambiente, storia, cultura, tradizioni, saperi e, ovviamente, persone.

Quelle che ho incontrato e attraverso le quali ho amato e amo una città del tutto speciale che si è presa un posto di rilievo nella storia, in quella più lontana con la S maiuscola, come in quella ancora da elaborare di un infinito presente.

Scrivere di Sarajevo può risultare retorico, perfino banale. Un fiume d'inchiostro è stato versato per descrivere “la polveriera d'Europa” o per altro verso “la culla della cultura europea”, per confermare gli stereotipi o per celebrarne il fascino malgrado ciò che le ha riservato il Novecento. Cosa potrei mai aggiungere di nuovo a quanto già scritto?

Eppure c'è qualcosa che mi spinge a scriverne, perché a ben vedere del suo cuore balcanico (e dunque di sé) questa nostra Europa conosce ben poco. Tanto che ancora oggi, proprio nei giorni del centenario della fine della prima guerra mondiale, sentiamo voci autorevoli affermare stoltamente che l'Europa da settant'anni non avrebbe più conosciuto la tragedia della guerra.

I migranti di Riace e il sindaco che Salvini insulta
Riace nel 2001

E intanto sono due anni che il Comune deve ricevere fondi che gli spettano, rischiando il dissesto secondo quello che sembra un piano preordinato

 

Era il Capodanno del 2001. In uno dei nostri primi viaggi del turismo responsabile andammo con l'amico Tonino Perna a visitare Riace ed in particolare l'esperienza degli amici di Città Futura impegnati nell'accoglienza e nella valorizzazione del territorio. L'idea era davvero interessante: ridare vita ad un borgo abbandonato da una parte significativa dei propri abitanti emigrati al nord o in altri paesi attraverso la concessione delle abitazioni in comodato d'uso a chi voleva mettere nuove radici in quella terra e riattivare antichi mestieri che si andavano perdendo. Noi stessi in quell'occasione venimmo ospitati in una di queste abitazioni altrimenti vuote, concretizzando in questo modo anche una diversa idea di offerta turistica. Ricordo in particolare lo stupore di noi tutti di fronte alla bellezza dei manufatti artigianali che venivano dalla lavorazione della ginestra, una delle tradizioni che Città Futura aveva fatto rivivere. In quella circostanza conoscemmo anche Domenico Lucano che di quell'esperienza era l'animatore. Mimmo non era ancora sindaco, ma ci rimase impresso il suo fervore vulcanico che aveva come caratteristica in primo luogo l'amore verso il territorio. Ora Mimmo, nel frattempo diventato Sindaco di Riace, è stato arrestato per aver perseguito con risultati positivi quell'idea di accoglienza, tanto da divenire un simbolo e un modello anche in altri paesi. Riprendo qui l'articolo pubblicato nel giugno scorso con il quale Tonino Perna faceva trasparire un cattivo presagio che poi si è tristemente avverato. Quando in quegli stessi giorni siamo stati con il “Viaggio nella solitudine della politica” nelle “Terre dell'osso” volevamo andare ad incontrare anche Mimmo nella sua Riace, ma non ce l'abbiamo fatta. Tonino ora mi propone di andare a dicembre in Calabria a presentare “Sicurezza”. Sarà l'occasione per un nuovo itinerario e per riabbracciare con l'amico Tonino anche Mimmo Lucano, al quale in queste ore buie va tutta la mia vicinanza e solidarietà. (m.n.)

 

di Tonino Perna *

In un’intervista del ministro Salvini a Repubblica.tv, diventata virale sui social, il leader della Lega invitato dall’intervistatore a mandare un messaggio al sindaco di Riace “Lucano” ha testualmente risposto: «Al sindaco di Riace non dedico neanche mezzo pensiero. Zero. È lo zero».

Questa risposta si commenta da sé e il ministro dovrà risponderne di fronte ai calabresi, ai meridionali e a tutti le italiane e gli italiani che in questi vent'anni sono venuti a Riace per tirare una boccata di ossigeno, per scoprire come si possa convivere tra tante etnie e culture diverse, per vedere con i propri occhi quello che un grande regista tedesco ha dichiarato di fronte a dieci premi Nobel per la pace: «A Riace, un paesino della Calabria, ho scoperto la vera civiltà e quale potrebbe essere il nostro futuro». È successo nel 2009, nella ricorrenza del ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, quando Wim Wenders, dopo aver girato un docufilm su Badolato e Riace, ha così esordito stupendo la stampa di mezzo mondo.

Nel gorgo della Diamond Route (3)
Agostino Zanotti nel giorno dell'inaugurazione del luogo della memoria sulla Diamond Route

Il terzo racconto breve è ambientato nella Bosnia centrale, nei pressi di Gornji Vakuf, teatro venticinque anni fa di una tragica vicenda dove persero la vita Sergio Lana, Fabio Moreni Guido Puletti, tre volontari italiani che cercavano la pace1

 

di Michele Nardelli

«Nell'epoca della globalizzazione

la guerra non è più monopolio degli stati nazionali

né, come voleva von Clausewitz,

“la continuazione della politica con altri mezzi”.

Al suo posto c'è un altro tipo di violenza organizzata,

in cui confluiscono ragioni militari e criminalità,

economia illegale e violazione dei diritti umani...»

Mary Kaldor

Le nuove guerre

 

Non so quale fosse la ragione per la quale l'UNPROFOR2 avesse chiamato così quella strada sterrata nella Bosnia centrale, forse per via della miniera di Radovan cui si poteva accedere proprio attraverso la rotta che collegava Prozor a Travnik lungo il torrente che scende dalle pendici della Vranica.

Di certo c'era che quella strada avrebbe dovuto essere sotto il controllo delle Nazioni Unite e dunque percorribile per i convogli umanitari. Ma in quegli anni imparammo che il vecchio ordine stava proprio per finire, che nelle nuove guerre non ci sarebbero state nemmeno formalmente delle regole cui attenersi e che il monopolio della violenza non sarebbe più stato riconducibile alle sole istituzioni statuali, figuriamoci in un paese dove le vecchie istituzioni erano svanite come neve al sole.

La leonessa della Lijeva Obala (2)
Jasna

Il secondo dei racconti brevi che prendono spunto dal percorso formativo “Ex Jugoslavia, una guerra postmoderna. Viaggio nel cuore dell'Europa”1

 

di Michele Nardelli

 



«La Commissione di indagine sui crimini di guerra delle Nazioni Unite

presieduta da Tadeusz Mazowiecki, nel suo rapporto del 1994,

ha dichiarato che la distruzione sistematica della comunità bosniaca

nell'area di Prijedor merita il nome di genocidio».

Luca Rastello

La guerra in casa”



In un primo momento non voleva incontrarci. Troppo tempo trascorso nel silenzio, troppe delusioni, fors'anche una sorta di – peraltro reciproco – senso di colpa. Anni nei quali le speranze di una nuova vita dopo la tragedia che aveva segnato quella precedente si sono infrante in una dura quotidianità che non ti riconosce nemmeno il dolore, che di nuovo ti respinge e ti discrimina, che ti fa sentire sola, che ti fa capire quanta ipocrisia e falsa coscienza ti circonda.

Finiti gli anni del fervore, quando nel ritorno e nella ricostruzione ti dicevi “malgrado tutto sono ancora qui” e ti sentivi forte di questo e sapevi guardare negli occhi chi ti aveva cacciata e che ora faceva finta di nulla, non è facile trovarsi a dover fare i conti con una realtà dimezzata, negli affetti più cari che se ne vanno e con gli amori che non riescono più a nascere.

C'è un sole ancora caldo a Rizvanovici, uno dei villaggi sulla riva sinistra del fiume Sana, nel territorio della municipalità di Prijedor. Malgrado l'apparente normalità e i fiori alle finestre, ancora si scorgono qua e là i segni di quei tragici giorni della primavera del 1992 in cui venne raso al suolo senza risparmiare nulla, nemmeno i cimiteri o le strade, l'acquedotto o i pali della luce. Nella “Lijeva Obala” si contarono circa millecinquecento vittime. Jasna scappò attraverso i boschi tenendo per mano i suoi due figli piccoli. Una storia simile a quella di tante altre donne.