"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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venerdì, 28 settembre 2012Albiano

Finisce in tarda serata questa lunga sessione del Consiglio Provinciale. Una giornata piena di tensione perché nella maggioranza che governa la nostra provincia c'è carenza di dialogo ed ogni scelta viene caricata di valore simbolico. Da una parte si forza la mano e si ha poca dimestichezza con l'agire collettivo, dall'altra c'è il sordo rumore dell'avvicinarsi delle elezioni. Sullo sfondo una diversa narrazione del Trentino in questi anni, delle sue luci come delle sue ombre.

La modifica legislativa di cui stiamo discutendo ha a che fare con la sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato il decreto con il quale il Governo ha cercato di aggirare gli effetti del recente referendum sull'acqua e i servizi di rilevanza pubblica. La Provincia autonoma di Trento, a fronte di questo tentativo, aveva giustamente attivato le proprie prerogative
autonomistiche prevedendo la conferma della gestione pubblica dei servizi, legge che ora - cancellata la norma nazionale - diviene pleonastica.

Una cosa ovvia, ma ciò nonostante la Lega attacca il disco rotto della privatizzazione dell'energia riferendosi alla presenza in Dolomiti Energia di una percentuale, peraltro limitata al 30%, di soggetti privati (ISA, A2A, FT energia). Apro qui una piccola parentesi. L'aver riportato il settore energetico in capo alla Provincia è stata un'operazione di grande rilevanza e lo possono dire tutte le regioni italiane che non sono in questa situazione. Si poteva certo fare a meno della presenza privata e penso sia stato un errore non insistere in questa direzione, ma questo sarebbe avvenuto a scapito della finanza locale e molti comuni, sollecitati a farlo, non si fecero avanti. Chiusa parentesi.

In ogni caso, tutto questo non c'entra nulla con il DDL in discussione, che invece riguarda la scelta fatta nei mesi scorsi di correre ai ripari rispetto al tentativo di mettere in discussione la gestione pubblica del servizio idrico e - dopo la sentenza che l'ha fatto saltare - l'adeguamento della normativa provinciale. C'è per la verità un altro oggetto di contesa, ovvero l'emendamento presentato dal Presidente Dellai per rinnovare fino a fine legislatura il contratto con il Direttore Generale della PAT. Non c'è dubbio che il peso del dottor Dalmonego a capo dell'apparato provinciale sia rilevante (fin troppo e questo a prescindere dalla sua indiscussa capacità) e che una buona politica vorrebbe la valorizzazione dell'insieme delle risorse umane
presenti nella Provincia, ma il rapporto fiduciario fra il presidente e il direttore generale è indiscutibile. Credo in ogni caso che la questione collegiale sia effettivamente uno degli elementi di discontinuità che andranno introdotti nella prossima legislatura. Consapevoli che tutto questo non è affatto estraneo all'elezione diretta del presidente che, come è ovvio, ne ha rafforzato
notevolmente il potere. Come a dire, "chi è causa del suo mal...".

Come sempre accade quando le cose sono poste come aut aut, il dibattito che ne esce risulta duro e non aiuta a cambiare, né aiuta la ricerca di consenso nelle file dei gruppi di opposizione. Che peraltro non servono a nulla, perché la maggioranza si ricompone.

E' l'indebolimento dei corpi intermedi, ed in primis del ruolo della politica, la causa di un eccessivo peso dell'apparato e del capo. Ne parliamo la sera ad Albiano dove sono stato invitato come presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani per una conferenza sul valore dell'associazionismo. Nel teatro della Parrocchia, presenti la Sindaca e diversi assessori comunali,
svolgo una riflessione sul ruolo decisivo per la democrazia dei corpi intermedi, ovvero di tutti quei soggetti collettivi che fanno da ponte fra cittadino e potere pubblico. Di come questo rappresenti uno dei tratti di diversità della nostra terra (al Albiano ci sono ben 29 associazioni di volontariato), di come questo abbia attenuato i processi di spaesamento altrove devastanti e favorito una maggior coesione sociale. Del loro ruolo nei processi di apprendimento permanente e di cittadinanza responsabile.

Le persone presenti in sala sono numerose ed attente, nonostante il tema non sia affatto leggero. Come non banali sono le riflessioni che propongo sulla pace, di cui ci si occupa solo quando è la guerra ad imporsi. Spiego a queste persone che in un mondo sempre più interdipendente le guerre ci entrano in casa, così come gli effetti devastanti della finanza internazionale. Cerco di usare un linguaggio comprensibile e di portare esempi concreti che vengono dalla mia storia personale e l'applauso a conclusione del mio intervento non è affatto di circostanza.

Penso fra me che la distanza fra i cittadini e la politica sia in primo luogo dovuta al fatto che quest'ultima ha poco da dire. Parlare alla gente comune di Albiano di elaborazione dei conflitti, nella cui assenza le guerre non finiscono mai, del perché sia necessario investire in conoscenza e nella cultura della pace, potrebbe sembrare fuori dal mondo ma vi posso assicurare che così non è stato. In molti mi vengono a ringraziare o a chiedermi delle cose che per timidezza non hanno avuto il coraggio di pormi in pubblico. Ecco, la politica deve ritrovare la capacità di parlare al cuore e all'intelligenza delle persone.

"Complimenti" mi aveva detto nel pomeriggio un anziano signore, non so se di Verla di Giovo o di Borgo Valsugana, venuto in visita guidata al Consiglio Provinciale dopo il mio saluto nel quale raccontavo delle leggi che sono riuscito a portare a casa in questa legislatura. E poi aveva proseguito dicendomi: "Ma elo el g'à poc' del politico". E nelle sue intenzioni era effettivamente un complimento.

giovedì, 27 settembre 2012Anni \'70

Proseguono i lavori del Consiglio provinciale. Stiamo trattando il testo di legge unificato che modifica la normativa provinciale
sull'energia, un tema importante, per certi versi decisivo, in un territorio come il nostro dove l'acqua rappresenta una straordinaria risorsa non solo per l'uso (a volte irresponsabile) che ne facciamo nella nostra vita domestica ma anche per la produzione di energia, per l'agricoltura, per l'equilibrio ambientale. L'aver a disposizione una così ingente risorsa naturale, non ci ha messi comunque nelle condizioni di autosufficienza energetica. Il Trentino esporta energia, ma questo è purtroppo compensato (e superato) dall'uso che facciamo dei combustibili fossili.

Affrontare dunque il tema del bilancio energetico è, qui come altrove, decisivo. E però non sembrerebbe affatto così, almeno a guardare l'interesse (o, meglio, il disinteresse) con cui viene trattato questo argomento: un'aula semivuota, molti gli interventi di circostanza, qualche disco rotto che ci spiega come nel passaggio da Enel a Dolomiti Energia il Trentino avrebbe regalato ai privati una fetta del business (quando si guarda il dito e non la luna). Rari i consiglieri che ascoltano gli interventi degli altri. E'
paradossale che l'aula si animi solo per alcuni emendamenti francamente insignificanti.

La nuova normativa che in serata votiamo a maggioranza rappresenta un importante passaggio nella direzione della valorizzazione delle fonti rinnovabili e nelle politiche di sobrietà. E di questo vanno ringraziati i gruppi consiliari che hanno presentato i testi originari e, fra questi, in particolare il consigliere Anderle attorno alla cui proposta si è incardinata la nuova legge.

Nel Consiglio l'attenzione è piuttosto riservata alla valanga di inchieste che si stanno espandendo a macchia d'olio nelle Regioni
italiane. Una giornalista mi chiede che cosa ne penso dell'iniziativa intrapresa dalla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province Autonome per il taglio del numero dei Consiglieri Regionali (vedi il documento nella home page). Rispondo che una cosa è la messa in discussione dei privilegi (a cominciare dai vitalizi che ancora permangono in quasi tutte le Regioni
italiane, oltre che al Parlamento), altra cosa è il taglio delle istituzioni e della politica. Muoversi in maniera scomposta di fronte all'emergenza e al polverone mediatico altro non comporta che l'accodarsi al clima del momento  e minare il sistema delle autonomie locali. Lo stesso dicasi per quanto riguarda il metodo, ovvero la richiesta al governo di modificare per decreto la composizione delle assemblee regionali. Una vera e propria offesa al principio di autogoverno.

Il problema è che forse mai come in questo contesto l'autonomia sembra essere lontana dal sentire della politica. La posizione assunta da Renzi contro le regioni a statuto speciale rappresenta infatti solo l'iceberg di una cultura politica diffusa e trasversale di natura centralista e che l'attuale governo tecnico interpreta mettendo in discussione anni di battaglie. Tutto questo non è affatto estraneo alla discussione nel centrosinistra e nello stesso PD, convinto come sono che oggi la crisi della politica (e delle sue forme) richieda un cambio di paradigma imperniato proprio sul territorialismo. Approccio che non trova nelle primarie del centrosinistra una sua espressione politica, che peraltro fatico a trovare anche nel PD tanto che se avessimo a che fare con un congresso vero varrebbe la pena di darle rappresentazione.

Così ammetto di sentirmi piuttosto sollevato nell'avere, in concomitanza con l'assemblea del PD del Trentino, un incontro pubblico a Volano sul tema dell'amianto. Una sala gremita di partecipanti a parlare di un problema di grande rilevanza ambientale e sociale, può aiutare a riconciliare cittadini e politica. E così avviene, nel fitto confronto che segue la mia ampia esposizione. Una discussione tutt'altro che banale, nella quale la questione amianto diventa l'occasione per riflettere su uno sviluppo senza limiti, sul principio prudenza che dovrebbe presiedere le nostre scelte, sulla responsabilità di chi sapeva delle patologie correlate all'amianto ed è stato zitto in nome del proprio profitto.

Per la verità, qualcuno dei presenti in sala mi chiede di ritornare a Volano per parlare anche delle questioni che occupano le cronache giornalistiche, quasi infastidisse ammettere che la politica possa dare buona prova di sé. E, ovviamente, non mi sottraggo all'invito.

A fine incontro vado a prendere un bicchiere di vino con Claudio Simoncelli. E' molto tempo che non ci vediamo e quindi è l'occasione per scambiarci un po' di idee sul presente. Come a toccare corde comuni, ci si intende al volo, a testimonianza di una storia di cui siamo orgogliosi ma della quale c'è scarsa memoria.

Quando torno verso casa è ormai passata la mezzanotte.

martedì, 25 settembre 2012Nambrone

Ha preso il via martedì una lunga tornata consiliare che ci impegnerà in aula fino a venerdì prossimo. La prima giornata se ne va fra interrogazioni a risposta immediata, la mozione sulla macroregione delle Alpi presentata dalla Commissione Europa ed infine l'avvio del Disegno di legge unificato sul turismo minore.

Fra le interrogazioni c'è anche quella che ho presentato sul destino dell'edificio di Piazza della Mostra che un tempo ospitava la questura di Trento (il cui testo potete trovare nella home page). Nell'illustrarla ricordo che l'area in questione è una delle più dense del capoluogo, dense di storia e di cultura, ma anche purtroppo di degrado, traffico e auto, visto che ora è ridotta a parcheggio. Fra i motivi di degrado della piazza c'è l'edificio dell'ex questura, abbandonato ormai da quasi sei anni e diventato rifugio di emarginati. Chiedo quindi ragione del fatto che l'impegno assunto da tempo, e confermato anche all'inizio dell'attuale legislatura, di destinare l'edificio (che storicamente occupava le scuderie del Castello del Buonconsiglio) a sede del Museo archeologico, non abbia ancora trovato riscontro.

Più in generale, è la configurazione di questo angolo di particolare fascino della città di Trento cui occorre mettere mano. Dall'idea più radicale di interrare via dei Ventuno, che si trascina da oltre un quarto di secolo scontrandosi con gli alti costi dell'opera  e con lavori che intaserebbero la città per non meno di quattro anni, alla ristrutturazione dell'ex questura; dalla realizzazione (discutibile) di un parcheggio interrato alle piccole ma importanti scelte che possono essere realizzate come il liberare la piazza dalle auto, un diverso arredo e la sua animazione. Un contributo importante all'animazione del luogo verrà poi dalla realizzazione del Cafè de la Paix, nell'adiacente Passaggio Teatro Osele.

L'assessore Panizza, nella sua risposta, ha affermato di condividere in toto le sollecitazioni dell'interrogante e che l'impegno dell'amministrazione è di reperire nel bilancio le risorse per dare il via ai lavori di ristrutturazione, posto che il progetto è già stato approntato. Nella mia replica affermo che forse non tutte le opere previste richiedono di essere realizzate, specie per quanto riguarda il parcheggio laddove il pieno utilizzo del parcheggio di via Petrarca, oggi largamente sottoutilizzato, potrebbe soddisfare le esigenze degli abitanti e degli esercenti della zona, con il quale prevedere una convenzione specifica.

Fra le altre interrogazioni, tre sono dedicate all'appalto per la centrale idroelettrica di Val Nambrone. Qui l'operazione fatta dal Comune di Pinzolo puzza di bruciato e il fatto, come risponde l'assessore Pacher, che le procedure siano state rispettate nulla toglie al fatto che il Comune abbia lasciato il campo ad una società privata di cui nemmeno si conosce l'insieme della compagine societaria, di fatto buttando al vento un'entrata valutabile intorno ai seicento mila euro annuali. Oltretutto (e forse non a caso) senza il coinvolgimento del Consiglio Comunale, determinando la protesta dei consiglieri di minoranza. La cosa andrà approfondita.

Inizia poi il confronto sulla mozione relativa alla creazione di una Macroregione delle Alpi. Il tema è di grande rilievo e quindi decido di intervenire. Solo per ribadire che quello delle "macroregioni" rappresenta un passaggio ulteriore verso quell'Europa dei territori capace di disegnare aree di scambio e di relazione oltre gli attuali confini.

Uso gli spazi di minor interesse e la pausa pranzo per una serie di incontri. Il loro oggetto spazia fra varie questioni: con il ricercatore Luca Paolazzi sul tema dell'animazione territoriale, con l'attore Andrea Brunello e gli amici registi afghani Razi e Sohelia per parlare di "Afghanistan 2014" per la realizzazione di una performance teatrale sul paese degli albicocchi, con Sara Guelmi per il coinvolgimento del servizio civile provinciale sempre per il cantiere "Afghanistan 2014", con Micaela Bertoldi per l'attività di insegnamento della lingua italiana rivolta agli immigrati da parte del "Gioco degli Specchi", con Francesca Bottari per l'attività di "Millevoci" relativa alla formazione nelle scuole nel progetto "Incontro con l'altro" e per l'incontro previsto l'8 ottobre prossimo "Storie sino-trentine", con Alberto Conci per programmare l'incontro con Riccardo Petrella che avremo ospite a Trento, nel quadro del programma "Nel limite. La misura del futuro", a fine ottobre.

Altre rotte del mondo, che pulsano con il nostro tempo. Lo dico perché nel partecipare lunedì scorso alla cerimonia inaugurale della manifestazione promossa dalla Provincia Autonoma di Trento con i missionari in Europa ho invece la percezione che la rotta (politica) non sia affatto chiara. La voce dei missionari cattolici, che pure rappresentano un patrimonio della nostra comunità, non può rappresentare la vision della PAT.

Da anni vado parlando della necessità di mettere in discussione l'approccio caritatevole nella solidarietà internazionale, la logica degli aiuti e dell'emergenza che non può rappresentare il  tratto distintivo della politica di prossimità e di reciprocità verso un mondo sempre più interdipendente. Un approccio - quello degli aiuti - che si attarda a dividere il mondo in sviluppo e sottosviluppo, senza comprendere che - al di là delle situazioni di emergenza - il tema della cooperazione internazionale richiede un cambio profondo di paradigma, fondato sulla relazione e sull'autogoverno locale. Su questo piano, il Trentino è stato all'avanguardia nella sperimentazione della cooperazione di comunità, le sue esperienze sul campo hanno fatto scuola, qui come in Africa o nei Balcani.

Altro aspetto importante di questo diverso approccio riguarda la necessità di evitare che siano le affinità religiose a muovere la solidarietà, in particolare laddove la religione è diventata motivo di divisione e di conflitto. Tema che investe la questione più ampia dell'elaborazione del conflitto, laddove la "terzietà" è questione decisiva per contribuire a costruire percorsi di riconciliazione. E, devo dirlo senza reticenze, quanto accaduto nel cuore dell'Europa negli anni '90 ha visto un ampio utilizzo del tutto strumentale dei simboli etnico/religiosi come cortina fumogena per nascondere interessi criminali. Operazione peraltro riuscita tanto nell'uso dei simboli religiosi come altrettante clave contro l'altra parte, come nelle interviste televisive messe in onda qualche giorno fa in occasione dell'evento della Comunità di Sant'Egidio a Sarajevo, quando si sono intervistate persone appartenenti alla comunità cristiana (cattolica e ortodossa) di quella città come fossero vittime di discriminazione religiosa. Ma su questi temi, ci ritornerò.

sabato, 22 settembre 2012Città del Messico, Unam

Parlare di immigrazione può essere scontato, quasi banale. Farlo senza cadere nella logica dell'aiuto e di un buonismo spesso umiliante lo è ancora meno. Non voglio dire che l'accoglienza non sia importante. Ma l'accoglienza è buona se si ha la consapevolezza di aver a che fare con persone che sono una risorsa, non un problema. Perché l'immigrato è anche l'intelligenza che esprime, il sapere e la cultura che porta con sé, il suo sguardo diverso dal nostro, la sua sensibilità. Andandosene dal suo luogo d'origine è stato il suo paese ad impoverirsi. Quando ne parliamo, gli occhi di Sohelia si rempiono di lacrime.

Come non capire che le terre d'asilo si sono arricchite di questi sguardi diversi? Penso al Messico, la prima rivoluzione del Novecento, che ha ospitato nella sua principale Università (la Unam, la più grande del mondo) intellettuali esuli dalle dittature di ogni parte del mondo. O alla Svezia, terra di fertile pensiero fin quando si è nutrita degli scambi culturali che venivano dagli asilanti. O di come lo sono state storicamente le città con le loro agorà, nel fare del cosmopolitismo una straordinaria opportunità di crescita.

Nell'incontro che si svolge a Palazzo Trentini nel pomeriggio di venerdì proviamo a ragionare di noi, della nostra autonomia nel rapporto con l'altro che ci interroga, che ci chiede non la carità ma la dignità, che non è solo il lavoro (di cui peraltro abbiamo bisogno) ma anche l'attenzione, il rispetto, la relazione. Nella consapevolezza che stiamo parlando, come ci ricorda Piergiorgio Cattani, della nostra identità del futuro. E che nel rapporto con l'immigrato (o il richiedente asilo) - come afferma Stefano Fait - "ci stiamo occupando di noi".

Non parliamo solo della nostra autonomia, ma delle autonomie come altra idea di ri-pensare all'Europa o comunque ad una dimensione sovranazionale. Il territorio, paradigma del glocale. Purtroppo il concetto di autonomia (come quello di federalismo) ancora rappresenta un'idea di frontiera, un crinale tagliente perché  spesso inteso come chiusura. Nelle istanze indipendentiste è così. 

Abitare questo crinale tagliente, questa è la sfida. Per questo riprendo l'articolo di Steven Forti che ci ha raccontato dell'11 settembre di Barcellona, quel milione e mezzo di persone che hanno partecipato alla festa della Catalogna rivendicando l'indipendenza dalla Spagna. Barcellona è città tradizionalmente democratica, il 20% della popolazione catalana in piazza non può essere bollata semplicemente come un'istanza egoista. Come non comprendere, infatti, che il paradigma dello stato-nazione rappresenta un ferro vecchio? Che i nostri paesi sono già plurinazionali e che le identità sono sempre in divenire? Che la cifra dei problemi è sempre più sovranazionale e territoriale? Che la dimensione statale è sempre più inservibile e fuori scala, troppo grande per le istanze territoriali, troppo piccola per le dinamiche globali?

Domande queste che sembrano non scalfire le visioni ideologiche. Attardandosi sull'accoglienza, evidenziando il conservatorismo di cui sono portatrici. Non nego che anche sull'accoglienza ci sia ancora molto da fare. Ma sarebbe sbagliato non darci un nuovo orizzonte. Lo hanno compreso gli amici tibetani, che guardano al Trentino come sperimentazione avanzata di autogoverno. Gli immigrati marocchini in questa terra che dopo essere rientrati nel loro paese d'origine ci chiedono di raccontare l'autonomia che hanno conosciuto ed apprezzato alla loro gente. Gli intellettuali afghani preoccupati di quello che potrebbe accadere nel 2014 al loro paese, quando le forze di occupazione se ne andranno lasciando dietro di sé macerie (e divisioni) di ogni tipo.

Nessun modello da esportare, sia chiaro. Ma un racconto da proporre, come parte di una relazione dove gli attori si mettono in gioco, come occasione per riflettere sulla nostra stessa esperienza, guardandoci con lo strabismo necessario per dare profondità all'osservazione. Questo è il significato di quell'"identità del futuro" di cui parla Cattani, questo è il significato di quel "nel" che abbiamo messo prima della parola "limite", proprio per descrivere la necessità di abitare la contraddizione, evitando di dividere il mondo in buoni o cattivi. Consapevoli cioè di esserne parte.

Devo riconoscere che c'è una fortissima assonanza fra le mie parole nell'incontro "Le autonomie europee alla sfida dell'emigrazione. Quali diritti e doveri per i nuovi cittadini glocali?" e l'introduzione di Lorenzo Dellai nel convegno di sabato mattina promosso dall'Unione per il Trentino al Centro Marnighe di Cognola (Trento) dal titolo "Crisi economica, neoconservatorismo e ruolo dei territori". La sperimentazione politica di vent'anni qualcosa ha pur sedimentato...

All'incontro delle Marnighe c'è anche Aldo Bonomi, vecchio amico con il quale abbiamo attraversato gli anni dello spaesamento cercando nuove categorie per descrivere la postmodernità. Localismo? Mi viene da sorridere. Penso a quando, nel 2000, presentai il suo "Manifesto per lo sviluppo locale" a Città del Messico, la più grande megalopoli del mondo, riscontrando uno straordinario interesse.

Il fatto è che il paradigma territoriale è ancora eresia. Nella politica (ma anche nella società civile) che non sa nemmeno immaginarsi oltre la dimensione nazionale ma nemmeno come soggettività territoriale, capace cioè di autopensiero. Un profilo che c'era nella carta etica del PD. Ma Francesco Prezzi  mi ricorda, giustamente, che molti di quelli che quella "carta" l'avevano scritta nel PD non ci sono più. Hanno gettato la spugna di fronte al riemergere delle vecchie appartenenze.

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mercoledì, 19 settembre 2012Ulivo secolare

Stefano mi chiede: quanti nella sfera della politica si stanno rendendo conto di quel che accade? La sua spiccata sensibilità
corrisponde al bisogno che avverte di non essere solo nell'interrogarsi sulle cose del mondo. Gli rispondo che potremmo rivolgere la stessa domanda alla cosiddetta società civile, all'informazione o ai cittadini e probabilmente la risposta sarebbe sostanzialmente la stessa. Perché nonostante le nubi si stiano addensando, la superficialità dello sguardo sul presente appare davvero disarmante.

Come non comprendere, ad esempio, che il voto del 6 novembre 2012 negli Stati Uniti d'America sarà cruciale non solo per il futuro di quel paese ma anche per scongiurare scenari inquietanti e nuove guerre regionali? Uno dei passaggi più importanti della presidenza di Barack Obama è stato il suo discorso all'Università del Cairo il 4 giugno 2009, quando di fronte a migliaia di studenti propose un nuovo inizio nelle relazioni fra Stati Uniti d'America e mondo islamico. Ed ecco che, in piena campagna elettorale per le presidenziali americane, scatta un'odiosa provocazione come il film su Maometto che infiamma il mondo arabo e non solo. Da dove nasce questa operazione? Come non vedere la comunanza di obiettivi fra la destra americana, il governo israeliano e al-Qaeda? Così al TG2 della sera ricompare Fiamma Nirenstein, deputata PDL  e vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera, che si scaglia contro l'attuale presidenza USA e la primavera araba. Parole, le sue, davvero inquietanti.

A quarant'anni dall'uscita del Rapporto del Club di Roma sui Limiti dello sviluppo (nella versione inglese, The Limits to Growth, la parola usata era "crescita"), di fronte ad una crisi globale diventata condizione normale, siamo in preda all'ossessione... della crescita. La dittatura del PIL e la finanziarizzazione dell'economia piegano le democrazie, ma tutto questo sembra rientrare nell'ordine naturale delle cose. Nemmeno i cambiamenti climatici di cui ci accorgiamo a vista d'occhio con la scomparsa delle specie, il progressivo scioglimento dei poli e dei ghiacciai, la tropicalizzazione del clima nelle regioni temperate, turbano i nostri stili di vita.

In questo quadro la politica è preda dei suoi rituali, vecchi e nuovi che siano. Ne parlo in una conversazione telefonica con una giornalista di un quotidiano locale che vuol sapere come mi colloco nel dibattito sulle primarie. Le parlo della necessità di rinnovare il pensiero, dell'inadeguatezza dei nostri strumenti interpretativi, della necessità che la politica assuma il paradigma territoriale come leva per abitare un presente globale, non esce una parola. Da che parte stai? Tu devi entrare nel suo schema, punto e basta. E se dico che il dibattito sulla rottamazione mi sembra odioso, perché semmai la questione è come la mia generazione riuscirà ad elaborare il proprio tempo e a scoprire la bellezza del passare la mano, ecco che la notizia diventa questa: Nardelli medita di lasciare.

Che nei miei pensieri vi sia un forte desiderio di tornare a fare quel che facevo prima di questa esperienza istituzionale, magari con un po' di più leggerezza e di tempo da dedicare alla scrittura (ho nei miei appunti tre libri da scrivere), è senz'altro vero. Ma non c'è ancora da parte mia una scelta. E le telefonate degli amici che mi esortano a continuare o a lasciar perdere, mi sono di conforto ma non di aiuto. Credo sia giusto interrogarsi, lo richiede un po' di onestà intellettuale se non altro di fronte alla diffusa ed esasperata volontà di essere rieletti. E mi aiuta la consapevolezza che il fascino del potere è una droga, più potente ancora dei privilegi che ne vengono.

Ai quali in questi giorni abbiamo dato peraltro un altro piccolo ma importante taglio con il voto a larga maggioranza del Consiglio Regionale. Come per miracolo, in poche ore si vota la legge di riforma del trattamento economico dei consiglieri. Ne parlo diffusamente altrove e mi fermo qui. Dico solo che se oggi la politica è ridotta com'è, lo si deve anche ad una progressiva degenerazione dovuta allo status che ne viene e allo smarrirsi della coscienza civile che porta alla elezione di personaggi squalificanti, il che accade - ve lo posso assicurare - non solo nella Regione Lazio. La logica del voto di scambio non è poi molto diversa da quella della rappresentanza di valle o di corporazione.

Spero che in questi quattro anni di impegno consiliare il mio sguardo non si sia appannato. Anche in queste ore (ma questo diario giunto alla ottocentotrentatresima puntata lo testimonia) gli incontri, i dibattiti, le iniziative istituzionali e quelle del Forum o quant'altro, indicano un profilo di lavoro che non ha mai smesso di incrociare lo sguardo lungo con le cose più vicine alla vita quotidiana. Anche l'incontro con l'assessore Olivi affinché nella prossima finanziaria il tema dell'animazione territoriale possa trovare uno spazio adeguato, quello con i giovani di Punto Europa per la programmazione della formazione sull'Europa di mezzo, l'incontro delle commissioni regionali che si riuniscono per fare il punto su PensPlan (anche grazie alla mozione approvata in Consiglio Regionale della quale ero primo firmatario) anche come occasione per parlare delle dinamiche della finanza globale, il sopraluogo con il Sindaco di Trento Alessandro Andeatta e l'assessore Italo Gilmozzi sul futuro di piazza della Mostra a Trento, la cui rinascita potrebbe iniziare proprio dalla nostra iniziativa del Cafè de la Paix... e molte altre cose ancora credo possano riuscire ad esprimere questo profilo.

venerdì, 14 settembre 2012un albero di cemento

Ritorna in Terza Commissione Legislativa la questione della navigazione a motore del tratto trentino del Lago di Garda. Giovedì pomeriggio ci sono infatti le prime audizioni sui Disegni di Legge che propongono di rivedere la normativa provinciale che vieta ogni forma di navigazione a motore che non sia il servizio pubblico. Tanto il Consorzio dei Comuni, come i Comuni interessati, esprimono perplessità o comunque un assenso ai motori elettrici molto condizionato che non può essere di certo interpretato come un sostegno ai Disegni di Legge.

Un no forte e chiaro viene invece dalle associazioni velistiche della zona. In questo caso non è affatto un "non nel mio giardino", bensì la proposta di una visione dell'economia del Garda e del fatto che la chiusura alla navigazione a motore ha rappresentato dagli anni '90 in poi uno dei biglietti da visita più prestigiosi per la proposta turistica e sportiva dell'Alto Garda.

I numeri che vengono snocciolati sono impressionanti: 140.000 presenze all'anno dovute alla vela; una stagionalità diffusa con 150 giorni di regate, prerogativa che nessun'altro luogo al mondo può vantare; la presenza ogni anno di nazionali velistiche che vengono qui ad allenarsi da ogni parte del mondo; milleduecento soci velisti e fra questi parecchie medaglie olimpioniche; scuole di vela per ragazzi che sono sempre accompagnati dalle loro famiglie; un impatto sul turismo trentino che si può paragonare sul piano dei numeri a quello congressuale.

E poi una considerazione che ritengo decisiva: non è una questione di inquinamento (sotto questo profilo il battello della Navigarda è ben più impattante) ma una questione di identità. Perché si viene nell'Alto Garda trentino perché il divieto di navigazione è un potentissimo messaggio per la promozione del territorio.

Vogliamo compromettere tutto questo? E per che cosa poi? Per qualche ricco turista che vuol venire a cena a Riva del Garda? I proponenti assicurano che le cose non sono in alternativa, ma chi conosce il settore afferma in maniera netta che la vela non è conciliabile con la navigazione a motore. Altre audizioni verranno effettuate e mi auguro che prima di mettere in discussione questi risultati ci si pensi con attenzione.

Mi spiace che una di queste proposte, forse quella più impattante, venga da una forza politica della maggioranza. Ma l'opinione di gran parte dei consiglieri è di forte perplessità, quando non di netta contrarietà.

Il mattino di venerdì ho una fitta agenda di appuntamenti per il programma del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani "Nel limite. La misura del futuro", che nei prossimi mesi entra nella sua fase più intensa. Devo però dire che la cosa che più mi sconcerta viene dalla lettura dei giornali. Dopo essermi ritrovato fra le fila dei sostenitori di Pierluigi Bersani senza averlo mai deciso (L'Adige di mercoledì scorso), dopo la notizia - anch'essa senza fondamento - del vicepresidente Ale Pacher con Matteo Renzi (sparato in prima pagina del Trentino di qualche giorno fa), leggo oggi con un certo stupore il titolo dell'editoriale de L'Adige a firma del sindaco di Trento Alessandro Andreatta, "Io sto con Renzi". Scorro l'articolo e di questa scelta non c'è proprio traccia in tutto lo scritto. Una cosa è infatti affermare che la candidatura del sindaco di Firenze alle primarie del centrosinistra può essere uno stimolo positivo al dibattito e al rinnovamento della politica (indicando peraltro tutti i distinguo sul concetto di rottamazione), altra cosa è lo schierarsi a suo fianco. Non sono di certo l'interprete del pensiero di Alessandro
Andreatta, ma se le parole hanno ancora un senso (e mi ostino a pensare che sia così) queste andrebbero rispettate per quello che si dice o si scrive.

Ci incontriamo con Paolo Ghezzi, giornalista ed editore delle edizioni "Il Margine" per parlare della conversazione in programma con Goffredo Fofi in ricordo di Andrea Zanzotto il 18 ottobre, nel primo anniversario della sua scomparsa. Proprio nelle edizioni dell'Asino (la piccola casa editrice diretta da Fofi) nel 2009 era uscito "Il Veneto che amiamo", un'intervista a Luigi Meneghello, Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern e Fernando Bandini, scrittori e poeti che hanno indagato la loro terra e lo spaesamento che l'attraversava. Bisognerebbe riflettere sul fatto che proprio questa terra dove la perdita d'identità sociale ha prodotto i maggiori guasti, abbia espresso in questi anni le cose migliori sul piano della poesia, della letteratura, del teatro popolare. Come se il meglio della parola nascesse nelle condizioni estreme.

Potrebbe essere una metafora per la politica (e forse è solo un caso che in queste ore sia emersa la candidatura alle primarie di Laura Puppato che del profondo disagio della marca trevigiana è espressione). Al contrario vedo solo un crescere di violenza verbale (e di furbizia) attorno alla politica, un dibattito che nel vuoto delle idee assume le caratteristiche di scontro generazionale. Sarebbe devastante e per la verità già un po' lo è. Chissà che in questo tempo gridato non ci possa venire in aiuto proprio la poesia...

mercoledì, 12 settembre 2012La vela sul Garda

Riprende l'attività del Consiglio Provinciale. In Terza Commissione Legislativa provinciale si aprono due Disegni di Legge sulla navigazione a motore nella parte trentina del Lago di Garda, da anni vietata diversamente da quel che avviene nella parte lombarda e veneta. Le Proposte di Legge, rispettivamente dei consiglieri Giovanazzi e Ottobre, prevedono l'uso di motori elettrici o ibridi, potenze limitate o fasce orarie. Ciò nonostante rappresentano a mio modo di vedere una faglia pericolosa nell'attuale legislazione.

La scelta lungimirante assunta in passato di vietare la navigazione a motore (tranne ovviamente per i mezzi pubblici) ha fatto sì che il ramo trentino del Garda divenisse in pochi anni il paradiso della vela, grazie anche alle particolari condizioni eoliche. Una scelta di cui ha beneficiato l'economia locale, pure in un contesto particolarmente brillante e di omologazione dell'offerta turistica.

Quale sarebbe dunque il beneficio di una riapertura, seppur parziale e a (presunto) basso impatto ambientale, della navigazione sul Garda? Portare qualche riccastro da Malcesine o Peschiera a Riva del Garda la sera a cena? Fanno gola i rotoli di quattrini della mafia russa che soggiorna sulle altre sponde dove regna la libertà di navigazione? Come non capire che il genius della vela rischia di venirne compromesso? Spero che le amministrazioni locali non condividano queste proposte, ma sappiamo quanto le lobby contino. Ne parlo il giorno stesso con Paolo Malvinni e Nino Mazzocchi che incontro a Trento nella pausa dei lavori del Consiglio Provinciale. Condividono le mie perplessità su questa insana idea. Ritornerà con le prime audizioni in Commissione già oggi giovedì 13 settembre, ma non avrà vita facile.

L'ordine del giorno di questa sessione del Consiglio Provinciale non lo farà di certo rimanere nella storia. Un Disegno di legge delle minoranze già bocciato in Commissione e poi una raffica di mozioni. Fra queste, quella che vede la mia come prima firma e che ha come titolo "Sulla fame non si specula". Viene approvata con tre astensioni, i soliti che pensano che i titoli derivati sul prezzo del grano o del riso siano cose normali. Del resto, se questo è il mondo... (il testo della mozione approvata nella home page).

Ho un incontro nel primo mattino di mercoledì con il Sindaco di Trento Alessandro Andreatta. L'oggetto della conversazione è il futuro di piazza della Mostra e gli spazi connessi, a cominciare dal Passaggio Teatro Osele dove dovrebbe sorgere il Café e la Paix. Dal momento dell'accordo con la l'Itea per l'utilizzo di quello spazio sono passati tre anni e ancora siamo alle prese con la burocrazia... incredibile. Ora, finalmente, i lavori sono ultimati e se l'iter non subirà nuovi ritardi a fine ottobre il locale dovrebbe partire. L'animazione di uno spazio abbandonato da anni al degrado in pieno centro storico potrebbe avere un effetto positivo per l'intera piazza e così con il sindaco Andreatta cerchiamo di condividere delle piccole iniziative che si possono fare senza grandi investimenti, sperando altresì che la PAT trovi le risorse per mettere mano all'edificio dell'ex Questura che richiede un serio lavoro di ristrutturazione per portarlo ad un uso pubblico consono alla vocazione culturale e museale del luogo (siamo davanti al Castello del Buonconsiglio). Prima o poi bisognerà mettere mano a via dei Ventuno, se non per interrarla (se ne parla da quasi trent'anni) almeno per ridurne il traffico, considerato che siamo in una delle zone più belle e prestigiose della città.

Ci troviamo d'accordo. Così come nel veloce scambio di considerazioni su quel che butta la politica nazionale e locale, ripromettendoci di rivederci con calma. Politica che sul piano culturale esprime davvero ben poco, presa com'è e tanto appare diffuso l'assillo di collocarsi negli schieramenti del dibattito interno al PD (locale e nazionale). Nel quale, lo dico senza infingimenti, fatico a ritrovarmi. Nonostante quel che scrive il quotidiano "L'Adige" di oggi, che mi colloca fra le file dei bersaniani senza nemmeno avermi chiesto nulla. Miserie...

Intanto i lavori del Consiglio proseguono senza particolari scossoni. Solo sulla mozione del consigliere Borga che intende sfiduciare l'assessore Lia Giovanazzi Beltrami per l'accoglienza relativa ai profughi dell'Emergenza Libia e i problemi che ci sono stati nella gestione dell'ordine pubblico, ci sarebbe invero molte cose da dire. Ne abbiamo parlato significativamente anche in questa sede. Per l'assenza del Presidente (e quella dell'assessore Beltrami, invero ingiustificata) e per non dare peso alla strumentalità della mozione si decide di non intervenire, salvo un breve intervento dell'assessore Rossi. Scelta, a pensarci bene, sbagliata. Tanto che la maggioranza rischia di andare sotto. Forse di questi temi sarebbe il caso di parlarne nella coalizione, affinché le politiche di governo venissero maggiormente condivise. Forse così anche la politica ne sarebbe arricchita.

Le immagini dell'11 settembre del 2001 scorrono in tutti i network, con la stessa spettacolarizzazione (e la stessa superficialità di analisi) di undici anni or sono. Si afferma che l'attentato alle torri gemelle ha cambiato il corso della storia. Ma che cosa abbiamo saputo imparare? La notizia dell'attentato di Bengasi in cui ha perso la vita l'ambasciatore Usa in Libia è la testimonianza che il mondo non è certo stato pacificato dalle migliaia di bombe riversate sull'Afghanistan o sull'Iraq. Scrivo una breve riflessione sulla "primavera inascoltata", in un tempo che non sappiamo scrutare.

lunedì, 10 settembre 2012Asino, negli USA simbolo dei democratici

Con la definizione delle date delle primarie del centrosinistra, il confronto fra le diverse candidature sta entrando nel vivo.
Essendoci di mezzo il segretario nazionale del PD, la contesa assume nei fatti, che lo si voglia o no, un carattere congressuale. Una discussione complicata dal fatto che ancora non è chiaro con quale sistema elettorale si andrà alle elezioni politiche nella primavera 2013, il che non è affatto irrilevante sul piano delle alleanze, con implicazioni immediate anche sul contesto locale in vista delle elezioni provinciali e regionali del novembre 2013.

Se nelle primarie, tutto dipende da chi decide di candidarsi e dall'ampiezza delle alleanze pre-elettorali, sul piano più strettamente politico le candidature assumono un immediato risvolto congressuale. Per chi, come il sottoscritto, ritiene decisiva una visione "territorialista ed europea" (e dunque fatica a collocarsi in quel che c'è), riuscire a far sì che questa impostazione possa trovare riconoscimento nel dibattito del PD diventa ormai questione ineludibile. Come imprescindibile diviene il percorso di costruzione di una rete di soggettività territoriali, fors'anche a prescindere dalle prossime scadenze elettorali che tale percorso rischiano di pregiudicare.

E che oggi si manifestano come espressione di sensibilità trasversali alle attuali appartenenze. Per questo, del resto, sono nate in Trentino due realtà come "Politica Responsabile" e "Comunità Responsabile". Per questo mi incontro con Giuseppe Ferrandi, che come referente di "Comunità Responsabile" che recentemente ha lanciato una raccolta di firme con al centro il terzo statuto di autonomia. Emergono diverse idee di lavoro, in particolare sul tema delle Alpi come Regione europea, proposta che potrebbe rappresentare una sorta di cornice anche per il contenzioso politico che si è aperto con la cancellazione della Provincia di Belluno. Ma soprattutto la necessità di non lasciare cadere un discorso di riforma territoriale della politica per rincorrere treni impazziti e destini personali.

Nel diluvio giornalistico di dichiarazioni e di posizionamenti, preferisco scegliere di presidiare idee e contenuti. Ecco dunque che con Fabio Pipinato e Giorgio Tonini ci vediamo per fare il punto sull'iter di riforma della cooperazione internazionale. Una riforma, quella della legge 47/78, di cui si parla ormai da venticinque anni ma che si è regolarmente arenata nelle secche di vecchie visioni e di piccole miserie di una cooperazione internazionale che non è mai stata così in crisi. Difficile dire se questa volta, in questo scampolo di legislatura, si arriverà ad una qualche conclusione (che appare comunque piuttosto improbabile). Il confronto si è incagliato su tre nodi di fondo: la titolarità politica, ovvero se la cooperazione internazionale dovrà essere in capo ad un ministero (o delega ministeriale) ad hoc o incardinata nel Ministero Affari Esteri; la costituzione di un Fondo Unico con il Ministero dell'economia oppure il mantenimento di linee di finanziamento separate; infine l'opportunità di dotarsi di uno strumento operativo come l'Agenzia, invisa al MAE. L'impressione è che il cambio di paradigma che avevamo auspicato nel corso della passata legislatura e con il mondo delle Ong sia ancora ben lontano. E che quindi il nulla di fatto non sia poi così grave.

Eppure, il cambio s'impone. S'impone nella cooperazione, che finalmente inizia ad interrogarsi sulla propria crisi e su fondamentali del proprio agire. Si dovrebbe imporre anche sul piano politico, ma l'attenzione è altrove e le categorie che segnano i partiti (tranne qualche positiva eccezione) sono ferme al secolo scorso. Lo sa bene anche Giorgio Tonini che pure qualche anno fa, proprio anche su mia sollecitazione, si era fatto carico di un testo legislativo fortemente innovativo, anch'esso naufragato però nelle secche di un centralismo che - quando c'è di mezzo la Farnesina - sa raggiungere livelli parossistici. Che i territori (e le Regioni e le Province Autonome) possano essere gli attori di una nuova cooperazione non fondata ancora sugli "aiuti allo sviluppo"  ma sulle relazioni, anche nelle nuove ipotesi di riforma, non sembra proprio entrare nell'ordine delle cose.

E nemmeno nella riflessione di una Comunità come quella di S.Egidio, che pure ha avuto in questi anni un alto profilo nella diplomazia parallela e della quale il ministro alla cooperazione internazionale Andrea Riccardi è espressione. Perché lo svecchiare delle categorie vale non solo per la politica ufficiale, perché l'autoreferenzialità è un problema di tutti, perché infine l'ecumenismo ti può portare fuori strada se pensi che possa essere la chiave per la risoluzione dei conflitti prodotti dalla postmodernità.

Mi riferisco anche al fatto che l'aver dedicato in questi giorni al dialogo interreligioso il meeting in occasione dei vent'anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo risulta fuorviante e costringe di nuovo la "Guerra dei dieci anni" dentro una chiave di lettura di natura etnico religiosa, quando invece questa è stata solo la copertura ideologica di un ‘operazione criminale che vedeva come protagonista una nomenclatura che voleva succedere a se stessa ed arricchirsi. Così mi tocca di sentire, in uno dei servizi televisivi sulla conferenza della Comunità di S.Egidio nella capitale bosniaca, un giornalista rivolgersi ad alcune persone che affollano la chiesa ortodossa di Sarajevo con domande sul loro essere minoranza perseguitata dai musulmani. Al di là del bene e del male...

Chiudendo nuovamente gli occhi sul fatto che a vincere le nuove guerre sono stati i signori della guerra, i quali delle culture religiose si sono fatti schermo per un inganno che ancora continua. A maggior ragione diviene importante l'oggetto dell'incontro con le/i rappresentanti dell'associazione Libera, al fine di progettare una Winter School proprio sulle mafie transnazionali che percorrono l'Europa, in collaborazione con RAI Storia, Osservatorio Balcani Caucaso e Università di Trento.

E sempre per questa stessa ragione mi sembra importante valorizzare le espressioni significative della  tradizione culturale e cinematografica dell'Europa di mezzo, attraverso una delle figure più interessanti della cinematografia jugoslava come Bekim Fehmiu. La mostra a lui dedicata - realizzata grazie alla cooperazione di comunità fra il Trentino e i Balcani - sta toccando in queste settimane diverse città balcaniche ottenendo, come a Belgrado in questi giorni, uno straordinario successo di pubblico. Di questo parliamo con Samuela Michilini per programmare la mostra in Trentino e in Italia, nonché una serie di appuntamenti ad essa correlati nell'autunno prossimo.

C'è molto altro da segnalare in questo inizio di settimana, come ad esempio la tornata consiliare che prende il via martedì. Ma di tutto questo vi parlerò nelle prossime puntate di questo diario.

domenica, 9 settembre 2012Arte Sella

E' stata una domenica mattina di intenso confronto quella che abbiamo avuto ieri su un tema tanto interessante quanto impegnativo come la riflessione attorno al rapporto fra la creazione di lavoro e le identità territoriali, con una particolare attenzione all'animazione territoriale quale strumento di sviluppo.

Si trattava di un primo momento di confronto fra persone "informate sui fatti" che si sono ritrovate su invito di Franco, Luca, Michele e Tommaso a partire da una breve sollecitazione che poneva i titoli della riflessione. E che qui riporto per farvi capire il senso dell'incontro.

"Consapevoli che il territorio, inteso quale sistema materiale ed immateriale di valori, identità, usi, costumi, tipicità, simboli, storia e cultura, rappresenta un valore non riproducibile e unico sul quale fondare politiche di sviluppo territoriali e socio-economiche sostenibili e competitive, siamo a proporre una mattinata di lavoro sul tema dell'animazione territoriale, nella convinzione che questa sia lo strumento privilegiato per accompagnare i territori nella fase di auto-conoscenza e di definizione di strategie e progetti di sviluppo condivisi. L'obiettivo è quello di:

1. fondare le politiche di sviluppo (politiche e azioni di sviluppo locale, sviluppo imprenditoriale, sviluppo occupazionale, inclusione sociale ecc.) sul riconoscimento e la valorizzazione dei valori e delle specificità territoriali ed identitarie di ogni sistema locale;

2. accompagnare gli attori territoriali (istituzioni, stakeholders, attori privilegiati ecc.) nell'analisi delle specificità e delle vocazioni territoriali e nell'individuazione di strategie di sviluppo condivise, adeguate e sostenibili;

3. supportare i territori e le istituzioni locali nella creazione di reti e alleanze tra attori privilegiati e tra attori pubblici e privati, al fine dell'individuazione e della condivisione di idee forti di sviluppo e di strategie/progettualità d'azione;

4. dare vita a relazioni fra territori per abitare in maniera attiva e creativa un presente sempre più interdipendente".

Tutto qui, ma vi assicuro non è affatto poco. E infatti, intorno al tavolo ci siamo trovati in una decina di persone impegnate professionalmente o semplicemente interessate a sviluppare questo filone di ricerca/azione. Ne è venuto un brainstorming davvero interessante, che ora cercheremo di tradurre in altrettante linee di lavoro, con l'obiettivo di contribuire a far sì che nella prossima Legge Finanziaria al tema dell'animazione territoriale sia riservata una specifica attenzione.

sabato, 8 settembre 2012Secchiano Marecchia, palazzo Cappelli

Secchiano Marecchia è un borgo di milletrecento abitanti, parte del Comune di Novafeltria, a una ventina di chilometri da Rimini. Venerdì pomeriggio e sabato mattina, in questo paesino della Val Marecchia dove nell'inverno scorso centinaia di volontari della Protezione Civile del Trentino sono intervenuti per  soccorrere queste comunità dagli effetti  di un cambiamento climatico che ha riversato metri e metri di neve laddove un tempo ne cadevano solo pochi centimetri, prende il via una piccola scuola di formazione politica che terrò fino a novembre.

Secchiano Marecchia aveva già da prima un legame con la nostra terra, quello di aver avuto come cittadino e animatore sociale l'amico Gianni Rigotti che qui si era trasferito nei primi anni '80 con la sua famiglia. Portando con sé tutta l'intelligenza, la sensibilità, la forza d'animo che lo avevano portato ad essere uno dei nostri amministratori comunali in una Valle di Non dove non era certo facile essere di Democrazia Proletaria del Trentino.

Con Gianni c'eravamo spesso ritrovati negli ultimi anni grazie alla sua collaborazione con il Museo degli Usi e Costumi della Gente trentina (del quale era formatore) e grazie alla rete, nello scambiarci idee e consigli ma anche nel progettare cose insieme come l'idea di una piccola scuola di formazione rivolta ai giovani e alle persone che volevano cimentarsi nel volontariato dotandosi però di uno sguardo profondo e non banale sulle cose del mondo.

Poi non c'era stato più tempo, perché Gianni lo scorso anno ci ha lasciati. Aveva combattuto la malattia come un leone, convinto fino all'ultimo di farcela o, almeno, facendoci credere che fosse così. Tanto che il nostro ultimo scambio di idee riguardava proprio il dettaglio programmatico di questo percorso  formativo che mi proponeva di tenere qui, nella sua terra d'adozione.

L'emozione nel vedere concretizzarsi questo impegno è grande, per me come per Laura, Marco e gli amici che Gianni hanno stimato e amato. Nella bella cornice di Palazzo Cappelli ci ritroviamo in un bel gruppo: Livio, Veronica, Lorenzo, Franca, Andrea, Jessica, Irene, Costanza, Sara, Massimiliano, Federico, Giulia, Roberto, Maria, Elio, Mirio, Lucia, Sara, Marco, Ines, Laura, Vincenzo (e sicuramente mi dimentico di qualcuno). Persone di generazioni diverse, che si sono iscritte ad un percorso che faremo insieme fatto da cinque momenti formativi, i primi due dei quali si svolgono in questo fine settimana.

I titoli di questi primi due incontri sono rispettivamente "Nuovi sguardi oltre il Novecento. Il secolo degli assassini" e "La politica nel tempo dell'antipolitica. La locanda". Se per i lettori di questo diario sono parole queste che riecheggiano frequentemente nel mio argomentare, mi rendo conto che per i presenti suonano invece piuttosto inconsuete, come se la politica in genere parlasse d'altro. Ed è effettivamente così. Anzi, ho come la sensazione che la politica oscilli fra il non parlare affatto se non attraverso i canali televisivi e il gergo non sempre visionario degli amministratori locali.

Non si tratta di una proposta formativa di partito, tanto è vero che vi partecipano persone di diversa collocazione o che non hanno alcuna appartenenza politica, ma un'opportunità di formazione attraverso uno sguardo che prova ad interpretare questo tempo oltre le categorie del passato, di quel Novecento che ancora non abbiamo elaborato (e che proprio per questo ritorna). E che s'incrocia con quello dei presenti, che vedo attentissimi alle suggestioni proposte.

E infatti, tanto nel pomeriggio di venerdì quanto nella mattinata di sabato, le mie relazioni sono interrotte da domande, richieste di chiarimenti, osservazioni. Nei miei passaggi so di essere abbastanza provocatorio, ma non chiedo ai presenti di condividere, quanto piuttosto di stimolare la riflessione sul nostro tempo, quello che la politica dovrebbe fare ma che ha perso per strada, quasi a fotografare la fatica del pensiero prima ancora dell'agire politico e sociale. Insomma, domande esigenti.

Nel mio argomentare, sono accompagnato da una nutrita bibliografia che propongo ai partecipanti come una sorta di itinerario letterario nel percorso di apprendimento che possa andare oltre le mie stesse parole. E mi accorgo così che le mie letture più care di questi anni sono ai più sostanzialmente sconosciute. Non è vero che la politica non interessa nessuno. Mi sembra di cogliere invece nei presenti un desiderio di buona politica, come se in questi anni di buio profondo ci si fosse accontentati di aspettare che finisse "a nuttata", accondiscendendo nei fatti ad una sorta di antiberlusconismo che ha contribuito alla desertificazione del pensiero.

Alla fine della "due giorni" vedo volti soddisfatti, come se questa proposta avesse effettivamente contribuito a riconciliarli almeno un po' con la riflessione politica. Anche Laura e Marco sono contenti, mi coccolano con le loro cose buone che la terra, il mare e la maestria sono capaci di realizzare. "Ben, ben..." avrebbe detto Gianni con il suo sorriso sornione. Mentre torno verso il Trentino forse forzando un po' troppo il motore (che infatti si mette a fare le bizze) sono anch'io soddisfatto di essere stato qui, in queste splendide colline al confine fra l'Emilia Romagna e le Marche.

Quando qualcuno dei presenti al corso mi ha chiesto che cosa penso del dibattito sull'inamovibilità della vecchia classe dirigente e sulla rottamazione, ho risposto che non c'è nulla di più bello che disporsi a passare la mano, incrociando saperi e sguardi fra esperienze e generazioni diverse.

mercoledì, 5 settembre 2012Il Teatro Sociale gremito per la Festa dell\'Autonomia

Mentre i quotidiani locali giocano a disegnare gli scenari politici del "dopo Dellai", non limitandosi alla descrizione dei movimenti in corso ma anche mettendoci del loro, cerco di smarcarmi. Non amo il pettegolezzo, né le caricature, che provano a legittimare una cronaca politica autoreferenziale. Per altro se si vuol parlar male della politica gli argomenti certo non mancherebbero, specie quando sono i destini personali a scandirne le scelte.

Il fatto è che i partiti vanno smarrendo la loro dimensione collettiva, parola desueta in un contesto dove invece prevalgono i personaggi e il leaderismo. La capacità di proporre visioni, il confronto delle idee, il saper fare i conti con il passato, il valore di trovare i punti in comune (ed in questo senso di compromettersi), sono prerogative sempre più rare.

Forse potrà apparire un po' naïf, ma per quel che mi riguarda la politica è fatta ancora di idee, di studio, di analisi dei processi sociali, di ricerca di risposte adeguate alle trasformazioni profonde del reale, di fantasia e di coraggio nell'immaginare scenari nuovi.

Come quando qualche anno fa i due maggiori partiti italiani del centrosinistra (DS e Margherita) hanno scelto di rimescolare le carte e di cercare una nuova sintesi politica delle loro (e anche di altre e minori) storie politiche. Non si è trattato di trasformismo, ma di un atto politico coraggioso. Che non era solo dettato dalla crisi dei partiti tradizionali, ma dalla convinzione che la politica richiedesse nuove sintesi di pensiero. C'era anche dell'altro, forse meno nobile? Certo che sì e la scelta di conservare i patrimoni fuori dalla nuova soggettività politica che stava nascendo (quasi a tutelare il certo rispetto all'incerto) lo stava a dimostrare.

Ancora di più in questa terra, il Trentino, dove il passaggio dalla prima alla seconda repubblica è stato accompagnato dalla
ricerca di percorsi originali che non corrispondevano alla rappresentazione politica nazionale e che anzi, come nel caso della Margherita, hanno saputo fare scuola sul piano nazionale. Così a sinistra, nel coraggio di osare una contaminazione culturale che altrove è apparsa improbabile. Basterebbe ripercorrere le storie personali che oggi ritroviamo nel PD del Trentino per comprenderne la peculiarità.

E però, lo si deve dire con onestà, su questa strada di innovazione politica e culturale ci si è fermati, tanto sul piano nazionale
come su quello locale. Il ripiegarsi del PD del Trentino sulle dinamiche nazionali, quasi a considerare concluso un percorso che avrebbe dovuto invece rimescolare le carte nella direzione del partito territoriale, ne è la testimonianza. A cui corrisponde - come ho già avuto modo di dire in questo diario - la scelta di Lorenzo Dellai di chiamare a raccolta il popolarismo degasperiano. Passi indietro, quasi un ritorno al Novecento, dopo aver preso atto che un cambio di paradigma ancora fatica ad imporsi.

La gente che affolla il Teatro Sociale applaude a scena aperta Felipe Gonzales, il leader spagnolo che ha guidato con intelligenza il post franchismo. In quell'applauso ci sono anch'io, come a rendere omaggio ad un'idea nobile della politica. Ma le sue idee sono, per l'appunto, dentro il paradigma novecentesco. Del resto lo schema della contesa politica in Europa (e non solo) è ancora quella di un tempo, divisa fra progressismo e conservazione.

Potrà sembrare strano ma proprio della necessità di un cambio di prospettiva parlo nella serata che si svolge nel foyer del Teatro della Valle dei Laghi, in occasione della mostra fotografica di Andrea Tonezzer dedicata al Ladakh, una piccola regione nel nord dell'India diventata terra di accoglienza per migliaia di profughi tibetani e luogo di incontro e convivenza fra popolazioni di religioni diverse. Perché a queste quote forse lo sguardo verso la vita assume un angolatura diversa e perché se vogliamo dare senso a parole banalizzate come pace e diritti umani dobbiamo interrogarci sulla propensione all'aggressività e all'accaparramento delle risorse in nome di un diritto che s'impone con la supremazia militare e di civiltà che si vorrebbero
superiori.

La banalizzazione delle parole. Mi ha colpito che durante la celebrazione della festa dell'autonomia il presidente Dellai abbia usato questa stessa espressione, quando ha parlato del pericolo di "banalizzazione della nostra autonomia". Perché è proprio così, l'autonomia richiede di essere in divenire, mai definita una volta per tutte. Richiede di essere coltivata, invece, nella coscienza e nel senso di responsabilità delle persone. L'opposto della banalizzazione, alimentata dalla retorica delle radici, dalla storia piegata a proprio uso e consumo, dalla chiusura nel privilegio. Nel condividere questo messaggio, voglio sperare che questo sia il frutto di un sentire comune che, nonostante la fatica della politica, s'impone oltre le appartenenze.

lunedì, 3 settembre 2012La sede del PD del Trentino

La prima settimana di settembre si presenta con un'agenda molto fitta di impegni. Iniziamo con la terza commissione legislativa provinciale chiamata a votare un provvedimento che rinnova profondamente la legge 14 del 1980 sull'energia, se non proprio un provvedimento quadro qualcosa di abbastanza vicino e che completa la legislazione provinciale in materia di fonti rinnovabili e di risparmio energetico. Il Disegno di Legge unifica cinque diverse proposte attorno al testo proposto dal consigliere Renzo Anderle dell'UpT e riprende anche il voto del Consiglio Provinciale (su mia proposta) sulla necessità di regolamentare la proliferazione delle antenne delle compagnie telefoniche. Arriverà in aula già nel mese di settembre.

A seguire, nel pomeriggio di lunedì, la prima riunione del Gruppo consiliare. Discutiamo dell'accordo raggiunto in sede di capigruppo regionali per quanto riguarda la riforma delle indennità, tema di scottante attualità sul quale, finalmente, sembra profilarsi un intervento che mette mano alla struttura dello stipendio, cancellando la diaria, realizzando un risparmio del 10% dei costi e portando il contributo di solidarietà per gli ex consiglieri al 12%. La proposta, che si aggiunge agli interventi di sterilizzazione degli aumenti scattati nel corso della legislatura (che hanno prodotto un taglio di circa 1.700 euro mensili) e all'abolizione dei vitalizi già operato nella scorsa legislatura, dovrebbe scattare nel dicembre 2013, con l'avvio della nuova legislatura. Su questo punto il gruppo regionale del PD aveva chiesto l'entrata in vigore immediata ma questo rischia di far
saltare l'accordo e portare al nulla di fatto. Il giudizio sulla riforma è certamente positivo e dunque mi sembrerebbe sbagliato che sull'entrata in vigore ci mettessimo a fare i primi della classe e in questo senso mi esprimo. E infatti nella riunione del giorno successivo il solo annuncio di un possibile emendamento su questo aspetto provoca, come avevo previsto, la reazione negativa di tutti. L'intesa è troppo importante e va bene così.

In serata si riunisce il Coordinamento del PD del Trentino. In genere non partecipo alle riunioni del Coordinamento, pur essendo i componenti del gruppo consiliare provinciale invitati permanenti. Un po' per il sovraccarico di impegni, un po' per mantenere una qualche distanza da un progetto politico che considero ancora lontano dal partito territoriale che vorrei . Più passa il tempo, più mi convinco che la vera riforma della politica passi da quel cambio di paradigma che si dovrebbe fondare sulla natura territoriale e sovranazionale dell'agire politico. Un progetto che oggi non sembra essere nelle corde del PD, del partito a livello nazionale ma nemmeno in quello del Trentino.

Un'idea che non ritrovo nemmeno, a ragion del vero, nella recente evoluzione della proposta di Lorenzo Dellai, perché lo scarto di pensiero che l'idea territoriale e federalista si propone non c'entra un bel niente con la riproposizione di un nuovo soggetto ad ispirazione degasperiana che invece ci riporta nel solco novecentesco di uno schema che ripropone una destra, un centro e una sinistra. Ma su questo ritornerò con un intervento nei prossimi giorni.

Scelgo di partecipare alla riunione del Coordinamento perché voglio capire come si profila il dibattito dopo le innumerevoli esternazioni di questi giorni che investono anche il futuro assetto politico del Trentino nel "dopo Dellai" (e alle quali mi sono ben guardato dal partecipare). Sono abbastanza dentro le cose della politica per non comprendere che quello che si delinea nella pur veloce dinamica di una riunione di coordinamento, sono almeno due strade diverse e, vorrei dire, di natura congressuale. Che partono da una diversa narrazione del Trentino governato dal centrosinistra autonomista per giungere ad una diversa impostazione che riguarda il ruolo dell'autonomia, il modello di sviluppo e la presenza pubblica nell'economia, la cooperazione... solo per indicare alcuni dei titoli sul tavolo del confronto.

La questione non è di che tessera debba avere in tasca il prossimo presidente della Provincia Autonoma di Trento, il nodo è se siamo in grado di costruire su questi temi un minimo comun denominatore nel centrosinistra autonomista che fino ad oggi ha visto come garante la figura di Lorenzo Dellai. Dobbiamo dirci onestamente che questa sorta di tutela personale, per quanto intelligente e innovativa, non ha fatto crescere un sentire comune e nuove sintesi culturali. Tanto che ogni soggetto politico (e, nella debolezza della politica, gli assessori di riferimento) ha teso ad accentuare il proprio spazio vitale piuttosto che fluidificare i pensieri. Ora, di fronte alle nuove sfide e ad un cambiamento strutturale del contesto economico finanziario nel quale si trova ad agire anche il Trentino, questa "vision" condivisa non può essere delegata alla figura di un garante (anche se l'equilibrio del candidato presidente certo potrebbe aiutare) ma alla capacità della coalizione di trovare una propria rotta. Qui misureremo continuità e discontinuità.

In questo quadro la metodologia della scelta del presidente è certamente importante, ma non può essere "la" questione. E invece, come già sembra avvenire sul piano nazionale, questo è diventato lo strumento per regolare i conti nel PD. Perché non c'è ombra di dubbio che la candidatura di Renzi contrapposta a quella di Bersani non si configura come la selezione del candidato migliore, ma come una sorta di congresso non convocato e in assenza di tesi (che non sia quella della rottamazione). E' evidente che se Bersani dovesse perdere le primarie (oppure ottenere un risultato non proprio convincente) salterebbe il PD. Oltre ad evidenziare la contraddittorietà di uno statuto che prevede che il segretario nazionale sia il candidato premier ed il ricorso alle primarie come regola aurea per la definizione della medesima funzione.

In questi anni di crisi della politica le regole sono diventate la panacea di ogni male. Nell'incapacità di cogliere i processi di profonda trasformazione che segnano questo tempo. E nascondendo un tema di fondo che riguarda la distinzione fra il ruolo della politica e quello delle istituzioni. Voglio dire che quando è stata introdotta l'idea che fosse il cittadino elettore il titolare della soggettività politica ci siamo cacciati in un vero e proprio cul de sac. Senza dimenticare che le regole non sono neutrali, perché quest'idea è l'effetto di una logica di natura plebiscitaria (e maggioritaria) dove i partiti sono ridotti a macchine elettorali. Un'idea nella quale non mi riconosco affatto.

Sono nodi irrisolti che vengono a galla. E visioni diverse. Non sarà facile venirne a capo, specie se le scelte saranno dettate più dai destini personali che dalla passione politica.