"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

Diario

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venerdì, 31 agosto 2012Torbole

Dei cambiamenti climatici abbiamo ormai una percezione in tempo reale. Non sono solo i picchi del caldo, è la tropicalizzazione del clima che dovrebbe preoccuparci. Alla grande siccità corrispondono precipitazioni a carattere alluvionale con effetti devastanti. Si passa così da un'emergenza all'altra. E la terra si spacca. La campagna, i pascoli, i boschi delle mie passeggiate sono l'immagine di come il clima "sia fuori dai gangheri", per usare la bella espressione dell'amico Gianfranco Bettin. L'acqua piovana raccolta nei pozzi si è rapidamente prosciugata e così anche l'orto ne risente. Come ne risentono le piante di cachi e i pruni intorno a casa, che hanno perso le foglie e i frutti sono come avvizziti.

Sulle nostre montagne i ghiacciai si stanno ritirando in misura impressionante, ma quello di cui si discute non sono le cause di tutto questo, bensì la polemica con la regione Veneto sui teloni da mettere a protezione del ghiaccio perenne sulla Marmolada. Teloni che la Provincia Autonoma di Trento sta usando da tempo sul versante trentino e che riducono in maniera significativa gli effetti del surriscaldamento. Un tampone, ovviamente, che non risolve di certo il problema e che dovrebbe farci interrogare sull'insostenibilità del nostro modello di sviluppo.

Ciò nonostante il delirio della crescita senza fine non sembra attenuarsi. Né nell'affrontare i temi della crisi, né sul piano del pensiero politico, né nei nostri comportamenti individuali. Ed è proprio intorno a questo grande tema del "limite" che martedì sera a Torbole, in uno degli scenari naturali più belli del Trentino, abbiamo organizzato come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani la manifestazione "Altro ke no limits", una performance di Duccio Canestrini che attraverso quattro scenari descrive il nostro rapporto con il concetto di limite. La "conferenza spettacolo" si svolge, quasi beffardamente, nei pressi della Colonia Pavese, palazzo della fine dell'Ottocento abbandonato per qualche decennio e poi diventato l'oggetto di uno scempio tanto inguardabile quanto insostenibile.

Il messaggio che viene lanciato è molto chiaro e i numerosi presenti sembrano apprezzarlo. Cerco di spiegare in poche frasi come la pace e i diritti umani, se non vogliono diventare parole vuote e piene di retorica, debbano essere declinate attorno ai nodi cruciali di questo tempo nel quale l'accaparramento delle risorse energetiche, dell'acqua e della terra diventano motivi scatenanti le guerre. A seguire, le immagini e le parole di Canestrini entrano come lame nelle ferite del nostro tempo.

Eppure continuiamo ad invocare le magnifiche sorti e progressive dello sviluppo. Quando, a tarda serata, gran parte dei turisti si ritirano dal lungo lago, Torbole offre un affresco affascinante. Una falce di luna riflette la sua luce sull'acqua leggermente increspata. Sullo sfondo le pendici del Baldo che il delirio del profitto avrebbe voluto scavare da cima a fondo per portare l'acqua in quota di notte e farla precipitare nel lago di giorno per giocare sul prezzo dell'energia. Se oggi le trivelle non sono in azione è merito di qualcuno che si è messo di mezzo e della politica che ogni tanto sa dare buona prova di sé. Nel mio personale bilancio di questa esperienza consiliare, l'aver fermato questa follia mi porta a dire che forse ne valeva la pena.

Di questo delirio parlo anche il giorno dopo a Maso Navarini, a Ravina di Trento, nella suggestiva ambientazione di un museo del rame che non conosce pari in Italia e fors'anche in Europa. Qui si svolge la prima puntata del corso di cucina povera che abbiamo promosso con Slow Food sempre nell'ambito del percorso "Nel limite. La misura del futuro". Venti posti, quaranta iscritti, tanto che dovremo ripeterlo a breve. E questo nonostante la partecipazione preveda una quota di iscrizione di cento euro. Ci arrivano richieste di organizzare delle repliche anche su scala locale. Un cambio di paradigma s'impone, qualcuno sembra accorgersene.

"In questo progresso scorsoio, non so se vengo ingoiato, o se ingoio". Inizio con questo epigramma che ci ha lasciato Andrea Zanzotto la mia breve introduzione alla prima lezione di cucina povera. Serata di parola, quella di giovedì, cui seguiranno le esercitazioni sui fornelli. Ma prima di mettere le mani in pasta, è bene mettere anche i puntini sulle i. Così provo ad inoltrarmi nel messaggio del poeta di Pieve di Soligo che meglio di chiunque altro ha saputo raccontare lo spaesamento di quella regione. Di un progresso che ha snaturato il volto dei luoghi, le relazioni fra le persone, le vite stesse sempre più "di corsa", dove manca il tempo per mettere a fuoco quel che accade, fino a farci diventare insieme vittime e carnefici di questa insostenibilità. Per questo, stare "nel limite" significa accettare di abitare la contraddizione, rifuggendo da logiche manichee, come se il mondo fosse diviso fra buoni e cattivi. Alla ricerca di improbabili coerenze.

A Sergio Valentini e al cuoco Max il compito rispettivamente di raccontare la filosofia di Slow Food e di farci guardare in maniera diversa le cose che andiamo ad acquistare, quelle che dimentichiamo nel frigorifero, o quelle che la natura ci regala sottraendole dalla logica del mercato. Ci parlano della rivoluzione nel piatto e dello straordinaria efficacia politica dei nostri comportamenti alimentari.

Come forse i lettori/lettrici di questo diario hanno inteso, la breve pausa estiva ormai se n'è andata. Da lunedì scorso l'agenda si è improvvisamente infittita di incontri e riunioni di cui voglio dare brevemente nota.

Con Eugenio Berra facciamo il punto sulle attività e sulla programmazione 2013 di Viaggiare i Balcani, l'associazione che da dieci anni lavora sul turismo responsabile in questo pezzo d'Europa. E a Brentonico, il giorno successivo, un gruppo di amici mi
parla entusiasticamente proprio delle sensazioni vissute durante il loro recente viaggio a Sarajevo. La scoperta di un mondo. 

Le leggi non richiedono solamente di essere adottate, occorre presidiarle nei loro regolamenti attuativi: è quel che facciamo negli incontri di lunedì sul sistema informativo elettronico trentino e sul software libero (LP 16/2012) con i responsabili della PAT e venerdì sul Programma triennale previsto dall'articolo 4 della LP 13/2009 (Educazione alimentare e filiere corte) con il gruppo di lavoro che abbiamo costruito intorno a questa legge e all'impegno sull'agricoltura trentina.

Con Paolo Tonelli proviamo a condividere un momento collettivo per ricordare con la figura straordinaria di Alberto Tridente, comune amico che ci ha da poco lasciati, anche un pezzo di storia che ha fatto interagire la cultura operaia con una mondialità sempre più interdipendente, per nulla estranea anche a questa stessa terra.

Con i responsabili della Filmwork ragioniamo di come dare continuità alla produzione cinematografica d "Afghanistan 2014", in particolare dopo l'esordio particolarmente efficace del primo episodio di una trilogia che prova ad indicare uno sguardo non banale sul futuro di questo paese. A settembre e ottobre sono previste proiezioni in varie città italiane ed europee, ma contestualmente vorremmo lavorare alla realizzazione degli altri capitoli, sempre ovviamente nella convinzione che la forza delle idee possa anche superare la limitatezza delle risorse finanziarie.

 E, sempre a proposito di risorse finanziarie ridotte all'osso, con tanta buona volontà e pochi mezzi stiamo realizzando un secondo restyling del sito del Forum (www.forumpace.it). Dalla cosa inguardabile di quattro anni fa, oggi siamo ancora a metà del guado rispetto all'obiettivo di realizzare uno strumento efficace di comunicazione interattiva. Ormai è solo questione di qualche giorno, ma vi assicuro che il lavoro che ci sta dietro di trasferimento dei dati su una diversa piattaforma è tutt'altro che banale.

Con Sergio Bernardi, l'anima della rivista UCT, parliamo della LP 5/2012 sull'amianto. Mi propone di realizzare un libro/CD informativo sulla materia e naturalmente rispondo in maniera positiva. Ma non sarà cosa da poco raccogliere interviste e
testimonianze sulle storie di vita a contatto con la "Malapolvere".

Con Tommaso Iori, Luca Pontalti e Franco Ianeselli ci troviamo per parlare di lavoro giovanile e approccio territoriale. Loro sono di un'altra generazione rispetto alla mia, ma devo dire che la loro sensibilità mi fa sentire meno solo.  Decidiamo che domenica
9 settembre proveremo ad incrociare idee e sguardi su un progetto di lavoro incardinato sulle vocazioni del territorio.  

Infine, mi raggiunge Piergiorgio Cattani per uno scambio di idee sulla politica trentina e su un progetto che ha in animo la Fondazione Martino Martini. Gli dico senza reticenze quel che penso del dibattito giornalistico di queste settimane, del centrosinistra autonomista e del PD del Trentino. E della mia estraneità ad un contesto che sa solo parlare di primarie e di destini personali.

Mi fermo qui, ma come si può capire l'impegno politico può anche darsi un'agenda radicalmente diversa da quella che le cronache giornalistiche sembrano offrirci. Ah, dimenticavo. E' arrivata finalmente la pioggia.

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martedì, 28 agosto 2012La tekija di Blagaj

Alcuni gruppi di amici durante l'estate hanno scelto di viaggiare. Non di fare una vacanza, ma qualcosa di più e di diverso che è il viaggio. Il piacere di conoscere, di vedere i luoghi dall'interno (piuttosto che sorvolarli), a diretto contatto con le persone che li abitano, i loro racconti, i loro saperi, i prodotti del loro lavoro. E hanno deciso che la meta di questo loro viaggiare sarebbe stata l'Europa di mezzo, come è giusto chiamare i Balcani se si conosce il vecchio continente.

Ho dato loro qualche indicazione e scritto un piccolo diario di sei puntate del recente viaggio che anch'io sentivo il bisogno di fare dopo anni di assenza diretta. Al loro ritorno mi hanno scritto entusiasti e proprio questa sera uno di questi gruppi mi ha invitato a Brentonico per parlarne. Invito che ho accettato con gioia. Ne scrivo perché so di tanti amici che mai nella loro vita sono stati a Sarajevo o a Mostar, solo per dire di luoghi che bisogna conoscere. Il mio è un invito a mettervi insieme e imparare a viaggiare. Se volete parlarne, a disposizione.

sabato, 25 agosto 2012Disegno di Robert Musil dedicato alla Grigia

Una settimana di (quasi) vacanza. Alla fine con Gabriella scegliamo di dedicare al Trentino, agli angoli di questa terra che non sempre conosciamo pur vivendoci, questa settimana di stacco dalle cose del mondo. Per disconnettermi sul serio avrei dovuto andarmene, lasciando a casa le diavolerie dell'elettronica, ma il caldo e l'affollamento di agosto mi hanno consigliato di stare in zona, dedicandomi a luoghi e sentieri ancora in buona parte sconosciuti. E alla lettura.

In Valle di Fiemme, nella valle del torrente Travignolo che porta verso Bellamonte, straordinaria terrazza sul Lagorai; nella Valle di Stava che ventisette anni fa venne devastata dalla furia del fango delle miniere di Prestavel (e dall'incuria interessata del profitto), un monito che non sembra sempre ascoltato a vedere le forme della ricostruzione; in Primiero, scendendo alle pendici delle Pale di San Martino, inoltrandoci per stradine sconosciute che poi si aprono a panorami incantati; nella Valle dei Mocheni (Bersntol) raccontata nelle novelle di Robert Musil (a Palù del Fersina è aperta proprio in questi giorni una mostra su Musil e la Valle incantata), nostra valle adottiva dove abbiamo avuto casa per dieci anni e meta per la raccolta dei funghi porcini (anche se per il momento la stagione è pessima); sul Monte di Mezzocorona per proteggerci dall'afa e gustare il tortel di patate; sul Monte Bondone alle cui pendici abitiamo, casa nostra insomma. E' davvero insopportabile che si sia continuato ad insistere sul turismo tradizionale e sugli sport invernali, perché la montagna di Trento meriterebbe una ben diversa attenzione nelle sue svariate vocazioni. Purtroppo la logica del numero dei posti letto ha continuato fino ad oggi ha proporre per questa montagna un turismo senza qualità, pregiudicandone così, tranne qualche rara eccezione, una valorizzazione intelligente ed equilibrata. Il versante verso la Valle dei Laghi offre in ogni stagione un fascino diverso... e poi un salto alla Malga Brigolina vale sempre la pena.

L'autobiografia che Alberto Tridente ci ha regalato poco prima di lasciare questo mondo (Dalla parte dei diritti, Rosenberg & Sellier) è il racconto del Novecento attraverso la lente di ingrandimento di un operaio autodidatta, delegato sindacale, che diventa segretario della Fim - Cisl di Torino, protagonista dell'appassionante vicenda della FLM (il sindacato unitario dei metalmeccanici) di cui diventa responsabile delle relazioni internazionali, consigliere regionale, parlamentare europeo, docente universitario... ma soprattutto di un "ombre integro" come avrebbe detto il suo amico Cuatemoc Cardenas.  

Leggo in un fiato, dopo averne viste le prime bozze qualche anno fa, le trecentosessanta pagine di ricordi e testimonianze che passano attraverso le contraddizioni di un tempo di profonde trasformazioni, in questo paese e nei tanti luoghi che hanno visto Alberto tessere relazioni che nascevano non dalla passionedi realizzare dei reportage giornalistici (pure tanto rara) ma dalla condizione umana e dall'impegno per cambiarne i destini. Il racconto di una vita e quella di Alberto Tridente è stata una vita eccezionale che mai quel ragazzino figlio di migranti che a 13 anni entra in una fabbrica della cintura torinese non si sarebbe aspettato di avere.

In un tempo dove la memoria è così labile e superficiale, l'autobiografia di Alberto, "fraterno amico e compagno di tanta parte del Novecento" come ha scritto nella sua dedica nel novembre scorso, è una preziosa testimonianza di un'altra storia che rischia di non essere raccontata. Per questo merita di essere ripresa, coinvolgendo le persone che anche qui in Trentino hanno conosciuto Alberto, in un omaggio non solo al suo impegno ma anche a quello di quanti, anche in questa terra, di quest'altra storia sono stati protagonisti, di cui non si parla ma che ha reso possibile lo Statuto dei Lavoratori, il diritto alla sanità pubblica, la Legge Basaglia, la riforma del Diritto di famiglia prima della quale non vi era nemmeno parità giuridica dei coniugi. Erano gli anni '70 ed è insopportabile che ora vengano associati al terrorismo.

E, a proposito di memoria, il libro di Herta Müller, premio Nobel per la letteratura 2009, che leggo in questi giorni possiede una forza straordinaria. Più che un libro, sono tre racconti, altrettanti incontri con "una poesia intesa come vita, come pane quotidiano, come unico mezzo per sopravvivere". Sono raccolti nel volumetto In trappola (Sellerio Editore) e prendono spunto dai versi di Theodor Kramer, Ruth Klüger e Inge Müller, il tutto per riflettere sulla colpa lungo gli avvenimenti del XX secolo, fra l'Olocausto e le tragiche applicazioni dell'ideologia comunista. Così il grido di dolore dei poeti si confonde con la storia dell'autrice, figlia del Banato di lingua tedesca in terra rumena e di un soldato delle SS che si rifiuterà fino al suo ultimo giorno di riconoscere le proprie responsabilità.

Mi capita anche di leggere i giornali, trovandovi raramente cose significative, anche in una cronaca politica tanto in movimento quanto ferma sul piano del pensiero. Perché se la novità è la gestazione di un soggetto politico del "centro degasperiano", proprio non ci siamo Non riesco a capire che cosa c'entri questa riaggregazione di un'area moderata con quell'approccio "territorialista" più volte invocato (anche da Dellai), che davvero potrebbe rappresentare uno scarto concettuale nella configurazione della politica come nelle forme del suo agire. Immagino già la risposta: non c'è il tempo per costruire questo progetto politico prima delle ormai prossime elezioni parlamentari. Motivazioni già sentite quattro anni fa, quando questa necessità già si avvertiva in termini drammatici. Ma anche allora l'imminenza (presunta) delle elezioni anticipate fece prendere altre strade (non poi tanto diverse), l'API però non riuscì nemmeno a prendere il volo. Penso fra me che quando la progettazione politica è condizionata dai destini personali, non si va tanto lontani.

E questo vale anche per i paladini della "discontinuità", tanto nuovi alla politica (ma dov'erano?) da non saper nemmeno riconoscere i tratti di una diversità che fa della nostra terra uno dei luoghi più belli e vivibili di questo paese e dell'Europa.

Preferisco usare questo tempo più disteso per scrivere, piuttosto che seguire le apparizioni di Renzi (proprio non riesco a pensarlo parte del mio stesso percorso politico) o di altri personaggi che percepisco piuttosto come vecchi arnesi. Ho in cantiere un sacco di cose, per il momento ancora solo appunti di una trama politica che fatica a trovare cittadinanza. Forse è davvero giunto il momento di "darsi il tempo".

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sabato, 18 agosto 2012Cencenighe Agordino

Quello che si svolge a Cencenighe Agordino il sabato di ferragosto è un bell'incontro. Certo, è stato lo stato di necessità ad imporlo, dopo l'improvvida approvazione da parte del Parlamento italiano del provvedimento che sopprime, fra le altre, la Provincia di Belluno. Quando il 31 luglio scorso proposi agli amici di Belluno di trovarci a Ferragosto non c'era però solo l'emergenza, ma anche la consapevolezza che il tema delle "Alpi regione d'Europa" s'impone alla nostra attenzione (e mi auguro anche nella nostra agenda politica) quale nodo ineludibile e di primaria importanza. Non era semplicemente la solidarietà verso i nostri vicini, con i quali condividiamo luoghi, storia, sensibilità, cultura.  

Quando si oltrepassa il paesaggio mozzafiato di Passo San Pellegrino già si può capire la fatica di abitare la montagna da questa parte dello spartiacque. Basta dare un'occhiata alle case, ai tetti in lamiera, alla povertà di un'architettura tipica degli anni '50 e '60 e delle stesse (poche) ristrutturazioni, per comprendere che qui è tutto più difficile, che la montagna è periferia e sinonimo di emarginazione nonostante il turismo di questa stagioni affolli i borghi.

Qui di autonomia e di autogoverno delle proprie risorse non c'è proprio traccia. Ed ora anche la beffa di spazzare via l'unica significativa istituzione che delle istanze di autogoverno poteva farsi interprete. Di questo dolore si fanno interpreti Andrea Bona e Diego Cason, animatori del BARD (Belluno Autonoma Regione Dolomiti), il movimento di persone che in questi mesi si è battuto per l'autonomia di una Provincia come quella di Belluno e che ha promosso l'incontro di oggi.

Non siamo qui come reazione ad una scelta del Governo Italiano e del Parlamento - tendono a ribadire i promotori - ma per dare più forza ad un progetto politico di autogoverno dei nostri territori di montagna. E se all'inizio dell'incontro sembra quasi che sia la logica del "si salvi chi può" a prevalere, quasi che la provincia di Belluno dovesse dividersi in altrettante aree che potrebbero gravitare rispettivamente sul Sud Tirolo, sul Trentino e sul Friuli VG, la discussione diviene via via sempre più
consapevolmente politica e responsabile, manifestando unità e una prospettiva politica che ha nella "Regione Dolomiti" il suo cuore progettuale.

Nonostante il giorno e l'orario (mezzogiorno di sabato 18 agosto) la sala del municipio di Cencenighe Agordino si affolla di sindaci, amministratori locali e regionali, esponenti della politica e della cultura della provincia di Belluno. E qui, in questa piccola folla, ci siamo anche noi, la delegazione trentina composta oltre che dal sottoscritto anche da Margherita Cogo (che in queste settimane ha tenuto i contatti con il Bard), Luca Zeni, Giorgio Tonini. Con noi anche il direttore del Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi e l'amico Pippo Oggiano che delle ragioni delle autonomie locali è stato da sempre un sostenitore convinto. Ci raggiunge anche il segretario del PD altoatesino Antonio Frena.

La rivendicazione di andare con chi l'autonomia ce l'ha sarebbe invero più che mai giustificata, ma nonostante la posizione possibilista dei ladini bellunesi (e la risposta di attenzione manifestata da Durnwalder nei giorni scorsi), in realtà la gran parte degli interventi va nella direzione di una prospettiva diversa ed originale (la Regione Dolomiti o l'euroregione Dolomiti) nell'orizzonte culturale della Convenzione delle Alpi. Che, come giustamente ribadisce Sergio Reolon (già presidente della provincia di Belluno), non è un'istituzione di autogoverno ma piuttosto un patto politico e culturale che intende promuovere le Alpi come ambito progettuale, quella cultura della montagna che richiede una visione specifica e... "di non essere governata dalla pianura".

Una cultura che oggi fatica ad affermarsi e che la decisione del Parlamento rende oltremodo lontana. Così queste valli si vanno impoverendo, i giovani se ne vanno (ogni anno un migliaio di abitanti in meno), l'economia segna il passo, i Comuni sono lasciati soli. Che fare dunque?

Siamo qui per discutere attorno ad un manifesto comune, per ora solo abbozzato, ma importante perché - come ribadisco nel mio intervento - non risponde solo ad un'emergenza, bensì ad una diversa progettualità che richiede cittadinanza politica. Parlo di quel cambio di paradigma che s'impone a partire dalla cifra dei problemi, insieme territoriale e sovranazionale. Parlo dell'autonomia come contesto di coesione sociale (e della miopia politica di pensare che la cancellazione di una Provincia porti un qualche risparmio per battere la crisi è semplicemente stupido). Parlo del Terzo Statuto che dovrà ridisegnare la nostra Regione e il cui orizzonte non potrà che essere l'Europa. Parlo dell'Euroregione dolomitica, insieme trentina, sudtirolese, tirolese, bellunese o - se volete - italiana, tedesca, ladina... E che oggi non è nell'agenda dei partiti.

Ci lasciamo in maniera interlocutoria, consapevoli della necessità di rendere permanente un luogo di confronto come quello di oggi ma rivendicando altresì un tavolo istituzionale fra le regioni italiane coinvolte e i Comuni bellunesi (visto che la provincia, formalmente, è stata cancellata). In ballo nelle prossime settimane ci sono i ricorsi e la crescente richiesta referendaria dei Comuni per lasciare il Veneto. La partita è troppo importante per essere lasciata ad una comunque improbabile rivendicazione di mettere al sicuro il proprio giardino.

La strada che ci riporta in Valle di Fiemme è costellata di splendide montagne. Immaginare che il futuro di questa terra sia nelle mani della marca trevigiana è davvero oltre ogni buon senso.

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venerdì, 17 agosto 2012La capitale dell\'Afghanistan, Kabul

Potremmo parlare della forza delle idee a proposito di "Afghanistan 2014". Ne ho scritto in questo diario anche recentemente quando abbiamo presentato a Trento, in un'affollata sala del Cinema Astra, il film dedicato alla Conferenza di Bonn sul futuro dell'Afghanistan, che poi rappresenta la prima parte di un lavoro più strutturato che abbiamo previsto nel progetto. Perché "Afghanistan 2014" è un "cantiere" che abbiamo aperto lo scorso anno e che intende proseguire nel tempo, almeno fino a quando per questo martoriato paese non si aprirà una nuova stagione, ponendo fine ad una occupazione che prosegue da almeno 33 anni, da quando cioè i carri dell'armata rossa non attraversarono il confine in quel lontano dicembre 1979.

In genere i progetti tendono all'autoreferenzialità, in una dialettica piuttosto angusta fra donatore e beneficiario. Ma qui non ci sono né donatori, né beneficiari. "Afghanistan 2014" è un'opportunità per discutere del futuro, per far circolare pensieri e idee, per riflettere sull'operato della diplomazia internazionale e per attivare una diversa diplomazia capace di costruire relazioni fra territori e persone. Un cantiere, appunto.

Ed è proprio questo che si sta realizzando attraverso un passa parola che coinvolge in primo luogo gli afghani della diaspora in Europa. Perché attorno al cantiere "Afghanistan 2014" sono già stati coinvolti esuli che vivono e operano in Inghilterra, Germania, Grecia, Svizzera, Olanda e Svezia, oltreché in Italia e, ovviamente, in Afghanistan. Tanto da farli arrivare sin qui, in Trentino.

E' il caso di Hadi Miraan, Mohammad Orazghani, R. Shahrestani e Soheila Haidari che in questi giorni sono venuti da Amsterdam e Goteborg per parlare di questa visione che guarda al loro paese con occhi diversi, per ricercare al proprio interno le energie e le risorse (materiali e culturali) per costruire un futuro diverso a partire dal giorno in cui l'ultimo soldato occupante se ne andrà dal loro paese, il 2014.

Fanno parte di un partito, Hizb-e Wahdat, nato durante l'occupazione sovietica e che ha unito diverse esperienze e gruppi improntati all'islamismo politico, di etnie diverse e di grande apertura culturale. E il dialogo fra noi non fatica a svilupparsi anche al di là della situazione afghana. Ma certamente la cosa che più desta  interessa in loro è l'autonomia trentina, la nostra esperienza di autogoverno del territorio come chiave per abitare i processi della globalizzazione. Come già è avvenuto in
questi anni per altre realtà geografiche (penso al Tibet, ai Balcani, al Marocco, alla Palestina...), il Trentino e la nostra regione sono di particolare interesse per la sperimentazione politico istituzionale che ha saputo produrre. A quanto pare, lo capiscono più altrove che in Italia.

Sarebbe questo, a saper vedere, il programma per le relazioni internazionali della prossima legislatura, ma intanto proviamo noi, con i pochi mezzi di cui dispone il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e con la forza delle idee, a rendere proficuo il cantiere che abbiamo avviato. Razi e Sohelia, ormai trentini di origine afghana e che di questo cantiere sono l'anima, investono la loro sensibilità umana e la loro stessa professionalità di registi affinché questo progetto diventi il motore di una rinascita politica del loro paese. Fra noi è cresciuto un forte sentire comune.

Il 2014, possibile spartiacque fra il prima e il dopo nella storia dell'Afghanistan, non è lontano e i miracoli non sono appannaggio di noi comuni mortali. Ma ci lavoreremo. Anche perché "quel 2014" rappresenta una sorta di discrimine per come intendere l'impegno per la pace e i diritti umani. Oltre l'emergenza e una logica degli aiuti tutta verticale ed autoritaria.

lunedì, 13 agosto 2012Taranto, Ilva

Forse la settimana prossima vado a farmi un giro al Bohjnisko Jezero, luogo di vacanze estive e soprattutto invernali prima della tragedia jugoslava, a poca distanza dal confine italiano e austriaco, poco oltre il Tarvisio. Lì, nell'estate del 1980, con Gabriella scoprimmo un lago alpino circondato da boschi, paesini che sembravano usciti da un racconto dei fratelli Grimm e dal monte Triglav, il massiccio i cui contorni campeggiano sulla bandiera della Slovenia.

In questi giorni il ritmo delle cose da fare è decisamente attenuato e riesco a starmene a casa dove, peraltro, mi sono dato un ambizioso programma di lettura e di scrittura. Distratto, in questo, dall'incombere degli avvenimenti che poi corrispondono all'assunzione di impegni anche in questi giorni che dovrebbero essere dedicati al riposo. In particolare, l'approvazione da parte del Parlamento italiano della manovra sulla "spending review" ha effetti non certo positivi in particolare sull'autogoverno dei territori, sull'autonomia trentina ma non solo.

La definitiva cancellazione della Provincia di Belluno, di cui abbiamo più volte parlato in questo diario, porta con sé una forte e comprensibile reazione da parte dei nostri cugini "belumat": nella nostra ultima conversazione di qualche giorno fa a Trento ho lanciato la proposta di un incontro simbolico da realizzarsi intorno a Ferragosto al confine fra le nostre Province, nel segno della proposta di dar vita ad una euroregione "Dolomiti", quale alternativa europea alla cancellazione di un territorio che si troverebbe, stando al Governo dei tecnici che di autonomie non capisce proprio un fico secco, a diventare parte della Provincia di Treviso.  Senza capire che proprio l'autogoverno è uno degli strumenti per combattere la crisi, oltre che fonte di coesione sociale, altro aspetto decisivo per affrontare questo tempo difficile.

Ci diamo appuntamento sabato prossimo 18 agosto a mezzogiorno a Cencenighe Agordino per stilare un manifesto per la regione dolomitica. Così in questi giorni, fra Trento e Belluno, c'è un via vai di mail (a cui partecipo attivamente) per delineare una proposta che possa dare alla provincia di Belluno una prospettiva di autogoverno e non di marginalità, cui pure era ridotto il territorio di Belluno in un Veneto governato dalla pianura.

C'è un altro tema che in questi giorni è alla ribalta del contesto nazionale e che assume un valore paradigmatico, quello dell'ILVA di Taranto, il più grande polo dell'acciaio italiano. Che da mezzo secolo inquina il territorio (compreso il mare, attraverso un continuo sversamento di fanghi tossici) e ammala la gente che ci lavora o che abita nei pressi dello stabilimento. Di fronte ai dati inoppugnabili del Ministero della Sanità sull'inquinamento di questo stabilimento, la magistratura è costretta ad intervenire affinché la produzione rientri (se mai lo è stata!) nei parametri di legge. Apriti cielo... e così la contrapposizione fra ambiente, salute e lavoro, aspetti di un contraddizione che si sarebbe dovuta affrontare da tempo diventa una questione di scontro fra poteri e di emergenza.

Il tema è paradigmatico perché lo incontriamo ogni qual volta ci troviamo di fronte a situazioni come quella di Taranto: penso, in Trentino, all'acciaieria di Borgo Valsugana o di altre situazioni di cui portiamo la triste eredità come nel caso delle aree industriali dismesse, qui come altrove. Abbiamo a che fare con gli effetti di una politica industriale che ha disseminato i simboli dell'industria pesante in prossimità di città o aree ambientali che sono considerate patrimonio dell'umanità. Penso al Petrolchimico di Porto Marghera a due passi dalla città di Venezia, a quello di Sassari nel mare di Sardegna, all'ex Italsider che deturpava il golfo di Napoli... il tutto in nome di uno sviluppo che si rivelerà rapidamente insostenibile e i cui costi di risanamento sono tali che avrebbero mantenuto la gente che vi lavorava per la vita intera.

I costi ambientali o della salute però non rientravano (e ancora non rientrano) nei parametri dello sviluppo (né dei costi aziendali). E così si prosegue nella logica di sempre. Come quando, e devo dire che questa è la cosa che forse più mi colpisce, esponenti del governo e della politica parlano della ineluttabilità di una politica dell'acciaio in Italia. Nemmeno ci sfiora l'idea che di questo dovremmo parlare in chiave europea, proponendoci una politica comune, in grado di affrontare la politica economica (e i settori strategici) con una strategia condivisa. Insieme capace di valorizzare le unicità dei territori che, nel caso dell'Italia, dispone del più importante patrimonio archeologico e culturale del mondo.

Belluno e Taranto. Manca una visione europea ed è assente un approccio territoriale. Le due cose principali che oggi si dovrebbero richiedere alla politica.

mercoledì, 8 agosto 2012Statuto

Dovrei essere in ferie, ma non riesco a staccare la spina. L'agenda per questa e la prossima settimana è vuota di impegni istituzionali, incontri e riunioni, anche se poi quando le persone sanno che ci sei qualcosa si inventano.  Ciò nonostante ho un arretrato di letture e un lungo elenco di cose che dovrei scrivere, magari utilizzando la tranquillità di queste calde giornate estive. Altre cose da preparare per l'autunno, che riguardano l'azione politica, il Consiglio Provinciale e il Forum trentino per
la Pace e i Diritti Umani. Il problema è che tutto questo non significa affatto staccare la spina. Per farlo dovrei andarmene via, i giornali nemmeno sfogliarli. E non è detto che non lo farò, almeno per una settimana.

Intanto però ho aperto davanti a me "il Trentino" che oggi pubblica una lunga intervista a Giovanni Kessler. L'ex presidente del Consiglio Provinciale, che ha rinunciato al suo mandato elettorale per andare a ricoprire l'incarico di capo dell'ufficio UE per la lotta anti-frode, non ha però mai rinunciato a porsi come il fautore di un'alternativa politica al governo che, con Lorenzo Dellai, da tre legislature governa la nostra autonomia. Forse in maniera meno esplicita quando Kessler era alla presidenza dell'aula, dove pure ha inaugurato un modo di interpretare quella funzione tutt'altro che "istituzionale", più esplicita ora nel cercare di influire sui futuri assetti governativi del "dopo Dellai".

E, infatti, quella che viene tracciata nell'intervista è un'analisi del Trentino nella quale non solo non mi riconosco, ma che nega la diversità di questa nostra terra. La cosa che più balza in evidenza è infatti che siano proprio i tratti di tale diversità - e che hanno impedito che il Trentino venisse politicamente omologato al resto dell'arco alpino - a venir messi sotto accusa. Ovvero l'autonomia, con la sua capacità di intervento nell'economia (ma anche nel negare l'attacco che l'autonomia sta subendo), la diversità nell'assetto proprietario (il fatto cioè che il principale soggetto economico del Trentino sia la cooperazione), la sua articolazione territoriale (i Comuni, ma anche le forme di volontariato) che ha avuto un ruolo essenziale nell'attenuare i meccanismi di spaesamento che hanno consegnato il nord (e il paese) per vent'anni alla Lega e al berlusconismo. E, da ultima, la sperimentazione politica che in questa terra ha fatto sì che il panorama politico trentino non fosse sovrapponibile a quello nazionale. Ridotta invece ad un gioco di potere.

Tratti di diversità che risentono, talvolta, l'usura del tempo, per non essere stati coltivati a dovere. Ma il non riconoscerli ci porta all'omologazione. E questo sarebbe davvero disastroso. Almeno per chi, come il sottoscritto, considera le prerogative dell'autogoverno la chiave per una nuova prospettiva regionale ed europea.

Lo vado dicendo da mesi, ma in queste ultime settimane l'emergere di due diverse visioni del Trentino sta diventando ineludibile. Forse sarebbe il caso di parlarne.

venerdì, 3 agosto 2012Pensieri

Agosto, tempo di staccare. Quello che invece esce ieri nell'incontro con Riccardo Mazzeo, responsabile editoriale della Casa editrice Erickson, richiede concentrazione e pensiero. Realizzare un libro è sempre un'impresa complessa, lo è ancora di più se l'oggetto di questo lavoro investe uno dei terreni più screditati agli occhi dell'opinione pubblica, la politica.

Quando due anni fa iniziammo il percorso di "Politica è responsabilità", era già allora piuttosto complicato descriverne la natura. Non un partito (sul piano dell'auto-rappresentazione abbiamo già dato), non una corrente (non c'era alcun ambito di potere da presidiare), non uno strumento per l'affermazione personale di qualcuno (perché di personalismi ce ne sono in giro fin troppi). Piuttosto un laboratorio di idee, per dare impulso ad un territorio che in sé rappresenta un originale laboratorio sociale e politico.

"Non un'alternativa alla politica, ma un dono di idee alla politica": pressappoco così scrivevamo nel "chi siamo" di presentazione del sito www.politicaresponsabile.it, un luogo virtuale dove i pensieri potessero rappresentarsi al netto delle dinamiche di potere che oggi tendono ad condizionare l'agire politico. Un luogo per liberare il pensiero a prescindere dalle appartenenze e così è stato. I cinquanta direttori responsabili che si sono alternati ogni quindici giorni portando una loro tesi su un tema di attualità politica e sociale sono persone davvero tanto diverse, sotto il profilo generazionale quanto nella loro storia politica, nelle sensibilità come nelle responsabilità sociali ed istituzionali. Alla pari, il giovane studente universitario e il presidente della nostra autonomia.

Come misurare l'utilità di tutto questo non lo sappiamo. Il fatto che un luogo così semplicemente esista, che le sensibilità che qui hanno trovato espressione siano diventate parte di una comunità di pensiero, che vi siano molte centinaia di persone che hanno postato i loro commenti con l'impegno e la serietà che in genere i blog non conoscono ... è già un bel risultato.

Questo piccolo patrimonio può aiutare la politica a diventare migliore? Nasce qui, da questa semplice domanda, l'idea di provare un racconto del nostro tempo, quel filo narrativo che mette insieme gli sguardi, che proprio nella loro diversa
profondità ci possono aiutare a mettere a fuoco gli avvenimenti che altrimenti scivolano via in una sorta di soffocante emergenza.

L'altra sera, parlando con Silvia Nejrotti a proposito di quel che butta la politica italiana, osservavo come l'affaticamento della politica non sia affatto una prerogativa italiana, anzi. Credo di essere abbastanza attento su quel che c'è in giro nel mondo sul piano dell'elaborazione politica e, prima ancora, del pensiero politico per poter dire che in fondo il problema di nuovi paradigmi va ben oltre i nostri angusti confini nazionali. E' come se il Novecento tenesse prigioniera la politica nelle sue diverse espressioni culturali e geografiche. Tant'è vero che se mi si chiede quale sia oggi l'ambito di sperimentazione politica più interessante nello scenario globale, sarei a dire l'islam politico. Ma di questo avremo modo di parlare.

Nella scelta di dar vita al PD, la necessità di oltrepassare il Novecento era piuttosto chiara. Non consapevole, forse, e non sempre condivisa, specie da parte di chi, contestualmente, stravedeva per Zapatero. Ma poi la sintesi culturale che di tale necessità era il presupposto non c'è stata, ognuno a coltivare (e rivendicare) la propria storia o la propria parzialità.

E così lo sguardo sulle contraddizioni che avevano portato alla fine del governo Prodi è rimasto in buona sostanza quello di prima. Per questo, puntualmente, si ripresentano. Con Vendola che deve fare le capriole per giustificare ad un corpo sociale fermo nelle proprie vecchie categorie la necessità di fare un alleanza con Casini (e specularmente l'opposto).

Occorre un cambio di paradigma, continuo a dire. Per farlo cerchiamo le parole chiave che potrebbero costituire la trama narrativa di questo lavoro editoriale. Iniziamo a scriverle e così, sul bloc notes, le coppie di parole scritte a matita prendono corpo: autonomia e interdipendenza, spaesamento e terra, limite e creatività, pensiero circolare e reti... Titoli di altrettanti capitoli nei quali raccogliere tesi e commenti, una prefazione di eccezione, una postfazione per legare tutto questo alla fatica quotidiana di coniugare idee e progettualità politica, un CD rom per dare voce ad ogni nota.

L'ambizione è quella di uscire nella primavera che verrà. L'operazione editoriale di dare testimonianza di un laboratorio che pulsa con la sua terra mi appare niente affatto banale.

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