"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

17/08/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
La capitale dell\'Afghanistan, Kabul

Potremmo parlare della forza delle idee a proposito di "Afghanistan 2014". Ne ho scritto in questo diario anche recentemente quando abbiamo presentato a Trento, in un'affollata sala del Cinema Astra, il film dedicato alla Conferenza di Bonn sul futuro dell'Afghanistan, che poi rappresenta la prima parte di un lavoro più strutturato che abbiamo previsto nel progetto. Perché "Afghanistan 2014" è un "cantiere" che abbiamo aperto lo scorso anno e che intende proseguire nel tempo, almeno fino a quando per questo martoriato paese non si aprirà una nuova stagione, ponendo fine ad una occupazione che prosegue da almeno 33 anni, da quando cioè i carri dell'armata rossa non attraversarono il confine in quel lontano dicembre 1979.

In genere i progetti tendono all'autoreferenzialità, in una dialettica piuttosto angusta fra donatore e beneficiario. Ma qui non ci sono né donatori, né beneficiari. "Afghanistan 2014" è un'opportunità per discutere del futuro, per far circolare pensieri e idee, per riflettere sull'operato della diplomazia internazionale e per attivare una diversa diplomazia capace di costruire relazioni fra territori e persone. Un cantiere, appunto.

Ed è proprio questo che si sta realizzando attraverso un passa parola che coinvolge in primo luogo gli afghani della diaspora in Europa. Perché attorno al cantiere "Afghanistan 2014" sono già stati coinvolti esuli che vivono e operano in Inghilterra, Germania, Grecia, Svizzera, Olanda e Svezia, oltreché in Italia e, ovviamente, in Afghanistan. Tanto da farli arrivare sin qui, in Trentino.

E' il caso di Hadi Miraan, Mohammad Orazghani, R. Shahrestani e Soheila Haidari che in questi giorni sono venuti da Amsterdam e Goteborg per parlare di questa visione che guarda al loro paese con occhi diversi, per ricercare al proprio interno le energie e le risorse (materiali e culturali) per costruire un futuro diverso a partire dal giorno in cui l'ultimo soldato occupante se ne andrà dal loro paese, il 2014.

Fanno parte di un partito, Hizb-e Wahdat, nato durante l'occupazione sovietica e che ha unito diverse esperienze e gruppi improntati all'islamismo politico, di etnie diverse e di grande apertura culturale. E il dialogo fra noi non fatica a svilupparsi anche al di là della situazione afghana. Ma certamente la cosa che più desta  interessa in loro è l'autonomia trentina, la nostra esperienza di autogoverno del territorio come chiave per abitare i processi della globalizzazione. Come già è avvenuto in
questi anni per altre realtà geografiche (penso al Tibet, ai Balcani, al Marocco, alla Palestina...), il Trentino e la nostra regione sono di particolare interesse per la sperimentazione politico istituzionale che ha saputo produrre. A quanto pare, lo capiscono più altrove che in Italia.

Sarebbe questo, a saper vedere, il programma per le relazioni internazionali della prossima legislatura, ma intanto proviamo noi, con i pochi mezzi di cui dispone il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e con la forza delle idee, a rendere proficuo il cantiere che abbiamo avviato. Razi e Sohelia, ormai trentini di origine afghana e che di questo cantiere sono l'anima, investono la loro sensibilità umana e la loro stessa professionalità di registi affinché questo progetto diventi il motore di una rinascita politica del loro paese. Fra noi è cresciuto un forte sentire comune.

Il 2014, possibile spartiacque fra il prima e il dopo nella storia dell'Afghanistan, non è lontano e i miracoli non sono appannaggio di noi comuni mortali. Ma ci lavoreremo. Anche perché "quel 2014" rappresenta una sorta di discrimine per come intendere l'impegno per la pace e i diritti umani. Oltre l'emergenza e una logica degli aiuti tutta verticale ed autoritaria.

 

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