"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli

23/11/2012 -
Il diario di Michele Nardelli
Vinicio Capossela alla mostra di Fehmiu

A Firenze, nella Casa della Creatività a due passi dal Duomo, ci sono tantissimi giovani. E' curioso che il volto di Ulisse, impresso negli occhi della mia generazione attraverso lo sceneggiato televisivo del 1969, possa attrarre l'attenzione di un pubblico tanto giovane. Eppure siamo qui a parlare di Bekim Fehmiu, l'attore jugoslavo che ha donato per sempre il suo
volto al personaggio omerico. Che mentre la Jugoslavia andava in pezzi per protesta scelse il silenzio e poi, dopo la tragedia, decise con il suicidio che il suo tempo era finito come il suo paese.

E' davvero interessante come il caso s'intrecci con il tempo. Così la scelta dei ragazzi di Peja/Pec, Kraljevo e Prijedor - tre paesi
lacerati dalla guerra degli anni '90 - di dedicare, nell'ambito del progetto memoria ed elaborazione del conflitto, una mostra all'Ulisse venuto dai Balcani possa diventare l'occasione per entrare in dialogo con i loro coetanei dall'altra parte del mare, attratti dalla metafora immortale che l'Ulisse rappresenta per ogni generazione e dal fatto che la sensibilità di un'artista geniale come Vinicio Capossela abbia dedicato il suo recente lavoro "Marinai, profeti e balene" proprio a Bekim Fehmiu.

E' una bella storia, questa. E noi siamo qui, dopo Trento, nel centro di Firenze, con Vinicio e Giuseppe Colangelo, a parlare dell'Ulisse, di un uomo e di un paese che non ci sono più. Occasione per riflettere sul nostro tempo, sul Novecento che non abbiamo ancora saputo elaborare, su una guerra che ha dilaniato il cuore dell'Europa e di cui non abbiamo compreso un fico secco.

Sono spazi che ritaglio a fatica nelle mie giornate intense di lavoro, il che significa mettere in conto un andata e ritorno da Trento e Firenze in mezza giornata e, come potete immaginare, non certo all'insegna della lentezza.

Del Novecento che non passa parliamo anche la sera successiva a Rovereto, nella bella sala della fondazione Cassa di Risparmio, dove presentiamo "I giorni freddi di Novi Sad". Con noi ci sono due ospiti d'eccezione, il rappresentante della comunità ebraica della capitale della Vojvodina Goran Levi e una delle figure più importanti della letteratura bosniaca, lo scrittore Dzevad Karahasan. Devo dire che sono le sue parole a calamitare l'attenzione del pubblico presente, uno sguardo il suo che ti porta nel cuore di una città che in un libro scritto nei giorni dell'assedio definì "il centro del mondo". Perché questa è Sarajevo, senza nulla togliere ad altri luoghi che proprio nell'incontro fra culture e pensieri sono diventati simbolo di cosmopolitismo e di civiltà. E per questo stretti nell'assedio, bombardati, annichiliti. Presentare libri, un programma politico.

E' l'occasione per riflettere sul fatto che nell'incontro fra le culture il tema non è la tolleranza, bensì la capacità di non essere
indifferenti. E dunque nel sentire le sensibilità dell'altro come parte di noi, della nostra stessa storia. E per parlare della memoria, una bestia piena di insidie, nel suo oblio, nei suoi vuoti, sul suo dolore ma anche nella sua retorica o, peggio ancora, nella sua esibizione violenta, quasi fosse un'arma rivolta contro l'altro. Ed anche sulla necessità di prenderne le misure perché -
come afferma Karahasan - "rimaniamo in vita perché dimentichiamo".

Prosegue il lavoro per dare compattezza e idee alla coalizione del "dopo Dellai". Una fitta rete di incontri informali, in attesa
di metterci alle spalle le primarie, nella speranza che l'esito della consultazione di domani (domenica) non faccia saltare il PD e che, per altro verso, il progetto di Montezemolo - che con le terre alte non centra un bel niente - non pregiudichi che dopo le elezioni politiche nazionali possa prendere corpo un territorialismo dall'orizzonte europeo, progetto a cui personalmente
guardo come l'unica vera riforma della politica. Si andrà ad un appello molto trasversale al centrosinistra autonomista che punta a coinvolgere le tante persone che faticano a collocarsi nelle attuali appartenenze e ad un incontro previsto il prossimo 7 dicembre (mettetevi un piccolo segno in agenda) a Trento.

Questa settimana si è concluso l'iter della Legge Finanziaria nella prima Commissione legislativa provinciale. Il sovrapporsi di impegni ha fatto sì non potessi seguire questo passaggio, ma va bene così. Significa che ho più tempo per predisporre alcuni emendamenti e ordine del giorno che ho in cantiere per quando la Finanziaria arriverà in aula, ovvero il 10 dicembre. Ve ne parlerò nei prossimi giorni.

Infine, nel tardo pomeriggio di venerdì si riunisce un folto gruppo di soggetti che saranno gli attori di "Afghanistan 2014". I lettori più attenti del questo sito sanno del cantiere avviato già un anno fa ed ora il progetto sta entrando nel vivo. Nel 2013/2014 l'Afghanistan sarà al centro dell'attenzione mondiale ed è importante far crescere un approccio "altro" alla questione. Che poi significa smetterla con la logica di guerra e di emergenza nel guardare a questo paese. Perché il futuro dell'Afghanistan sia nelle mani degli afghani occorre che emerga tutta la ricchezza culturale prima ancora che materiale di questo paese e che ogni nostra relazione con questo territorio sia improntata a favorire il dispiegarsi di queste energie. A tal fine si sta costituendo un Consorzio di soggetti che ne saranno i protagonisti ed il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani ne sarà il collante.

Imprese non facili e per questo mi vengono in mente le straordinarie parole di Altiero Spinelli quando, lasciando l'isola di Ventotene il 18 agosto 1943, pensando al progetto federativo europeo scriveva: «Guardavo sparire l'isola nella quale avevo raggiunto il fondo della solitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita, avevo fatto la fame, avevo contemplato come da un lontano loggione la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le somme finali di quel che ero andato meditando durante sedici anni, avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili... nessuna formazione politica esistente mi attendeva, né si preparava a farmi festa, ad accogliermi nelle sue file... con me non avevo per ora, oltre me stesso, che un Manifesto, alcune Tesi e tre o quattro amici...».

 

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